Bella la fotografia del nonno Luigi Einaudi, il primo capo dello Stato italiano eletto dal Parlamento repubblicano, che 60 anni fa legge brani delle Georgiche di Virgilio agli otto nipoti che lo attorniano nella tenuta di San Giacomo a Dogliani, in Piemonte (Corriere della Sera, 30 luglio 2012). Bella ed evocatrice in me, nonno a mia volta circondato dai nipoti nella piccola, seconda casa di Cesenatico. Nella mia mente, fresca del lavoro sulle tre anime della Costituzione (“RiCostituiamoci”, mio primo libro elettronico, per Castello Volante) sono affiorate le parole eterne che Einaudi volle quando giurò fedeltà alla nuova Costituzione repubblicana:
E quelle pronunciate nel corso del primo ricevimento al Quirinale, quando se n’era uscito con una proposta che ne rivelava la rara parsimonia:
Sono poi andato a rileggere le parole che avevo trascritto negli appunti presi per un recente numero de L’Europeo, diretto da Daniele Protti (per una singolare coincidenza, nonno a sua volta proprio nei giorni in cui questo testo viene pubblicato) dedicato a “I re della Repubblica. Tutti i custodi della Costituzione 1948/2012” (n. 1/2 del 2012, per acquistarlo: www.sceltiperme.it o telefonando allo 02.25846552) che mi ha visto tra i principali collaboratori. Per Einaudi (il quale, ricordiamolo, resta uno dei massimi rappresentanti della dottrina del liberalismo economico, o liberismo, che teorizza la non scindibilità tra libertà politica e libertà economica) “la frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco”: ennesima dimostrazione che in Italia il passato non passa mai.
Soprattutto ho ripescato un ritaglio de La Stampa a firma di Luigi Roberto Einaudi, 75 anni, figlio di Mario, il primogenito del Presidente, a lungo ambasciatore in America, membro del comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi a Torino. Luigi Roberto, citando brani di lettere che il nonno gli scrisse quando era Presidente e lui faceva il liceo e l’università negli Stati Uniti (“Lui aveva fra i 78 e gli 81 anni, mentre io avevo fra i 16 e i 19 anni”), così ricostruisce le dieci lezioni impartite dal nonno: di grande attualità, anche se qualcuna, vedi la 4 e la 8, forse l’avrebbe aggiornata nel terzo millennio dell’Europa unita e della globalizzazione).
La prima, e forse più importante lezione imparata nell’ambiente della politica e del Quirinale, era che “bisogna dare il buon esempio”. Sottolineo il buon esempio, perché chi occupa la massima carica dello Stato non può soltanto dare un buon esempio. Anzi, ha la responsabilità di individuare le prassi migliori da trasmettere ai concittadini e ai propri successori. Dunque deve sempre dare il buon esempio. E darlo in tutto, anche nei dettagli meno importanti.
La seconda lezione era: “Fare le cose bene anche se non sarai ringraziato”. Il primo sistema italiano di previdenza sociale, la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai (Cnas), era un’assicurazione volontaria. Ben prima della guerra del 1914, il nonno pagò il suo contributo come datore di lavoro, aggiungendo anche il contributo che spettava alla donna di casa, Maria Granda. Non fu mai ringraziato; il commento lapidario della domestica riferitomi anni dopo fu infatti: ‘Se lo fa il professore, vuol dire che qualcosa ci guadagna’ “.
La terza lezione è stata capire che “per trovare una soluzione bisogna accettare che la politica può talvolta interferire con una logica tecnica – e viceversa”. Una lezione maturata nelle discussioni di Trieste e delle frontiere dell’Italia con la Francia. I conflitti di territorio non si possono risolvere come fecero le potenze coloniali in Africa, tracciando linee geometriche senza riguardo per gli abitanti e le culture o persino la geografia. I maggiori frutti della mia vita diplomatica sono tutti dovuti a questa lezione.
Una quarta lezione è stata: “Presta attenzione alla tua base”. In sette anni come Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi non ha mai lasciato l’Italia. Aveva viaggiato molto prima di salire al Quirinale e fatto quasi due anni di esilio in Svizzera. Quando gli chiesi perché non viaggiò mai all’estero da Presidente, mi disse semplicemente che il suo dovere era di essere in Italia.
Una quinta ed essenziale lezione era “non scordare mai l’uomo comune”. L’intellettuale e l’uomo politico non hanno diritto di decidere cosa va bene per il contadino o l’operaio. ‘L’unica persona che sa se le scarpe gli vanno è chi le porta’. Questa frase tagliente fece parte di molte nostre discussioni. Riflette una profondissima convinzione del valore individuale della persona e il rispetto che gli è dovuto al di là della condizione sociale, e senza settarismi politici. Per Luigi Einaudi l’Italia non poteva essere concepita solo in base a classi sociali, etichette politiche o titoli formali.
