Un’esortazione a una “comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, grazie alla quale si possa imparare a guardare la realtà con consapevole fiducia”. In occasione della cinquantunesima giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2017, dal titolo “Non temere, perché io sono con te” (Is. 43,5).

“Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”, Papa Francesco ha diffuso un messaggio di speranza al mondo dei giornalisti e degli operatori della comunicazione. Troppa enfasi posta sulle cattive notizie (guerre, terrorismo, scandali, azioni nefaste, violenze), poco spazio alle notizie belle, che trasmettono valori, infondono speranza, raccontano verità che spesso diamo per scontate o ignoriamo del tutto (azioni di solidarietà, di volontariato e aiuto al prossimo, iniziative benefiche di ogni tipo). Occorre una conversione dei cuori, un rovesciamento di prospettiva.

Il Pontefice non nasconde le difficoltà nel far prevalere un punto di vista di questo tipo: “Del resto, in un sistema comunicativo dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione. Vorrei dunque offrire un contributo alla ricerca di uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista, ma cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia”.

I giornalisti, quindi, devono imparare a leggere la realtà con le lenti giuste, senza cedere al disfattismo e al catastrofismo, bensì alimentando nell’opinione pubblica il circuito virtuoso delle buone notizie, che infonde speranza in un domani migliore e trasmette fiducia nelle capacità dell’uomo di far prevalere il bene. A partire dalla Buona Novella per eccellenza, che è il Vangelo di Gesù. Molto acutamente il Papa osserva che quella buona novella non è tale perché priva di sofferenza, bensì perché la sofferenza è vissuta in un quadro più ampio, parte integrante dell’amore per il Padre e per l’umanità.

“La fiducia nel seme del Regno di Dio e nella logica della Pasqua non può che plasmare anche il nostro modo di comunicare”, scrive Papa Francesco nel messaggio. “Chi, con fede, si lascia guidare dallo Spirito Santo diventa capace di discernere in ogni avvenimento ciò che accade tra Dio e l’umanità, riconoscendo come Egli stesso, nello scenario drammatico di questo mondo, stia componendo la trama di una storia di salvezza”.

Ecco perché una riflessione non superficiale su questo messaggio del Papa potrebbe servire molto al mondo dell’informazione italiana, sempre più ripiegato sul negativo e sempre meno disponibile a lasciarsi stupire dalle good news, da quelle belle notizie che riconciliano col mondo e che ricordano agli scettici quanto sia superiore il bene rispetto al male e quanto la forza del bene sia in grado di plasmare l’uomo e di redimerlo.

I giornalisti possono diventare straordinari attori in questa battaglia, megafoni e protagonisti di una palingenesi del modo di fare informazione e di raccontare la realtà.

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ruben-razzante* Fonte: huffingtonpost.it. Le notizie più importanti, le opinioni più diverse, i titoli più audaci: è la missione de l’Huffington Post Italia diretto da Lucia Annunziata, in collaborazione con il Gruppo L’Espresso. Ruben Razzante (foto) è docente di Diritto dell’Informazione all’Università Cattolica di Milano e all’Università Lumsa di Roma. Ha pubblicato diversi manuali sul diritto dell’informazione. Specializzato nelle tematiche del diritto alla privacy e della deontologia del giornalista, della tutela dei diritti in Rete e della libertà d’espressione in senso lato. Da giornalista professionista ha lavorato in passato anche nelle redazioni di Radio 24-Il Sole 24 Ore e Il Giornale (sotto la direzione di Indro Montanelli e Vittorio Feltri). Presiede la giuria che assegna annualmente il Premio “Cinque stelle al Giornalismo”, istituito nel 2006, attraverso il quale Milano Marittima e, in primo luogo, il Palace Hotel intendono qualificare la loro offerta, dimostrando attenzione non solo al turismo e al tempo libero, ma anche al mondo della comunicazione.

A PROPOSITO

Quando la mia piccola casa editrice anticipò un’utopia non impossibile: “Habemus papam, Francesco”

la copertina di "Habemus Papam, Francesco", di Paolo Farinella, Editoriale Delfi, 2000, 192 pagine,14 euro. Alcune copie sono ancora disponibili, prenotandole alla mail: salvatoregiannella@yahoo.it

La copertina di “Habemus Papam, Francesco”, di Paolo Farinella, Editoriale Delfi, 2000, 192 pagine, 14€.  Alcune copie sono ancora disponibili, prenotandole alla mail: salvatoregiannella@yahoo.it

“Habemus Papam, Francesco”: l’annuncio del nuovo pontefice mi ha colto in viaggio nell’Estremo Oriente e ha provocato un’emozione enorme perché proprio con quel titolo, nel gennaio del 2000, avevo varato un libro nella piccola bottega editoriale DELFI che avevo creato tra il 1994 (anno in cui lascia la direzione del mensile Airone) e il 2000 (anno del ritorno in redazione, chiamato da Paolo Occhipinti, direttore storico del settimanale Oggi per la cura delle pagine di cultura e scienza).

