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Tra Levante e Ponente di Sergio Barducci / Minerva Edizioni, pagg. 190, 12 euro.

Cesenatico, un pomeriggio d’estate 2016. Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, accompagnato dal giovane neosindaco della città romagnola Matteo Gozzoli, visita la parte vecchia di Ponente, quella abitata dai primi pescatori come Alvaro Pagan e dalle prime piadinare come Anna Battistini (a proposito: ieri ha compiuto 79 anni, auguri). Un mondo suggestivo al punto che il ministro promette di appoggiare il neosindaco nell’avviare le procedure di riconoscimento del centro storico di Cesenatico nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. A un tratto, all’altezza di via Semprini, gli occhi del ministro sono attratti da una ceramica affissa al muro, accanto alla porta d’ingresso di una casa. Vi si parla di soste creative da parte del poeta e sceneggiatore di fama internazionale Tonino Guerra. Alla domanda di Franceschini su chi abitasse in quella casa, il sindaco risponde telegraficamente. Più approfonditamente, invece, ne parla Sergio Barducci, caporedattore centrale di San Marino TV, nel suo ultimo volume (Tra Levante e Ponente, Minerva Edizioni, Bologna, 190 pagine, 12 euro) che si chiude con questo invito alla lettura di Carlo Romeo, noto giornalista e dirigente RAI: “Ci sono libri e libri, ma quelli in cui resta dentro incardinata parte viva di chi scrive, quelli sono veri libri. Come questo di Barducci, perché questo è uno di quelli”. (s.gian.)

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Il ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini passeggia nelle vie del centro storico che s’affaccia sul porto canale leonardesco di Cesenatico con Matteo Gozzoli (Pd), eletto sindaco della città romagnola alle ultime elezioni del 19 giugno con il 58% dei voti.
(foto di Davide Sapone).

La parte vecchia di Ponente, quella che ha visto i primi insediamenti marinari e che ancora oggi ne conserva tutto il fascino e la suggestione, è un dedalo di viuzze strette, dove le case sono appoggiate l’una all’altra, dove i portoni e le finestre sono così vicini fra loro che quasi consentono di toccarsi senza nemmeno uscire di casa. Sono casette le cui facciate sono dipinte con colori vivaci, generalmente basse, a uno, massimo due piani. edifici pensati con un piccolo anfratto, che originariamente serviva per mettere al riparo la barchetta o le reti da pesca. Sui muri portano piccole insegne a forma di vela, che indicano con orgoglio i soprannomi dei capostipite, di coloro che governavano le imbarcazioni da pesca, che dominavano “i marosi”, che sapevano gestire “i cavalloni”.

Piccole targhe che raccontano di famiglie dedite da sempre alla pesca, che raccontano storie che parlano di uomini impegnati sul mare e di mogli e figli in attesa sul molo, di ansie per la paura del “non ritorno”, che aleggia sui pescherecci ogni volta che lasciano gli ormeggi. Piccole vele che fanno immaginare lo sforzo di chi è distante miglia dalla costa e l’angoscia di chi scruta l’orizzonte dalla punta del molo, nella speranza di veder sbucare, da quella enorme distesa di azzurro, i colori di quelle vele, di distinguere un simbolo, il segno che il loro caro sta tornando a casa, sano e salvo.
Sensazioni che senti camminando in quei vicoli, che si chiamano via Semprini, vicolo Fosse, via Squero…

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Il porto canale di Cesenatico, tra i dieci posti più fotografati al mondo (indagine Kodak). È l’asse principale attorno al quale sorge il centro storico, e sulle cui banchine si svolge ancora la vita sociale e la passeggiata di cittadini e turisti. Il porto ricalca ancora le linee disegnate nel 1502 da Leonardo da Vinci, chiamato da Cesare Borgia a suggerire interventi migliorativi all’approdo preesistente. Lungo il porto sorgono ancora monumenti e luoghi di rilievo.

A volte, invece della festa del quartiere, viene organizzata la festa della strada. Panche e tavoli sono piazzati in mezzo al vicolo e ognuno porta qualcosa da mangiare, del vino buono, i cuscini per sedersi più comodi, l’allegria per stare insieme, per condividere, per chiacchierare. È in questo dedalo di viuzze che vivevano i tanti Gianola, Zuanin, Scimiaza, Tugnola, Scarplain, Gino de Chin, Urciaza, Bisòn, Leon, Galavot, Garbain, Gambela e l’elenco potrebbe continuare.

