In oltre 40 anni di lavoro da cronista, spesso sono “salito sulle spalle dei giganti per vedere più lontano” (Newton). L’ennesima buona notizia data dal Corriere della Sera il 30 giugno scorso (“Gianni, il figlio forestale di Mario Rigoni Stern, fa rivivere con mucche e aratri i pascoli di Srebenica, in Bosnia, luogo del più grande genocidio in Europa dopo la Seconda guerra mondiale”) mi ha evocato gli incontri con suo padre Mario, Gianni presente, che così salutai in occasione del suo ultimo viaggio terreno (da Oggi, 2.7.2008).

Asiago (Vicenza)

Signor dirigente dei servizi funerari, io Mario Rigoni Stern chiedo di poter essere sepolto all’Ortigara dove tanti militi ignoti della Prima guerra mondiale dormono nella pace delle vette, indipendentemente dall’esercito e dalla nazionalità.

Qualche giorno prima di addormentarsi per sempre, a 86 anni (il 16 giugno scorso), l’autore de Il sergente nella neve svelava questo suo inedito desiderio alle sorprese orecchie di Gianni Pezzei, l’amico sindaco di Livinallongo, centro delle Dolomiti bellunesi. L’Ortigara è uno dei luoghi sacri alla memoria dell’Italia e per questo oggetto più volte delle visite e riflessioni dello scrittore. Nel giugno 1917 questa vetta fu teatro di un massacro di alpini e fu proprio l’Ortigara ad accogliere, nel 1920, la prima adunata delle penne nere. Ma il desiderio del Sergente nella neve di riposare sulla montagna che sovrasta il “suo” Altopiano di Asiago, era destinato a rimanere irrealizzato: “Mario mi rivelò che gli avevano risposto che le leggi attuali non permettono sepolture di questo tipo”, mi confida l’amico sindaco. Così l’hanno sepolto nel camposanto di Asiago martedì 17 giugno nella nuda terra: presenti solo la moglie, i tre figli, i nipoti.

La gente non canta più

Sono molti i modi per imprimere nella memoria degli italiani il ricordo di un uomo saggio. In generale ha prevalso quello di evocare, come ha fatto Claudio Magris sul Corriere della Sera, il sergente degli alpini matricola 15454 e “l’epica odissea sua e dei suoi compagni, ritornati o sepolti in quella neve in Russia e dell’Italia di quella tragedia, della vergogna che ha mandato a morire tanti suoi figli e del valore con il quale hanno reso onore alla Patria”. Ha prevalso quello di illuminare “il capolavoro della vita”: una notte parte dal fiume Don con 70 alpini e cammina verso occidente nella bufera, sganciandosi dal suo caposaldo senza perdere nemmeno un uomo. Torna a casa, ma dopo l’8 settembre viene catturato dai tedeschi e spedito in un campo di lavoro in Masuria, a nord est di Varsavia. I venti mesi di prigionia non sono solo il tempo della fame e della sofferenza: sono anche il tempo della scrittura. Nascono, da quelle radici, molte delle sue memorabili opere, molti degli straordinari racconti orali. L’hanno sentito in molti lamentarsi:

Cinquant’anni fa si sentiva la gente cantare. Cantava il falegname, il contadino, l’operaio, quello che va in bicicletta, il panettiere. Oggi hanno smesso. La gente non canta e non racconta più.

Recuperante dei ricordi

Ma c’è anche un “altro” Rigoni Stern, il grande cantore della natura e dei suoi protagonisti, del ritmo della vita e delle stagioni. Una sensibilità nata in quella sua casa rosa confetto, sul limitare del bosco dell’altopiano, che dalla finestra guardava alla dimora abitata dall’amico regista Ermanno Olmi (con lui Mario firmò il film I recuperanti dedicato a coloro che sull’altopiano di Asiago, per campare, individuavano le bombe lasciate in eredità dalla guerra, le disinnescavano e le vendevano ai commercianti di materiali ferrosi). Lui, invece, “recuperante dei ricordi”, contribuiva ad accrescere il patrimonio ambientale con l’aiuto del figlio forestale Gianni, recuperando dall’universo segreto che lo circondava emozioni e parole che avvicinassero ai boschi, agli animali e alle piante. Usava le storie naturali da lui ascoltate sull’altopiano come munizioni per vincere “la nuova guerra”, contro l’inquinamento e il consumismo esasperato, per far vincere la bellezza e l’equilibrio del Creato.