“Habemus Papam, Francesco” aveva come sottotitolo “Il primo pontefice del terzo millennio in un racconto profetico che arriva da un eremo di Gerusalemme” e in copertina avevo scelto un particolare dell’affresco di Giotto ad Assisi “San Francesco rinuncia agli averi”.

Le parole con cui Jorge Mario Bergoglio, secondo pontefice del terzo millennio, ha motivato la sua scelta possono essere una felice recensione sintetica di quel libro: “Voglio una Chiesa povera per i poveri. Per questo ho scelto di chiamarmi Francesco, come Francesco d’Assisi, uomo di povertà, uomo di pace. L’uomo che ama e custodisce il Creato; e noi oggi abbiamo una relazione non tanto buona col Creato…”.

L’autore che mi aveva mandato il dattiloscritto era l’allora poco conosciuto Paolo Farinella, prete di Genova e studioso della Bibbia che, dopo una vita vissuta tra gli ultimi, si era trasferito a Gerusalemme, nello Studium Biblicum Franciscanum per dedicarsi agli antichi amori: le Sacre Scritture e le lingue orientali. Cominciai a leggere le pagine a sera, prima di addormentarmi, e continuai a leggerle fino all’ultima riga. Se torno a parlarne è perché ho visto che, dopo le numerose citazioni riportate dalle cronache di queste ultime ore, chi va a cercare questo volume dell’Editoriale Delfi (poi rieditato, con una rielaborazione ampliata da Paolo prete rientrato nella sua Genova, lo scorso anno da Gabrielli con il sottotitolo “La leggenda del Papa che abolì il Vaticano”) trova la scritta: “Prodotto esaurito”. In realtà, alcune copie (dopo averne messe in circolazione molte altre, una andò anche al regista Nanni Moretti quando, nel 2010, seppi che stava preparando il suo film “Habemus Papam”) le ho conservate nella mia libreria personale e sono disponibili per chi volesse prenotarle alla mia mail: salvatoregiannella@yahoo.it (acquistabile anche sul marketplace Amazon).

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Jorge Mario Bergoglio, secondo pontefice del terzo millennio, ha motivato così la scelta del nome Francesco I: “Voglio una Chiesa povera per i poveri. Per questo ho scelto di chiamarmi Francesco, come Francesco d’Assisi, uomo di povertà, uomo di pace. L’uomo che ama e custodisce il Creato; e noi oggi abbiamo una relazione non tanto buona col Creato…”

L’ho ripreso in mano in queste ore e mi sono trovato a rileggere la presentazione che vi giro.

Agli sgoccioli del terzo millennio, attese e delusioni si fondono insieme. Il mondo laico si interroga non meno di quello religioso. Che senso ha questa conclamata celebrazione, venata di millenarismo? Francesco, primo pontefice del terzo millennio, è la risposta profetica, istintiva e anche drammatica: la sorpresa e la fantasia siedono sul non-trono di Pietro. Un romanzo? Un giallo? Una rivoluzione inattesa, anche se sperata? Il libro Habemus Papam, Francesco è tutto questo, anche se non solo questo.

Nell’ultimo conclave, ambientato idealmente nel giorno di Natale del 1999, a loro insaputa, i cardinali eleggono un semplice prete della diocesi di Genova che assume il nome di Francesco. Il nome stesso è il suo programma. Nel discorso Urbi et Orbi del 1° gennaio dell’anno 2000, di fronte al mondo attonito e allo sconcerto ecclesiastico, in piazza San Pietro, Francesco I si spoglia di tutti i suoi averi (vesti pontificali, insegne di potere, parole di onnipotenza), abolisce di fatto il Vaticano (congregazioni, Ior, titoli onorifici ecc.) per restare semplicemente un uomo pellegrino sulle strade del mondo che, come Francesco d’Assisi, indica la via del futuro: il ritorno alle sorgenti evangeliche e alle fonti dell’umanità… con un colpo di scena finale.

Il racconto di un testimone oculare, narrato come memoria, è frutto di un’intuizione che si propone come un’utopia non impossibile e, proprio per questo, come proposta dirompente oltre il muro d’incenso celebrativo che avvolge persone ed eventi nel varcare la soglia del terzo millennio. Credenti e non credenti che hanno letto le bozze di questo racconto profetico che arriva da un eremo di Gerusalemme hanno suggerito all’autore di renderlo pubblico. Come una riflessione e una storia che sognano la profezia, indipendentemente dalle date che restano puramente occasionali.

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