Un anno fa l'addio a Raffaella Carrà: "Felicità è aver avuto una nonna come Andreina mia maestra in una Romagna che era piena di note e di libertà"

IL BELLO DELLA MEMORIA – Reprint

intervista di Salvatore Giannella per Sette / Corriere della Sera*

Un anno fa l'addio a Raffaella Carrà: "Felicità è aver avuto una nonna come Andreina mia maestra in una Romagna che era piena di note e di libertà"

IL BELLO DELLA MEMORIA – Reprint

intervista di Salvatore Giannella per Sette / Corriere della Sera*

 
Un anno fa ci lasciava Raffaella Carrà e io mi associo a quanti, sui giornali come Oggi e in Rai (con un servizio sul Tg3 in cui hanno mostrato una foto storica di lei con nonna Andreina) hanno ricordato quella talentuosa regina della musica e dello spettacolo. Per l’occasione mi è riaffiorato il ricordo dell’amica che mi aveva invitato negli studi televisivi (dicendomi una cosa molto importante: “Io credo che la tv debba offrire modelli positivi che facciano venire voglia di essere copiati”) e ripropongo il dialogo che ebbi con lei, confluito a febbraio 2017 nella rubrica su Sette, lo storico magazine del Corriere della Sera, e poi nel libro “In viaggio con i maestri” (Minerva, 2018).

Raffaella Carrà, nome d’arte di Raffaella Roberta Pelloni (Bologna, 1943 - Roma, 2021) e - in basso - la nonna Andreina.
I ritratti digitali sono stati ricavati da una rara foto tratta dall’album di famiglia.

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Cara Raffaella, la galleria delle persone che hanno contato nella tua carriera è ricca di grandi nomi: Frank Sinatra, incrociato a Hollywood per il film Il colonnello Von Ryan; Gianni Boncompagni; Giovanni Salvi, direttore di RaiUno; Sergio Japino

“Sì, ma come per tutti, quello che conta è il primo incontro importante che per me è associato a un luogo e a un nome caro: Bellaria, paese profumato di piadine e tagliatelle sulla riviera di Rimini, e Andreina, mia nonna materna, che gestiva una gelateria nella piazza centrale e che mi accoglieva nei mesi estivi. Se Bologna, dove sono nata, era il luogo delle fatiche, del dovere e dell’impegno scolastico sotto gli occhi vigili di mia madre Iris, Bellaria era invece il luogo della vacanza e della libertà, scandito dalla musica. Perché Andreina, oltre a essere brava come commerciante, suonava il violino, e tutte le notti mi addormentavo accanto a lei con indimenticabili colonne sonore: mi cantava i brani delle romanze più famose, e io prendevo sonno cullata dalla sua voce”.

Se la elevi a tuo personaggio di riferimento, Andreina avrà avuto altri meriti…

“Certo, intanto lei è stata la prima a credere nelle mie qualità artistiche. Da piccola volevo fare la coreografa, mestiere che credevo avrebbe valorizzato al massimo la mia creatività. È stata lei a farmi conoscere il mondo della danza classica a Bologna, dove veniva spesso a trovarmi. Poi mi ha strutturata bene grazie al poker delle sue qualità. Lei era dotata di un equilibrio straordinario e mi ha insegnato la ricerca dell’equilibrio nella vita. Mi ha trasmesso l’importanza della riflessione, di pensar bene prima di parlare. Soprattutto aveva in mente una dote forte che sentivo quando parlava con i grandi: la ricerca della giustizia.

‘Non bisogna mentire neanche a te stessa’, mi diceva. ‘Devi cercare la giustizia nei tuoi giudizi nei confronti delle persone, perché vedrai che qualche volta tu hai torto e gli altri hanno ragione’.

In più mi ha dato una grande spinta verso la condivisione con le persone più deboli”.

Conoscendo quella terra romagnola da dove Andreina proveniva, la si può definire una saggia azdora, colonna portante della famiglia.

“Era la più saggia di sette sorelle. La chiamavano l’inzniera, ingegnera in dialetto romagnolo, nel senso che riusciva a costruire la pace tra tutti i famigliari. Nelle grandi famiglie ci sono sempre turbolenze, nella nostra lei era l’ago della bilancia, una pioniera nell’arte del fare la pace, oltre a sapermi indicare poi, da lontano, le strade giuste per crescere”.

È come se lei avesse fatto da ingegnera per la tua lunga carriera.

“Bravo, un accostamento del genere non l’aveva mai fatto nessuno”.

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A PROPOSITO

Sette cose che (forse) non sapete
di Raffaella Carrà e nonna Andreina

Nella Canzonissima di quasi mezzo secolo fa, condotta a fianco di Corrado, Raffaella Carrà apparve nella sigla iniziale con l'ombelico scoperto: e furono polemiche.

  1. Raffaella Pelloni (Bologna, 1943) da bambina imparò a memoria titoli e ritornelli delle canzoni seguendo in televisione, presso la gelateria di Bellaria, la trasmissione di Mario Riva “Il musichiere”.
  2. A soli otto anni lasciò la riviera romagnola per proseguire gli studi direttamente a Roma, prima presso l’Accademia Nazionale di Danza, fondata dalla ballerina russa Jia Ruskaia, poi al Centro sperimentale di cinematografia.
  3. A metà degli anni Sessanta le fu dato lo pseudonimo Carrà, consigliatole dal regista Dante Guardamagna il quale, appassionato di pittura, associò il suo vero nome, Raffaella, che ricorda il pittore Raffaello Sanzio, al cognome del pittore Carlo Carrà.
  4. Nel 1970 è al fianco di Corrado in Canzonissima, dove dà scandalo per l’ombelico scoperto mostrato nella sigla d’apertura Ma che musica maestro!.
  5. Raffaella è la conduttrice ad aver condotto più programmi abbinati alla lotteria Italia, ben dieci.
  6. Nel giugno 2012 partecipa al Concerto per l’Emilia a sostegno delle popolazioni colpite dal terremoto del 20 e del 29 maggio 2012 in cui canta il suo primo successo, Rumore.
  7. A proposito della nonna azdora: questa figura quasi leggendaria si trova sempre più raramente nella Romagna d’oggi e, quando la si incontra, riveste solitamente tutte le caratteristiche di un personaggio “felliniano”. In realtà era la “reggitrice” della casa, in particolare nelle famiglie contadine, di solito la moglie dell’azdor, del capo famiglia. E quindi l’azdora era anche la regina del focolare e della cucina. Detta così ha un sapore quasi fiabesco, ma in realtà la sua vita era segnata da enormi sacrifici: le famigliole non erano “corte” come ora, avere 7-8 persone da accudire era il minimo. L’azdora rimane un simbolo positivo di un’operosità instancabile e il cardine del tradizionale nucleo famigliare in Romagna.

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