All’inizio di via Semprini, sul muro di una casetta graziosa e ben curata, troneggia una targa con un’elegante scritta in corsivo, in cui si ricorda che “in questa casa il poeta Tonino Guerra amava arrotolare le parole con gli spaghetti alle vongole”. È la residenza estiva di Salvatore Giannella, una delle più autorevoli firme del giornalismo italiano in materia di scienza, cultura ed ambiente. Già direttore dell’Europeo, Giannella ha diretto anche Genius, il mensile scientifico dell’Espresso, ma io lo ricordo nella sua direzione di Airone, il mensile della Giorgio Mondadori, oggi del Gruppo Cairo, un punto di riferimento per chi si occupa di ambiente. Ho incontrato Giannella a Cervia, durante gli anni dell’eutrofizzazione e della ricerca di soluzioni per il mare Adriatico. Il celebre giornalista è stato uno degli animatori delle iniziative di CerviaAmbiente e ancora oggi siede nel Comitato scientifico della Fondazione.

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Cesenatico (Forlì Cesena): Tonino Guerra (1920-2012) con Salvatore Giannella sull’uscio della casa di via Semprini che il poeta amava frequentare. Dopo il preferito piatto di spaghetti con le vongole, amava sedersi sulla strada, a raccogliere e regalare parole.

Sul suo sito web, Giannella Channel, è lui stesso a ricordare il poeta di Santarcangelo: “Il maestro e amico Tonino Guerra, quando veniva nella nostra casa qui in via Semprini, dopo un piatto di spaghetti con le vongole amava sedersi fuori, sulla strada, a raccogliere e regalare parole. Parole piene di visioni, dove la bellezza era intesa come cambiamento rivoluzionario, risorsa, difesa e futuro. Quelle sue parole si sono nascoste come semi nel terreno delle nostre menti e le feste di via Semprini forse sono germogliate non solo per caso”.

«La Bellezza è il nostro petrolio», amava dire Tonino Guerra, che subito dopo aggiungeva: «La bellezza ci fa pensare alto. E noi la buttiamo via come se fosse danaro dentro tasche bucate».

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Targa dedicata a Tonino Guerra accanto all’ingresso di casa Giannella in via Semprini 1A, a Cesenatico. È opera dell’artista di Faenza Wanda Berasi, detta Muky, e vi si legge: “IN QUESTA CASA IL POETA TONINO GUERRA AMAVA ARROTOLARE LE PAROLE CON GLI SPAGHETTI ALLE VONGOLE”.

Ho avuto la fortuna e il privilegio di incontrare tante volte Tonino Guerra, nelle occasioni pubbliche ma anche nella sua casa di Santarcangelo, con il terrazzino che si affaccia sulla Piazza Ganganelli, o nel giardino della sua casa di Pennabilli, dove si era ritirato. La prima volta che l’ho intervistato ci siamo seduti a un tavolino del bar Centrale, proprio sotto casa sua e abbiamo chiacchierato a lungo. Mi ha parlato dei suoi progetti, dei suoi primi film, del rapporto fraterno con Federico Fellini, con Michelangelo Antonioni, della Russia, che amava tanto, della sua città, a cui era intimamente legato e che avrebbe voluto vedere ancora con gli occhi di un tempo…

Quella volta mi ha raccontato anche della sua prigionia in Germania, in un campo di concentramento a Troisdorf. Di quel gatto che la famiglia, sfollata per sfuggire ai tedeschi, aveva dovuto abbandonare nella casa di via Verdi. Il padre gli aveva chiesto di portare da mangiare a quel povero gatto e lui, sorpreso dai soldati tedeschi, era stato catturato e deportato. Aveva 24 anni, Tonino, era maestro elementare, e per alleviare le sofferenze sue e dei romagnoli internati in quel campo di concentramento, scriveva poesie e le recitava, rigorosamente in dialetto. Inevitabilmente siamo finiti a ricordare la sua poesia forse più triste: La farfalla. Lui stesso me la recitò, con quel suo dialetto santarcangiolese così dolce e armonioso. Una parlata musicale e piena di dittonghi:

Cuntént própri cuntént

a sò stè una masa ad vólti tla vóita

mó piò di tótt quant ch’i m’a liberè

in Germania

ch’a m sò mèss a guardè una farfàla

sénza la vòia ad magnèla.

Contento, proprio contento

sono stato molte volte nella vita

ma più di tutte quando mi hanno Liberato

in Germania

che mi sono messo a guardare una farfalla

senza la voglia di mangiarla.

