Due incontri negli affollati padiglioni del Salone del Libro di Torino fanno affiorare un sorprendente ricordo dell’autore de “Il sergente nella neve”
L’attualità della memoria
intervista di Salvatore Giannella per Sette* / Corriere della Sera
Negli affollati padiglioni della manifestazione di Torino mi si è materializzato, tra le lunghe code lunghe per gli incontri con le grandi firme, lo scrittore e alpinista Mauro Corona (arrivato anche per presentare l’ultimo romanzo di Luigi Maieron, Te lo giuro sul cielo, Chiarelettere e coinvolto nell’ingorgo dei più giovani per un autografo di Fabio Volo) e, poco dopo, assisto nello spazio della Regione Veneto alla presentazione della rete dei premi letterari “Il Veneto per la scrittura” (il Gambrinus Mazzotti, che mi ha visto anche relatore sulla figura di quel ‘Robinson delle ville venete’, ne parlerò in un prossimo testo; il premio di poesia Mario Bernardi; il Giovanni Comisso; il Segafredo-Zanetti, dedicato a “Un libro per il cinema”; il Leonilde e Arnaldo Settembrini; e il Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delle Alpi, con le emozionanti parole di Giuseppe Mendicino, biografo di quel gigante dell’altopiano di Asiago, e del giornalista e organizzatore culturale Sergio Frigo, fresco autore del volume “I luoghi degli scrittori veneti”, edito da Mazzanti, itinerari nei mondi evocati da 27 grandi scrittori di quella regione: da Ippolito Nievo a Emilio Salgari, da Dino Buzzati ad Andrea Zanzotto, da Luigi Meneghello a Goffredo Parise, a Rigoni Stern… ).
Corona e Rigoni Stern: erano i due nomi al centro della mia intervista dell’estate 2014, quando curavo la serie “Il mio eroe” (182 dialoghi, i primi 80 sono in uscita, arricchiti, dalla bolognese Minerva con il titolo “In viaggio con i maestri”) per lo storico magazine del Corriere della Sera, Sette, per cinque anni diretto da Pier Luigi Vercesi, asso nel fare giornali e libri. In quell’intervista Corona svelava una sorprendente tessera del suo lato umano. Rileggiamola.
Caro Mauro, ritirando a marzo a Riva del Garda il premio Rigoni Stern hai pronunciato parole inattese: “Quando questa notte tornerò a casa e mi guarderò allo specchio, mi dirò che forse ce l’ho fatta a uscire dall’inferno”. Spiega meglio.
“Io quella sera sono uscito da una vita scellerata. Alcolismo, bracconaggio, ubriachezza, famiglia disfatta… ho capito ricevendo quel premio che ce l’avevo fatta, sono riuscito a riscattarmi. E il merito è stato di Mario Rigoni Stern”.
Quando l’hai conosciuto?
“Avevo letto i suoi libri e mi ci ritrovavo tra le sue pagine, dal Bosco degli urogalli al Sergente nella neve… Tutti scritti con questa delicatezza mirabile, impensabile in un uomo possente come era lui. Allora mi prese voglia di andare a conoscerlo e a 40 anni mi avviai verso casa sua sull’altopiano di Asiago. Avvicinarlo era di una semplicità disarmante: arrivai in questa casa essenziale, con all’esterno una scala, fatta apposta per non dimenticare di fare fatica, perché la fatica tempra l’uomo, lo tiene in salute e lo rende meno aggressivo. Mi ubriacò di racconti, di guerra e di natura”.
Ne parli come un innamorato…
“E innamorato lo ero davvero. Mi parve un larice. Quando si cammina in montagna tra le nebbie sono i larici a fare di riferimento, altrimenti ti perdi. La mia rinascita verso una vita migliore la devo a lui. Un’altra volta lo ritrovai come giurato in un premio, portai a casa i consigli giusti per migliorare come narratore di storie. Capii che lui, Mario, era il padre che non avevo avuto, il padre paziente invece di quello brutale che avevamo conosciuto in famiglia. Lui mi insegnava di alberi, di boschi, di caccia come prelievo del capitale naturale che si rinnova, di ritmo della vita e delle sue stagioni. Mi tagliava con dolcezza le unghie del provocatore che ero. Mi raccontava come vincere la nuova guerra contro l’inquinamento e il consumismo esasperato”.
