Caro Salvatore, fu un episodio drammatico a portare la mia strada a incrociare quella di Tonino Guerra. E a tutt’oggi considero quell’incontro uno dei più significativi della mia vita. La notte tra il 23 e il 24 gennaio del 1978 rimasi vittima di un’imboscata nella periferia di Roma. Ero appena rientrato da New York, dove ero andato per sviluppare indagini con la DEA (Drug Enforcement Administration). Il mio lavoro sotto copertura riguardava un giro di riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico che coinvolgeva criminali italo-americani. Quella notte rimasi gravemente ferito nell’agguato e fui ricoverato al Celio, l’ospedale militare di Roma.

Tonino Guerra e Nicola Longo

Pennabilli: Nicola Longo (a destra) in visita a Tonino nella Casa dei Mandorli.

Posto in convalescenza, pensai di mettere a frutto la mia esperienza nella lotta contro il traffico di droga per portare avanti un tema già allora a me molto caro: la prevenzione della tossicodipendenza. Utilizzai così le giornate di immobilità forzata per assumere la veste, per me inedita, di scrittore. Il risultato fu un racconto, che dedicai ai miei figli, destinato a mettere in guardia i ragazzi dal pericolo rappresentato dalla droga. Mesi dopo mi trovavo sull’Aspromonte insieme alla troupe televisiva canadese CBC. Facevo da guida per uno speciale sulla ‘ndrangheta emigrata a Toronto. Qui, con mio stupore, fui raggiunto dalla comunicazione che con il mio racconto avevo vinto un premio nazionale per l’operosità in campo culturale. Ma le sorprese non erano finite. Fui infatti contattato da un editore di Roma, che mi propose di firmare un contratto per la pubblicazione del mio scritto, in quanto l’assessore alla Cultura della Regione Lazio, Luigi Cancrini, voleva distribuirlo in via sperimentale in alcune scuole del Lazio. All’editore dissi che ero felice di accettare la sua proposta.

Fu lo stesso editore a volermi mettere in contatto con Tonino Guerra, che in quel periodo era impegnato insieme a Franco Rosi con la sceneggiatura di Cristo si è fermato a Eboli. Essendo da sempre un appassionato di cinema, sapevo bene chi fosse il romagnolo Guerra, il poeta del cinema sceneggiatore di film come i pluripremiati Amarcord di Federico Fellini e Blow-up di Michelangelo Antonioni. Quando lo chiamai, Tonino fu molto gentile e mi disse che avrebbe potuto incontrarmi subito. Lo raggiunsi nel suo attico di Piazzale Clodio, vicino al Tribunale di Roma, luogo a me familiare a causa del mio lavoro. Quando Tonino aprì la porta, mi squadrò dalla testa ai piedi, sorpreso. Realizzai subito che la mia foggia, studiata per mimetizzarmi nell’ambiente criminale, poteva destare qualche timore.

Intelligence & Storia - Nicola Longo

“Mi scusi, non ho avuto tempo di cambiarmi, e inoltre non capisco come una celebrità come lei possa aver trovato interessante il mio racconto”, esordii. Facendomi accomodare, Tonino mi rispose: “Veramente, prima di scrivere per il cinema ho preso una laurea in pedagogia e per anni ho insegnato nelle scuole. Mi è piaciuta molto l’idea di parlare ai ragazzi sui rischi della droga, piaga sociale e tragedia per le famiglie!”.

“Le sue parole mi lusingano, professore!”, risposi, ma lui tagliò corto: “Niente pugnette e niente professore, chiamami Tonino”, Simpatizzammo subito. Tonino volle sapere se ero proprio io quel Nicola Longo di cui spesso leggeva sui giornali. Si ricordava di aver visto su un quotidiano una mia foto insieme a Ursula Andress, che scoprii essere un’amica comune, a corredo di un articolo in cui si parlava del mio attentato. Aveva presente anche un altro articolo intitolato “Droga e James Bond nel Tevere”, accompagnato da una foto che mi ritraeva nell’atto di sottrarmi all’obiettivo del fotoreporter. “Mi pare che anche quell’articolo parlasse di una operazione sotto copertura, è vero?”.

“Sì, è vero, e nel corso di quell’operazione ho ingaggiato una furibonda colluttazione con i quattro spacciatori che poi sono rimasti stesi su Ponte Sisto”.

“Ah! Li hai stesi sparando”.