Recitandola si era commosso e io con lui. Ancora oggi, ricordandolo, provo la stessa emozione di allora.

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* Sergio Barducci è caporedattore centrale di San Marino TV. Cura le edizioni del telegiornale e le trasmissioni di approfondimento giornalistico dell’emittente di Stato sanmarinese. Nella sua lunga carriera giornalistica è stato anche inviato in zone di guerra, in particolare durante il conflitto nei Balcani, con reportage da Sarajevo e Mostar.

A PROPOSITO/ Barducci presenta il suo libro

Storie della mia provincia romagnola che è piccola ma che sa farsi grande

I riminesi, quando vanno a fare il bagno in mare o a prendere il sole, o semplicemente a fare la passeggiata mattutina sulla riva del mare, dicono: “Vado a marina”. A Cesenatico, invece, si usa dire: “Vado alla spiaggia”. Apparentemente sono solo due modi diversi di esprimersi, due espressioni che si distinguono solo nel lessico ma che, a mio parere danno il segno di due diverse concezioni filosofiche.

Con il termine “marina”, i riminesi intendono quella zona che circonda il mare, una vasta area separata dal resto della città, dal “centro”, dove si vivono ritmi diversi e dove si concentrano gli uffici e le attività di ogni genere. Per gli abitanti di Cesenatico “la spiaggia” rappresenta quella lunga e stretta fascia di arenile che divide il mare dal centro abitato. È una striscia limitata, contenuta, quasi un “non luogo” che collega l’acqua alla quotidianità, la natura alla vita di tutti i giorni.

Certo l’interpretazione è fantasiosa ma il linguaggio esprime anche la coscienza comune di una collettività, porta con sé tradizioni ataviche, culture, situazioni ambientali, credenze, esperienze e tante altre cose inconsce.

Il mare è uno straordinario universo culturale. Unisce due sponde e spesso due civiltà. Il poeta inglese Alexander Pope, considerato uno dei maggiori del XVIII secolo, sosteneva che “il mare unisce i paesi che separa”, e di fronte ai barconi della speranza, che portano sulle sponde italiane frotte di emarginati in fuga dalla povertà, viene da pensare che mai una frase pronunciata nel 1700 abbia dimostrato di essere così drammaticamente attuale.

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Davide Gnola, direttore del Museo della Marineria di Cesenatico.

Il mare racchiude storie, emozioni, drammi e tragedie. “In mare non c’è civiltà”, mi ha detto un giorno Davide Gnola, direttore del Museo della Marineria di Cesenatico. Nel senso che è rimasto l’unico elemento selvaggio nel quale l’uomo lavora. Per mare si parte, ma a volte può anche accadere di non tornare.

Io a Cesenatico ci sono cresciuto, ho vissuto la mia adolescenza. Ci sono arrivato all’età di 10-11 anni e me ne sono andato in età adulta, per seguire il lavoro, per fare quella straordinaria professione che mi ha portato a vivere tantissime esperienze in diversi luoghi del mondo. Ho viaggiato molto, ho conosciuto persone di ogni estrazione sociale, intervistato politici, economisti e ricercatori, ma anche profughi, diseredati o delinquenti incalliti. Ho incontrato capi di Stato e di Governo, dittatori, premi Nobel, donne e uomini che hanno segnato la storia. Ho seguito tragedie come le guerre, i terremoti, le alluvioni, raccontato storie di popolazioni segnate da un destino non sempre generoso.

Ma quella che continua ad affascinarmi è la vita di provincia. Quella che mi assale durante ogni viaggio è la voglia di tornare. Di tornare dagli affetti, dagli amici, dalle pratiche quotidiane anche se monotone e noiose. Questo libro è nato proprio pensando a quella straordinaria provincia che sa regalarti il senso di appartenenza, amicizie sincere e durature, ricordi piacevoli e l’attaccamento alle tue radici. Una provincia che è piccola ma che sa farsi grande, che è “angolo sperduto” ma anche “mondo”. Il merito, o il demerito di questo racconto, non è tutto mio, ma è anche di chi ha voluto che trasferissi queste emozioni, di chi ha insistito perché quelle conversazioni fatte durante passeggiate notturne sulle sponde del porto canale, diventassero storie da raccontare. Ho voluto farlo legando i ricordi personali ai personaggi che hanno segnato la storia di questa cittadina di mare, sia nel passato meno recente che nei giorni più vicini a noi; raccontando fatti che ho vissuto e protagonisti che ho incontrato.