La lezione numero sei: “Anche noi sappiamo contare”. Un giorno a cena in famiglia al Quirinale Luigi Einaudi era soddisfattissimo. Quel giorno aveva visto Barbara Ward, scrittrice ed economista inglese. La Ward da poco aveva scritto un articolo che conteneva qualche calcolo sbagliato. Einaudi le aveva spiegato l’errore, la Ward lo aveva accettato. Dopo averci raccontato lo scambio disse, sereno: ‘Anche noi sappiamo contare’. Ricordiamo che Einaudi era stato governatore della Banca d’Italia e in tale veste aveva firmato il contratto d’assunzione di un giovane promettente: Carlo Azeglio Ciampi.
La lezione numero sette: “Le cose non sono sempre come appaiono”. Era comune durante gli anni del fascismo vedere un ritratto di Benito Mussolini in case di contadini. Molte volte era appeso vicino alla porta di casa. Quando passavano le autorità fasciste tutto sembrava in ordine. Ma il contadino aveva messo il ritratto vicino alla porta così che, vedendolo mentre stava varcando la soglia di casa, poteva sputargli contro senza che lo sputo finisse in casa.
Un’ottava lezione: “Evita le prime impressioni”. Un giorno gli ho portato un libro appena pubblicato che avevo letto nel corso dei miei studi a Harvard (università privata statunitense situata a Cambridge, nell’area metropolitana di Boston, ndr) ma che lui non aveva. Non mi ricordo se glielo avevo offerto come regalo o come prova di un argomento. Credevo di avere capito che per lui i libri fossero la massima espressione della civiltà e che, circondato dai libri come era, lo avrebbe apprezzato. Lo rifiutò. ‘Come mai?’, chiesi sconcertato. ‘Prima di comperare un libro bisogna sapere se vale o no. Io, se posso, non compro mai un libro se non 40 anni dopo la sua pubblicazione. Solo allora si saprà se vale qualcosa o no’.
Molto difficile da mettere in pratica la nona lezione: “Non dire mai oggi qualcosa della quale ti vergognerai domani o fra dieci anni o anche vent’anni dopo d’averlo detto”. Non so come o dove avesse imparato questa lezione. Forse quando faceva il giornalista. Nel 1960 mi scrisse una massima un po’ diversa: “Se si scrive qualcosa, lasciarlo stare a riposo per 15 giorni o un mese, e poi rileggerlo”.
La decima lezione è una lezione di limiti. Dalla villa presidenziale di Caprarola, il 23 agosto 1953, il nonno rispose così a una serie di esiti miei dei quali mi ero molto vantato con lui: “Il desiderare sempre il meglio è una delle ragioni di vivere. […] Ed adesso ti dico di una mia fissazione. La gioia per i risultati ottenuti deve essere sempre accompagnata da una tacita riserva mentale. Quel che so, che ho imparato, è niente in confronto a quel che non so. […]. Quel che occorre è imparare il metodo di distinguere il vero dal meno vero; il metodo di ragionare. E a questo fine servono in primissimo luogo la matematica, per porre bene i problemi, e il latino per esprimersi bene. Con il quale latino – for ever – ti bacia e abbraccia il tuo nonno”.
Dalla collana “Il mio eroe”:
- Giuseppe Caronia (1884-1977), grande pediatra che salvò molti ebrei e antifascisti a rischio della sua vita, è l’eroe scelto da Italo Farnetani, il medico dei piccoli
- Roberto Baggio sceglie il maestro buddhista Daisaku Ikeda, che ha dedicato la vita a sradicare le cause della violenza
- E Gianni Boncompagni scelse Arturo Benedetti Michelangeli, il più grande pianista del mondo tifoso di Enzo Ferrari e Topolino
- Nerio Alessandri: quel giorno nella vita di mr. Technogym, il romagnolo che fa muovere il mondo: “Il mio eroe? Un altro innovatore che, come me, partì da un garage: Steve Jobs“
- Dario Fo elogia il Ruzzante: “Fu un vero rivoluzionario, l’unico che, in forma satirica, ha parlato del suo tempo”
- Antonio Cederna, giornalista e battagliero difensore della città, del paesaggio, della bellezza italiana
- Brunello Cucinelli dona bonus culturale ai suoi 1.450 dipendenti e sceglie Marco Aurelio
- E don Ciotti mi indicò il suo eroe: Tonino Bello, vescovo degli ultimi
- Un eroe e un amore che, mi confidò, abitavano nella mente di Luciano De Crescenzo
- Rossana e Carlo Pedretti: le loro vite nel segno di quel genio di Leonardo
- E Roberto Bolle mi confidò: “Il mio eroe? Adam, bambino soldato d’Africa”
- Fabrizio Barca: “il mio uomo faro? Amartya Sen. Quell’economista e Nobel indiano ha dato una risposta alle paure e alla arida globalizzazione”
- Raffaella Carrà: “Felicità è aver avuto una nonna come Andreina mia maestra in una Romagna che era piena di note e di libertà”
- E Mauro Corona mi confessò: “Devo a Mario Rigoni Stern la mia rinascita”
- Quando Maria Rita Parsi mi illuminò il suo spirito guida: Giovanni Bollea, esploratore delle menti bambine
- Giuseppe Masera: “per chi come me ha dedicato una vita nella battaglia alla leucemia infantile, la figura di Giovanni Verga assume i contorni di un gigante”
- Nel glossario di Andrea Camilleri inserite la voce: Mandrake, l’idolo che mi confessò