“No, a cazzotti! Ma quello che ha fatto clamore è stato il tuffo nelle acque gelide del Tevere per recuperare la droga che avevano gettato dal ponte. L’adrenalina era tanta che nemmeno mi ero accorto che uno di loro mi aveva dato una coltellata alla schiena”.

Tonino sembrava rapito dalle mie avventure poliziesche: “Te la giochi così, eh!”, esclamò. “Ma come fai a tirare fuori tutto questo coraggio, non hai paura?”.

“Certo un po’ di paura ce l’ho sempre, molti pensano che io sia un incosciente, ma in realtà forse è proprio quel po’ di paura che mi salva la vita; e poi, se uno ha tanto coraggio, come dici, e non sa regalarlo, a che cosa serve?”. Tonino spalancò gli occhi ed esplose in una di quelle sue risate fanciullesche di cui ancora oggi mi pare di cogliere l’eco, e mi suggerì: “Ma perché non scrivi queste tue storie gigantesche!”. Non avevo mai considerato quella eventualità, e quando ci salutammo gli promisi che ci avrei pensato su.

Federico Fellini e Nicola Longo

Nicola Longo con Federico Fellini in moto e (foto in basso) in visita a Cinecittà. Dopo la Dolce Vita, realizzato negli anni Sessanta, il regista voleva realizzare negli anni Ottanta la Mala Vita a Roma, ma la produzione del film fu bloccata.

Qualche giorno dopo fu Tonino a telefonarmi e a invitarmi a cena. Voleva presentarmi Lora, la moglie russa, e sua suocera Elvira, che erano appena rientrate da Mosca. Lora era ed è un’affascinante poetessa, con gli occhi azzurri come la madre e un sorriso tenero che le illuminava lo sguardo quando premurosa si rivolgeva al marito chiamandolo alla russa “Tonicka”. Elvira, giunonica e decisa, fece una fugace apparizione per salutarmi, mostrandomi un vassoio con della pasta cruda e ripetendo allegramente: “Capellitti! Capellitti! Nicola!”. Tonino, che aveva colto la mia espressione confusa, mi tolse dall’imbarazzo spiegandomi che Elvira voleva dire “cappelletti”, riferendosi ai “pelmeni”, un tipico piatto russo che consisteva in ravioli ripieni di formaggio, uovo e carne macinata, cotti in un brodo vegetale ricco e profumato. Al centro della grande tavola imbandita nel terrazzo pieno di piante di agrumi, pesco e ciliegio, spiccavano un fiasco di lambrusco, del pane e del formaggio prodotti a Santarcangelo di Romagna, e un’anatra arrostita, tutti regali di Dino, il fratello maggiore di Tonino, ma c’erano anche i miei doni portati dalla Calabria: un ampio vaso di vetro con pomodori rossi secchi sottolio e funghetti di pioppo, capperi, aglio e peperoncino; due belle soppressate fatte in casa e fichi secchi ricoperti di cioccolato, con mandorle tostate e pezzetti di cedro e cannella. I pelmeni di Elvira risultarono squisiti, ma non di meno i miei prodotti calabresi, tanto che Lora più di una volta dovette invitare Tonino a non eccedere. La serata trascorse in maniera davvero molto piacevole e tutti eravamo felici.

Come dicevo, Tonino in quel periodo stava ultimando la sceneggiatura di “Cristo si è fermato a Eboli”, tratto dal romanzo autobiografico del pittore e scrittore antifascista Carlo Levi. Ci sentivamo spesso per telefono e ogni volta mi ricordava che avrei potuto trarre un libro interessante dalla mia storia e dal mio lavoro in polizia, e che mi avrebbe aiutato volentieri a ricavarne una sceneggiatura. In seguito, dovendosi recare a Matera e a Craco, in Basilicata, dove si sarebbero girati alcuni esterni del film, mi invitò a raggiungerlo. Pochi giorni dopo ero con lui sul set. In un momento di pausa mi prese per il braccio trascinandomi dolcemente verso Rosi e Gian Maria Volonté, e nonostante mi fossi raccomandato di non dire che mestiere facessi, Tonino mi tradì in modo affettuoso presentandomi come il suo amico poliziotto.