Cesenatico, come tutte le località di riviera, vive una profonda dicotomia a seconda della stagione, dei periodi dell’anno. Dunque esprime personalità diverse in relazione al clima e alla solarità. Frenetica e giocosa in estate, rallentata e riflessiva in inverno. Chiassosa e spensierata quando la spiaggia si popola di vacanzieri, silenziosa e a volte triste quando sulla riva ci sono solo i rami portati dal mare e le carcasse di conchiglie che la corrente trascina sulla sabbia. In questa altalena dell’umore sono nati e prosperati numerosi figli illustri, che hanno saputo farsi valere in un orizzonte ben più ampio e guadagnato nel tempo consensi e successi, in tanti campi. A loro e alla città che li ha visti crescere, sono dedicate queste storie che ho raccolto in 25 capitoli, ognuno dedicato a un personaggio diverso. Alcuni sono anonimi, come i vecchi pescatori o l’uomo del carretto di “maritozzi”; altri invece molto popolari, come Tonino Guerra o Lucio Dalla, Alberto Zaccheroni e Azeglio Vicini, Giorgio Ghezzi e Marco Pantani. (s.b.)

Da “Tonino Guerra 100: stop agli eventi ma non ai ricordi”:

  1. Edoardo Turci e l’infanzia del poeta. Uno storico locale di Sant’Angelo di Gatteo (da dove proveniva la madre di Tonino) rievoca i primi anni della grande firma del cinema in coincidenza con il centenario della sua nascita. È il primo dei contributi che leggerete su Giannella Channel. A seguire: un testo ritrovato di Sepulveda, al quale auguriamo una completa guarigione
  2. La scintilla poetica scoccata nel lager. La prigionia in Germania vede Tonino farsi Omero per i suoi compagni di sventura che con lui condividono il dialetto romagnolo. Per fortuna un medico ravennate, Gioacchino Strocchi, scriverà un diario dettagliato di quei giorni insieme, annotando i testi poetici che Antonio crea e recita ai compagni. Al ritorno in Romagna quei testi diventano un libro e la poesia resta in lui un nutrimento per l’anima
  3. Il giorno che disse grazie, dopo 66 anni, a un angelo di Verona. Nella Giornata della poesia, dieci anni fa, fui testimone di una storia degna di un film di Tonino e Fellini. Dalle fila di un teatro veronese si concretizzò a sorpresa la figura di una pasticcera che, a suo rischio, aveva portato dolciumi e sapone a Tonino prigioniero dei nazifascisti in quella città veneta, in attesa di essere trasferito via treno nel lager
  4. Il giorno in cui mi presentò Eliseo, il Socrate della Valmarecchia. Un noto fotoreporter accompagna il cantore della valle all’incontro con il saggio curatore di un orto. E le ore si riempirono di poesia e di ironia in questa quarta puntata del viaggio per il centenario di Tonino Guerra (testo e foto di Vittorio Giannella per Giannella Channel)
  5. Il giorno in cui accese il fuoco del teatro alle porte di Milano. Il fondatore e direttore di Emisfero Destro Teatro risponde al nostro appello rievocando il festival e l’incontro a Cassina de’ Pecchi che illuminò il futuro artistico suo e di tanti altri giovani di quel borgo lombardo
  6. Il giorno in cui donò, a me regista, la neve sul fuoco. Marco Tullio Giordana doveva girare, nel film “La domenica specialmente”, l’episodio più poetico, tra fascino della sensualità e tristezza della solitudine. Ma quel titolo era appesantito da un mattone. Un viaggio a Pennabilli e da Tonino nasce un’idea e un incontro con due donne straordinarie: Maddalena Fellini, sorella di Federico il Grande, e per il provino, Monica Bellucci
  7. Il giorno in cui mi ricordò che un paese ci vuole. Valentina Galli si stava laureando a Bologna e la tentazione di restare in città era forte. Ma l’incontro con Tonino le fece cambiare idea e ora insegna nella sua Valmarecchia
  8. Il giorno in cui il poeta si mise a dare i numeri. Il direttore del Museo del calcolo Renzo Baldoni rievoca l’inaugurazione delle stanze dedicate al far di conto. Con un rammarico: non aver potuto dirgli che le zone del cervello stimolate da un poeta o da un matematico, sono le stesse