In tempi di spending review e di sobrietà, Rigoni Stern è di grande attualità.
“Sarebbe bello che fosse letto dai giovani abituati a libri metropolitani grondanti di violenza. Perché i giovani sono pronti a recepire ma vanno indirizzati e purtroppo di maestri come Mario, che dovrebbero essere autori d’obbligo a scuola, nelle aule non c’è traccia. Lui potrebbe insegnare l’essenzialità, l’accontentarsi, il sorridere, la fatica, il camminare a piedi, il valore di una nevicata anche in città e della manualità, degli artigiani e delle guide alpine. Se l’umanità imparasse a imitarlo un po’, beh, il mondo funzionerebbe meglio”.
Dalla collana “Il mio eroe”:
- Giovanni Palatucci (1909-1945), scelto da Ennio Di Francesco, già commissario di Polizia e fautore del Movimento democratico della riforma della polizia
- Giuseppe Caronia (1884-1977), grande pediatra che salvò molti ebrei e antifascisti a rischio della sua vita, è l’eroe scelto da Italo Farnetani, il medico dei piccoli
- Roberto Baggio sceglie il maestro buddhista Daisaku Ikeda, che ha dedicato la vita a sradicare le cause della violenza
- E Gianni Boncompagni scelse Arturo Benedetti Michelangeli, il più grande pianista del mondo tifoso di Enzo Ferrari e Topolino
- Nerio Alessandri: quel giorno nella vita di mr. Technogym, il romagnolo che fa muovere il mondo: “Il mio eroe? Un altro innovatore che, come me, partì da un garage: Steve Jobs“
- Dario Fo elogia il Ruzzante: “Fu un vero rivoluzionario, l’unico che, in forma satirica, ha parlato del suo tempo”
- Urbano Cairo: “Se scalo le montagne lo devo a un filosofo-faro: Napoleone”
- Antonio Cederna, giornalista e battagliero difensore della città, del paesaggio, della bellezza italiana
- Brunello Cucinelli dona bonus culturale ai suoi 1.450 dipendenti e sceglie Marco Aurelio
- E don Ciotti mi indicò il suo eroe: Tonino Bello, vescovo degli ultimi
- Michael Collins: era italiano il gregario spaziale rimasto a orbitare intorno alla Luna. Ecco chi me lo raccontò
- Zorro, cent’anni fa nasceva la leggenda del giustiziere mascherato (l’eroe di Etro)
- Un eroe e un amore che, mi confidò, abitavano nella mente di Luciano De Crescenzo
- Rossana e Carlo Pedretti: le loro vite nel segno di quel genio di Leonardo
- E Roberto Bolle mi confidò: “Il mio eroe? Adam, bambino soldato d’Africa”
- Fabrizio Barca: “il mio uomo faro? Amartya Sen. Quell’economista e Nobel indiano ha dato una risposta alle paure e alla arida globalizzazione”
- Raffaella Carrà: “Felicità è aver avuto una nonna come Andreina mia maestra in una Romagna che era piena di note e di libertà”
- Lo spirito guida di Massimo Giletti? Toro Seduto, un leader lontano da potere e profitto
- Quando Maria Rita Parsi mi illuminò il suo spirito guida: Giovanni Bollea, esploratore delle menti bambine
- Giuseppe Masera: “per chi come me ha dedicato una vita nella battaglia alla leucemia infantile, la figura di Giovanni Verga assume i contorni di un gigante”
- Nel glossario di Andrea Camilleri inserite la voce: Mandrake, l’idolo che mi confessò
- Quando il grande giornalista Enzo Bettiza mi indicò il suo eroe vivente: Mario Draghi, italiano europeo che punta su competenza e controllo
Buongiorno, sarebbe corretto segnalare che la foto in bianco e nero di Corona che apre l’articolo è di Filippo Bolzonella, non solo non citato ma neppure contattato per accordarsi sui diritti (e eventuali costi) d’uso dell’immagine…