Federico Fellini e Nicola Longo

In quei luoghi di indescrivibile bellezza, avvertivo gli odori e la vicinanza della mia terra, pur essendo palpabile anche la muta e vasta desolazione dei luoghi che avevano ispirato all’autore il titolo della sua opera. Fu un’esperienza unica, straordinaria, e non finivo di ringraziare Tonino per avermi convinto a raggiungerlo. Trovammo anche il tempo di parlare del mio progetto, e io annotavo su un taccuino tutti i suoi preziosi suggerimenti. Presi a scrivere di tutto: della mia rivoluzione lasciata a metà contro il sistema deviato, dell’eco dei colpi di pistola sparati e del rumore ancora più assordante di quelli non sparati. Dei colleghi, dei capi, dei criminali, delle sassate con i compagni di scuola, degli incontri a pugni per la strada e poi sul ring, fino ad arrivare alle Fiamme Oro. Un disordine infinito, che andava dalla Calabria a Roma, e da Roma a Marsiglia fino al Nord America; e ancora l’amore, il disamore, la malattia, la fede, la morte, gli addii, la tenerezza, la compassione.

Una sera, dopo che l’osteria ebbe spento le luci, ci sedemmo fuori al buio a fumare una delle mie sigarette. “La vedi la mia gobba?”, mi disse, mentre con una mano si toccava le spalle. “È il peso del tempo passato a leggere e scrivere, quindi fidati di me! Se ti impegni, scriverai qualcosa di molto interessante”. C’era una nebbia azzurra e nel cielo brillavano le stelle. L’indomani sarei rientrato a Roma. Prima di congedarmi, Tonino mi fece dono dei due volumi del romanzo di Carlo Levi sui quali lui e Rosi avevano lavorato per estrapolare la sceneggiatura, sottolineando brani e appuntando note a margine. Un regalo prezioso che ancora conservo.

Trascorse del tempo e mancava solo un mese a Natale. Volevo fare una sorpresa a Tonino regalandogli una copia del mio libro prima che partisse con Lora per Mosca. Passai a salutarlo e gli porsi il mio lavoro con tanto di dedica: “Ma… forse hai scritto un po’ troppo!”, disse soppesando le pagine rilegate. “Beh! Vedrò di riuscire a leggerlo prima di partire”. Quando ci salutammo mi regalò due suoi splendidi disegni con le farfalle: “Li ho fatti per te, e se ti piacciono, potresti usarli per il tuo libro”.

Passati pochi giorni, squillò il telefono, era Tonino: “Puoi venire da me?”. Presi la mia moto Kawasaki e in breve lo raggiunsi. “Ma stavi dietro la porta? Non ho fatto in tempo a mettere giù il telefono e, Dio bono, sei già qui!”. Mi disse che aveva letto il mio libro e che aveva evidenziato a penna alcuni punti deboli. Ma quando presi a sfogliare le pagine, vidi che i punti sottolineati rappresentavano una buona percentuale del testo. Vedendo la mia delusione mi disse: “Vedi, Nicola, se ho agito come un chirurgo spietato è per dirti che ti apprezzo per qualcosa che trascende lo stile, è per la tua vita eccezionale e la diversa bellezza delle cose belle che sono in te. Io ho notato che è quando scrivi in modo semplice e sereno che esprimi il meglio di te”.

Gli spiegai che da quando Lisa, la mia compagna di allora con la quale avevo un rapporto conflittuale, era rientrata in Italia con il nostro bambino, mi rimaneva difficile trovare momenti di serenità per scrivere. Tonino allora fece un gesto che mi sorprese e che mi incoraggiò ancor di più a dare il meglio di me: mi lasciò le chiavi di casa sua, così sarei potuto andare a scrivere ogniqualvolta ne avessi avuto bisogno. Prima del suo rientro, riscrissi tutte le parti che aveva barrato impietosamente. Alla fine, soddisfatto del mio lavoro, prima di consegnare le chiavi di casa al portiere, gli lasciai una copia del libro sulla scrivania.

Non dovetti attendere molto per ricevere la sua telefonata: “Ho appena finito di leggere il libro, mi ha fatto pensare a quei frutti che ancora credi acerbi, ma poi li assaggi e si sciolgono come il miele”.

“Quindi ti è piaciuto?”

“Sì, mi è piaciuto molto, e visto che domani devo incontrare Fellini, se non hai nulla in contrario, glielo darei”. Figuriamoci, il mitico Fellini… Ovviamente non avevo nulla in contrario, anche se dubitavo che Fellini avrebbe letto il mio libro.

Qualche giorno dopo Tonino subì un furto nel suo appartamento di Roma, mentre si trovava in montagna per qualche giorno di vacanza. Era dispiaciuto soprattutto perché gli avevano portato via i regali ricevuti per il matrimonio con Lora da Fellini, Antonioni, Mastroianni e da altri amici, nonché alcuni premi ricevuti nel corso della sua lunga carriera. Riuscii a recuperare la refurtiva, ma Tonino non volle sporgere denuncia, poiché il ladro era un giovane tossicodipendente che abitava nel suo stesso palazzo e non voleva infierire contro quel ragazzo già sfortunato.