  9. Il giorno in cui insegnò a noi tedeschi come rendere poetico il paesaggio. Roland Guenter, storico dell’arte da Eisenheim, racconta i festeggiamenti virtuali per il centenario nel parco creato sul Reno nel nome di Tonino e rievoca le lezioni di architettura poetica ricevute da lui e da altri studenti a Pennabilli, decisive per dare alla Ruhr un volto seducente per i turisti culturali
  10. Il giorno in cui mi parlò di Serafim, il santo che dava miele agli orsi. A Gianfranco Angelucci, scrittore e sceneggiatore amico di Fellini, il centenario del poeta del cinema che stiamo festeggiando sul blog, ispira un emozionante video e una lettera aperta a Tonino, con una inedita rivelazione spirituale
  11. Il giorno in cui mi regalò la sua gigantesca anima. Enrica, moglie di Michelangelo Antonioni, rievoca il primo e l’ultimo giorno in cui, tra rumori sapori e ricordi, incontrò il poeta del cinema
  12. Il giorno in cui giocò con la mia Gatta Danzante. Il pittore bolognese dei giardini Antonio Saliola, con rifugio creativo nella Valmarecchia, rievoca la favola di un pomeriggio in cui, sotto i suoi occhi stupiti, il suo felino fece le fusa al poeta del cinema, volteggiando come non mai. A seguire, un singolare documento: i pizzini di Tonino a Lora, sua signora, sulla legione di gatti in casa
  13. Il giorno in cui capii come nacque l’urlo in Amarcord “Voglio una donna!”. Uno storico romagnolo, Davide Bagnaresi, rievoca un incontro con Tonino Guerra in piazza a Bologna sui retroscena del film da Oscar e svela il ritaglio di cronaca che diede vita alla scena con Ciccio Ingrassia. A seguire, i consigli di Tonino per i bravi sceneggiatori
  14. Il giorno in cui assistetti all’incontro tra due grandi italiani: Tonino Guerra ed Enzo Biagi. Rita Giannini, biografa del poeta del cinema, rievoca l’inedito faccia a faccia nello studio in Galleria, a Milano, del popolare giornalista: due emiliani romagnoli, nati entrambi nel 1920, emozionati e liberi di raccontarsi a ruota libera
  15. Il giorno in cui fece cadere la pioggia sulla riviera bollente. Un grande giornalista romagnolo, Giancarlo Mazzuca, rievoca l’incontro a Cervia con il poeta solare fino al midollo che sapeva anche essere l’uomo della pioggia. A seguire: il regalo iridato di Tonino al fotoreporter Daniele Pellegrini
  16. Il giorno in cui conquistò il cuore di medici e infermieri. Il noto pediatra Italo Farnetani rievoca le parole con cui Tonino Guerra commosse 1.200 congressisti a Rimini, richiamando da poeta del cinema l’insegnamento di Ippocrate
  17. Il giorno in cui Sergio Zavoli lo salutò con parole eterne. Del grande giornalista appena scomparso ricordiamo lo speciale addio che diede a Tonino una primavera del 2012 a Santarcangelo
  18. Il giorno in cui mi disse: “Amico poliziotto, scrivi le tue storie gigantesche”. Uno 007 dell’Antidroga, Nicola Longo, incontra il poeta che lo esorta a pubblicare le sue avventure, consegnandogli le chiavi di casa per scriverle. E lo presenta a Fellini intenzionato a girare, dopo la Dolce vita, un film sulla Mala vita
  19. Il vescovo rievoca il giorno in cui Tonino pose le sue radici in un popolo d’onore. L’arcivescovo emerito di Ferrara monsignor Paolo Rabitti, già a capo della diocesi di San Marino e Montefeltro, rievoca il legame speciale che s’instaurò con il visionario poeta del cinema giunto tra i pennesi dopo aver lasciato Roma. A seguire: Mamma Penelina e il Signore: “Lui mi capisce”
  20. Il giorno in cui la Mostra del cinema di Venezia gli renderà l’omaggio più bello. Mercoledì 9 settembre, ore 18: nella Sala Giardino la prestigiosa Biennale onora la memoria del poeta del cinema con interventi di Wim Wenders e Giuseppe Tornatore. Qui la presentazione del direttore della Mostra (testo di Alberto Barbera)
  21. Il giorno in cui Tonino confessò a Fellini di parlare (ma poco) il tedesco. Lo storico del cinema Giuseppe Colangelo, poco prima di essere colpito da un infarto mortale, ripesca dal cassetto della memoria la sera in cui in un teatro lombardo scoprì l’esilarante intervista rilasciata da Fellini, con a fianco Tonino, a una giornalista tedesca: un “dietro le quinte” di Amarcord da non perdere

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