Una mattina fui svegliato dallo squillo del telefono. Era Tonino, che tutto emozionato mi chiedeva di andare subito da lui. Poco prima lo aveva chiamato Fellini comunicandogli che aveva appena finito di leggere il mio libro e che voleva incontrarmi subito nel suo ufficio a Corso d’Italia. Per un attimo pensai che in qualche modo Tonino volesse dimostrarmi la sua gratitudine per averlo aiutato per la faccenda del furto facendomi conoscere Fellini con qualche scusa. Sta di fatto che il mio cervello frullava a mille, mentre mi preoccupavo inutilmente di come mi sarei dovuto vestire. Presi la mia Golf e in un baleno raggiunsi Piazzale Clodio, dove Tonino mi stava aspettando. Fellini ci accolse sorridente, e subito mi puntò l’indice sui muscoli pettorali: “Senti! Senti! È d’acciaio!”, disse rivolgendosi a Tonino, che rispose con la sua risata contagiosa. Avrei voluto dire a Fellini che ci eravamo già incontrati in altre circostanze che forse lui non ricordava e che ero stato io a recuperare la copia originale del suo “Casanova” trafugata da Cinecittà, ma l’emozione e il buon senso mi fecero limitare a dire, stringendogli la mano, che per me era un grande onore conoscerlo. Fellini, molto cortesemente, mi disse che aveva letto delle mie operazioni sui giornali, che aveva deciso di ricavare un film da “La valle delle farfalle” e che già il giorno dopo avremmo firmato il contratto con il produttore. Avrei voluto gridare di gioia, ma rimasi composto, come mio solito. Fui convocato negli uffici dell’Opera film di Renzo Rossellini, dove firmai la cessione dei diritti de “La valle delle farfalle” allo scopo di iniziare subito la lavorazione di un film per la regia di Fellini. Purtroppo alla fine il film che Fellini aveva in mente, una sorta di Mala vita romana dopo la Dolce vita, non si fece più, ma questa è un’altra storia (l’ho ricostruita sul settimanale Oggi del 22.12.2004: “Fellini mi chiamò e disse: Noi due faremo la Mala vita”, Ndr).

Grazie a Tonino ebbi l’occasione di conoscere un altro gigante del cinema, il regista russo Andrej Tarkovskij, con il quale strinsi una solida amicizia. Tarkovskij stava terminando di girare il film “Nostalghia”, e Tonino, che era coautore della sceneggiatura, mi chiamò preoccupato, chiedendomi un grosso favore per il suo amico Andrej. Mi spiegò che dei personaggi molto influenti e pericolosi lo stavano perseguitando, al punto da rendergli difficile uscire di casa per raggiungere il set. Non ci pensai due volte, e individuati i soggetti feci in modo di convincerli ad allontanarsi definitivamente. Tonino amava farmi raccontare ai suoi amici come ero riuscito a risolvere il problema, e ogni volta se la rideva di gusto. Alla fine, il favore lo aveva fatto Tonino a me, presentandomi una persona umile e veramente straordinaria, che ebbi modo di apprezzare non solo come artista, ma anche e soprattutto come amico.

Sono tante le storie che ho vissuto con Tonino. La nostra amicizia è stata una bella e grande avventura, densa di grandi slanci e stima, ma soprattutto di sincero affetto. Dopo che Tonino scelse di trasferirsi a Pennabilli, continuammo a sentirci spesso al telefono, e ogni volta che potevo andavo a trovarlo. Raggiungere la sua casa arroccata sulle pendici occidentali del monte Carpegna, nell’Alta Valmarecchia, specialmente in primavera, con i mandorli in fiore, era una festa. Anche i numerosi gatti di Lora, simpatici e colorati randagi di razze diverse, sembravano felici di vedermi e me lo dimostravano con le loro cerimoniose fusa. Più di una volta ho portato con me i miei figli Jessy, Chiara e Gabriele, e ogni volta Tonino, oltre a incantarli con i suoi racconti, li intratteneva con i suoi colori a cera, componendo splendidi disegni che poi regalava loro. L’estate del 2011 Tonino si fece riprendere nel giardino di casa sua insieme a me, da un amico cineoperatore della RAI. Poi, quando il cielo incominciò a indorare, ci allontanammo da soli in auto. Tonino mi voleva mostrare le fontane da lui ideate e i luoghi a lui cari. A San Leo ci fermammo davanti alla rocca, prigione di Cagliostro, e qui, dopo una pausa di silenzio, Tonino mi disse: “Vedi, Nicola, devi ricordare questo breve viaggio. Ormai, posso considerarmi uno dei pochi pachidermi del cinema rimasti, ed è bello condividere con un vero amico un po’ del tempo che mi resta”. Stavo per rimproverarlo per quello che sembrava un addio, ma trovando superflue le parole scelsi di tacere, e per alcuni attimi restammo a guardarci il silenzio negli occhi.

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Nicola Longo¹ Nicola Longo (Taurianova, 1943) è un funzionario di polizia (oggi in pensione) e criminologo. A 17 anni, grazie al pugilato, è entrato nel Centro Sportivo Fiamme Oro della Polizia di Stato. Lasciata la boxe a causa di una frattura scomposta alla mano, si è dedicato alla lotta libera ed è stato selezionato per questa disciplina per le Olimpiadi di Città del Messico del 1968. Lasciata l’attività agonistica, ha iniziato la carriera investigativa alla Sezione Narcotici della Squadra Mobile di Roma, specializzandosi in operazioni sotto copertura. Ha lavorato per il Sisde, il Sismi e la DEA. Considerato dalla DEA uno dei migliori agenti undercover a livello internazionale, ha portato a termine diverse operazioni tra cui spicca quella che ha fatto chiudere i laboratori marsigliesi per la trasformazione della morfina base in eroina. Ha inoltre condotto operazioni contro il riciclaggio di denaro proveniente dal crimine organizzato e contro il traffico internazionale di armi. Come infiltrato della Polizia italiana ha arrestato esponenti di primo piano della Banda della Magliana, del Clan dei Marsigliesi e diversi boss della mafia e della ‘ndrangheta. È stato inoltre protagonista dell’azione che ha portato all’arresto di Renato Vallanzasca e della sua banda. Il suo libro “Poliziotto”, edito nel 2013 da Castelvecchi, traccia un quadro nitido della criminalità romana tra gli anni ‘70 e ‘80 e raccoglie sei storie vere che avrebbero dovuto essere gli episodi della serie televisiva che Longo e Fellini scrissero con l’aiuto dello scrittore e regista Gianfranco Angelucci nel 1983.

Quando il poeta del cinema battezzò Nicola “il Serpico di casa nostra”


A PROPOSITO/ UN BRANO DALLA PREFAZIONE ALL'AUTOBIOGRAFIA DI LONGO

Caro Nicola, la tua vita nella Roma decadente merita un film. Parola di Tonino Guerra

La valle delle farfalle? Un autobiografico romanzo giallo che fa convivere poesia e azione in una capitale scoperta malavitosa con anni di anticipo ”

La valle delle farfalle è un romanzo autobiografico scritto da un famoso poliziotto che ha operato dagli anni Settanta agli anni Duemila, fino all’apice dell’attività investigativa: narra di un giovane nato nel profondo Sud, in cui già da piccolo evidenzia un coraggio straordinario trasmesso attraverso cause ed effetti esistenziali che aderiscono perfettamente al personaggio, protagonista un domani di avventure poliziesche che lo faranno diventare un mito.

Quest’ultima stesura risale al 1994 e non è stata mai pubblicata, ma nonostante il tempo trascorso suscita emozioni che non trovano confronto con altri personaggi che caratterizzano la vicenda professionale di un poliziotto: prevalgono i sentimenti di un giovane calabrese che, arruolatosi per affermarsi nello sport, si trova a combattere il fenomeno della droga, infiltrandosi prima negli ambienti hippies e poi in quelli della criminalità organizzata.

Muovendosi con costante ansia di giustizia alla ricerca di spacciatori e trafficanti, si vede obbligato ad arrestare un giovane, calabrese come lui, che per sopravvivere e pagarsi le lezioni di danza vende droga sulla scalinata di Piazza di Spagna. Dietro c’è una storia commovente in cui prevalgono i sentimenti del poliziotto, che rinuncia ad arrestarlo mettendo a rischio la sua integrità professionale. Ma l’audacia e la naturale compostezza che offre nel combattere il crimine lo salvano da ogni situazione di pericolo, reagendo sempre con onestà e coraggio a qualunque sorta di violenza senza mai perdere la comprensione verso i più deboli.

Dalla Calabria a Roma, quando in Italia non esisteva il grado di ispettori e la Polizia di Stato, non ancora demilitarizzata, era chiamata Pubblica Sicurezza, attraverso il personaggio di Nicola Longo (nel romando è Francesco D’Amore) veniamo a conoscenza della precarietà della Squadra Mobile romana. La Sezione Narcotici, sorta con pochi mezzi, è impreparata a contrastare il crimine organizzato dedito al traffico internazionale della droga. Ma la “Drug Enforcement Administration” del Dipartimento di Giustizia statunitense, tramite i suoi agenti speciali, chiede la collaborazione del giovane maresciallo Francesco D’Amore. Il protagonista viene a loro aggregato presso l’Ambasciata USA, dove è concentrata una intelligence investigativa che ha l’arduo compito di neutralizzare il traffico dei narcotici e principalmente dell’eroina. In quel periodo, infatti, la mafia siciliana introduce questo stupefacente in America, causando un’allarmante crisi di salute pubblica.

Attraverso la sua infanzia l’autore narra a grandi immagini il percorso intrapreso dal profondo Sud: la piana di Gioia Tauro, le pendici dell’Aspromonte, la strada percorsa prima nello sport con la boxe, poi in Polizia nella Sezione Narcotici di Roma, fino a raggiungere un ruolo da protagonista nella struttura che combatte il traffico internazionale della droga.

La metamorfosi della farfalla a cui l’autore s’ispira rappresenta la condizione di un ragazzo del Sud che s’impone di cambiare la sua vita con determinazione, Lascia la boxe per inseguire un ideale di giustizia e affronta il processo di trasformazione in un momento di profonda crisi. Un periodo di attesa in cui si trova alla Scuola di Polizia di Nettuno, rinunciando alla bella Angela, si prepara ad affrontare il grande viaggio, a spiccare il volo. Sintesi emblematica della crisalide che, nei ricordi del personaggio, si schiude per il movimento delle tenui ali di un macaone che vola verso la valle, verso un clima più mite. Come tutte le primavere, migliaia e migliaia di farfalle si adunano per librarsi laggiù, nella lontana Calabria. Tra contrasto estremi di poesia e crudeltà, riaffiorano sentimenti densi di struggimento…

La storia parte da alcuni episodi salienti dell’infanzia, che fanno da filo conduttore alle future scelte di vita del protagonista. Una delle punte più prestigiose della Pubblica Sicurezza insieme al suo capo, il commissario Renato Capuano, e insieme all’anziano collega Peppino Germone. Gli agenti americani Vincent Messina e John Fichera, poi, non trascurano l’abilità di questo giovane calabrese, che s’inserisce in un contesto difficile con azioni e scelte pericolosissime. Un crescendo continuo di suspense in cui Francesco D’Amore, ricco di gran coraggio, vive esclusivamente per il suo lavoro ottenendo molti successi. Una rapidissima carriera che, a quel tempo, gli fa meritare il grado di maresciallo, il più giovane in Italia!

Quando gli americani lo richiedono ufficialmente per partecipare a una delicata indagine “undercover” a Palermo, si sviluppa il tema centrale del romanzo: le dure condizioni di vita di un semplice poliziotto, desideroso di fare il suo lavoro bene e onestamente.

È proprio in questa fase impegnativa che viene fuori l’aspetto più intimo del personaggio. È descritto l’arrivo della vecchia madre sorda in città e il loro incontro commovente; il rapporto denso di passione con la giovane Maria, che lavora in una lavanderia; l’amore contrastato con Lisa, la ragazza americana figlia del capo della D.E.A. di Roma.

Ci sono anche alcuni ritorni al paese d’origine dove la vita scorre come se fosse immobile nel tempo. Il padre, maresciallo dei Carabinieri, è sempre alla ricerca di un bandito che vive alla macchia da molti anni. È l’incontro tra Francesco e il bandito, in una giornata di caccia, che ci dà una delle immagini più autentiche di una terra spietata e insieme profondamente umana, quando la parte intima del personaggio mostra il suo lato più buono rinunciando alla cattura del bandito.

Una rinuncia che, invece di indebolire, rafforza l’animo del protagonista, un investimento di fede così come aveva previsto il “Santone”, un ragazzo hippy suicida di Piazza di Spagna, che in un breve messaggio scritto ipoteca il destino del giovane maresciallo.

Il racconto di Nicola Longo mette in moto un’insolita nostalgia apprezzata da Federico Fellini non tanto per la dichiarata matrice autobiografica, quanto per la natura della trascrizione letteraria messa a punto senza pudori, con una particolare sensibilità che convince, cattura in una visione attenta.

Il viaggio di Francesco dura fino alla metà degli anni Settanta: brevi accenni al terrorismo nero e sporadici riferimenti alle brigate rosse, che non sembrano lievitare interessi tali da far pensare a un collegamento con la mafia, la quale invece preferisce coltivare legami e vincoli con una certa lobby massonica (una parte deviata del sistema utile per poter riciclare il denaro spesso proveniente dal crimine organizzato).

Ne corso delle indagini, oltre al traffico di droga, si susseguono misteriosi omicidi che conducono sullo stesso percorso del narcotraffico. Una Roma crepuscolare e decadente che s’inoltra tra i vicoli in ombra, priva di splendore, conducendoci per mano ad “ascoltare” il buio, le tensioni accumulate, talvolta con amarezza.

Il capo d’azione è largo, a tratti schiarito da sentimenti che si spingono oltre, in una ricerca incessante di verità, fino ad arrivare nel mondo occulto delle messe nere che fanno temere sacrifici umani.

Nicola Longo mette da parte l’invulnerabilità dell’eroe ed espone la parte più delicata mostrando un temperamento da narratore istintivo che comunica con il mondo esterno e, stranamente, riesce a far convivere poesia e azione.

Il racconto finisce nel momento in cui “Schizzo”, il ragazzo hippy che balla acrobaticamente sulle balaustre della scalinata di Piazza di Spagna accompagnato dalla sua piccola armonica, esce di scena spezzando quell’unico segmento di amicizia nato spontaneamente e senza reali interessi, ponendo così in discussione tutto ciò che s’era costruito fino a quel momento.

Francesco si riconcilia con la vita grazie a Lisa, che aspetta un bambino. Mentre dorme, continua a lenire il suo dolore trattenendolo in un caldo abbraccio. Risvegliandosi dal breve sonno in cui si rivede bambino nella valle delle farfalle, finalmente trova le risposte a tutte le sue domande: è scritta dalla luce del sole su una delle pareti della camera da letto.

Questa è una parte della vita di Nicola Longo, ma chi è in realtà Nicola Longo? Soprattutto un uomo, al di là della sua qualifica di poliziotto, oltre la notorietà, le soddisfazioni, le angosce e la sofferenza che la coerenza nella sua professione gli hanno procurato. È la storia di un “puro” nel senso più vasto della parola, tanto leale da rasentare l’ingenuità di chi crede con profonda convinzione nel buonsenso delle proprie azioni, senza rendersi conto o senza vedere i lati peggiori degli uomini, che certo non agiscono con la sua stessa lealtà.

Tonino Guerra

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Da “Tonino Guerra 100: stop agli eventi ma non ai ricordi”:

  1. Edoardo Turci e l’infanzia del poeta. Uno storico locale di Sant’Angelo di Gatteo (da dove proveniva la madre di Tonino) rievoca i primi anni della grande firma del cinema in coincidenza con il centenario della sua nascita. È il primo dei contributi che leggerete su Giannella Channel. A seguire: un testo ritrovato di Sepulveda, al quale auguriamo una completa guarigione
  2. La scintilla poetica scoccata nel lager. La prigionia in Germania vede Tonino farsi Omero per i suoi compagni di sventura che con lui condividono il dialetto romagnolo. Per fortuna un medico ravennate, Gioacchino Strocchi, scriverà un diario dettagliato di quei giorni insieme, annotando i testi poetici che Antonio crea e recita ai compagni. Al ritorno in Romagna quei testi diventano un libro e la poesia resta in lui un nutrimento per l’anima
  3. Il giorno che disse grazie, dopo 66 anni, a un angelo di Verona. Nella Giornata della poesia, dieci anni fa, fui testimone di una storia degna di un film di Tonino e Fellini. Dalle fila di un teatro veronese si concretizzò a sorpresa la figura di una pasticcera che, a suo rischio, aveva portato dolciumi e sapone a Tonino prigioniero dei nazifascisti in quella città veneta, in attesa di essere trasferito via treno nel lager
  4. Il giorno in cui mi presentò Eliseo, il Socrate della Valmarecchia. Un noto fotoreporter accompagna il cantore della valle all’incontro con il saggio curatore di un orto. E le ore si riempirono di poesia e di ironia in questa quarta puntata del viaggio per il centenario di Tonino Guerra (testo e foto di Vittorio Giannella per Giannella Channel)
  5. Il giorno in cui accese il fuoco del teatro alle porte di Milano. Il fondatore e direttore di Emisfero Destro Teatro risponde al nostro appello rievocando il festival e l’incontro a Cassina de’ Pecchi che illuminò il futuro artistico suo e di tanti altri giovani di quel borgo lombardo
  6. Il giorno in cui donò, a me regista, la neve sul fuoco. Marco Tullio Giordana doveva girare, nel film “La domenica specialmente”, l’episodio più poetico, tra fascino della sensualità e tristezza della solitudine. Ma quel titolo era appesantito da un mattone. Un viaggio a Pennabilli e da Tonino nasce un’idea e un incontro con due donne straordinarie: Maddalena Fellini, sorella di Federico il Grande, e per il provino, Monica Bellucci
  7. Il giorno in cui mi ricordò che un paese ci vuole. Valentina Galli si stava laureando a Bologna e la tentazione di restare in città era forte. Ma l’incontro con Tonino le fece cambiare idea e ora insegna nella sua Valmarecchia
  8. Il giorno in cui il poeta si mise a dare i numeri. Il direttore del Museo del calcolo Renzo Baldoni rievoca l’inaugurazione delle stanze dedicate al far di conto. Con un rammarico: non aver potuto dirgli che le zone del cervello stimolate da un poeta o da un matematico, sono le stesse
  9. Il giorno in cui insegnò a noi tedeschi come rendere poetico il paesaggio. Roland Guenter, storico dell’arte da Eisenheim, racconta i festeggiamenti virtuali per il centenario nel parco creato sul Reno nel nome di Tonino e rievoca le lezioni di architettura poetica ricevute da lui e da altri studenti a Pennabilli, decisive per dare alla Ruhr un volto seducente per i turisti culturali
  10. Il giorno in cui mi parlò di Serafim, il santo che dava miele agli orsi. A Gianfranco Angelucci, scrittore e sceneggiatore amico di Fellini, il centenario del poeta del cinema che stiamo festeggiando sul blog, ispira un emozionante video e una lettera aperta a Tonino, con una inedita rivelazione spirituale
  11. Il giorno in cui mi regalò la sua gigantesca anima. Enrica, moglie di Michelangelo Antonioni, rievoca il primo e l’ultimo giorno in cui, tra rumori sapori e ricordi, incontrò il poeta del cinema
  12. Il giorno in cui giocò con la mia Gatta Danzante. Il pittore bolognese dei giardini Antonio Saliola, con rifugio creativo nella Valmarecchia, rievoca la favola di un pomeriggio in cui, sotto i suoi occhi stupiti, il suo felino fece le fusa al poeta del cinema, volteggiando come non mai. A seguire, un singolare documento: i pizzini di Tonino a Lora, sua signora, sulla legione di gatti in casa
  13. Il giorno in cui capii come nacque l’urlo in Amarcord “Voglio una donna!”. Uno storico romagnolo, Davide Bagnaresi, rievoca un incontro con Tonino Guerra in piazza a Bologna sui retroscena del film da Oscar e svela il ritaglio di cronaca che diede vita alla scena con Ciccio Ingrassia. A seguire, i consigli di Tonino per i bravi sceneggiatori
  14. Il giorno in cui assistetti all’incontro tra due grandi italiani: Tonino Guerra ed Enzo Biagi. Rita Giannini, biografa del poeta del cinema, rievoca l’inedito faccia a faccia nello studio in Galleria, a Milano, del popolare giornalista: due emiliani romagnoli, nati entrambi nel 1920, emozionati e liberi di raccontarsi a ruota libera
  15. Il giorno in cui fece cadere la pioggia sulla riviera bollente. Un grande giornalista romagnolo, Giancarlo Mazzuca, rievoca l’incontro a Cervia con il poeta solare fino al midollo che sapeva anche essere l’uomo della pioggia. A seguire: il regalo iridato di Tonino al fotoreporter Daniele Pellegrini
  16. Il giorno in cui conquistò il cuore di medici e infermieri. Il noto pediatra Italo Farnetani rievoca le parole con cui Tonino Guerra commosse 1.200 congressisti a Rimini, richiamando da poeta del cinema l’insegnamento di Ippocrate
  17. Il giorno in cui Sergio Zavoli lo salutò con parole eterne. Del grande giornalista appena scomparso ricordiamo lo speciale addio che diede a Tonino una primavera del 2012 a Santarcangelo