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Mario Rigoni Stern durante una delle sue passeggiate nel bosco degli urogalli, sull’altopiano di Asiago. (Foto di Vittorio Giannella)

Questa mattina, con il primo sole, sono uscito a fare una breve passeggiata, con il cane Sirio. Con dieci giorni di anticipo ho ascoltato il canto del cuculo. È un buon segnale e il cuore si è rallegrato.
Lassù la montagna è silenziosa e deserta. Lungo la mulattiera che gli austriaci costruirono per giungere nei pressi dell’Ortigara, dove un giorno raccolsi la punta ferrata del Bergstock che è qui sulla libreria, ora non passa più nessuno. La neve che in questi giorni è caduta abbondante ha cancellato i sentieri dei pastori, le aie dei carbonai, le trincee della Grande guerra, le avventure dei cacciatori. E sotto quella neve vivono i miei ricordi.

L’augurio-favola

Non a caso, alla nascita della prima rivista di natura e civiltà (Airone, che il sottoscritto fu chiamato a dirigere per nove anni), Mario inviò un augurio-invito a educare alla natura (“perché di educazione naturalistica abbiamo bisogno, e tanta, in ogni luogo”) raccontato come una favola:

Andando di buon mattino per i boschi, una cincia mora mi ha raccontato che in quel di Milano (così aveva sentito da un fringuello) si stava preparando una rivista che parla di natura. Si chiamerà Airone, diceva. Anche perché da quelle parti, dopo anni che mancava, questo ciconiforme s’era fatto rivedere.

Dieci anni dopo ero salito sull’altopiano nella casa costruita con le sue mani e a lui, che mi parve un abete alpino con la sua foresta di capelli matti da giovanotto e i suoi occhi belli, detti la buona notizia che i biologi dell’Università di Pavia avevano censito un numero più che doppio di aironi cenerini: nelle zone risicole della Lombardia e del Piemonte, per esempio, questi uccelli erano passati da 600 a 2.200 esemplari. “L’Airone è giovane ma ha un buon volo!”, mi accolse. Come se, a parte la legge che lo aveva incluso nelle specie protette, la crescita dell’educazione naturalistica avesse favorito lo sviluppo di quegli esseri alati.

Mai dimenticare

Prima di bere una tisana calda portata da Anna, moglie e preziosa collaboratrice, s’era augurato di vivere abbastanza per vedere il mondo rinsavire un po’, con la fine degli sprechi, del consumismo esasperato che violenta la natura e anche l’uomo, delle cose inutili, di ruberie, dell’egoismo politico che contrapponeva all’altruismo sociale, dell’ambientalismo più radicale, del troppo rumore che fa perdere il senso delle parole e la loro forza terapeutica, della smemoratezza (“Attenzione, le cose che si dimenticano possono ritornare”), delle luci artificiali che nascondono le stelle. Per vedere un mare di persone spegnere la televisione e impugnare un buon libro. A un raduno pubblico in Val Badia confessò di essere ormai ai ferri corti con la tv, “un mezzo volgare e banale che lancia cortine fumogene che ti depistano. Lo dirò un giorno ai loro direttori”, sbottò: “Vi prego, tenetemi sveglio almeno durante il telegiornale…”.

Nelle stesse ore in cui apprendevo della scomparsa di Mario mi arrivava la notizia dell’ultimo studio pubblicato dall’Istituto nazionale della fauna selvatica: “la specie risultata maggiormente diffusa in Italia è quella dell’Airone cenerino, che occupa 452 siti naturali con una popolazione stimata di 11.377 individui, seguita dal Germano reale, dal Cormorano e dalla Folaga…”.

L’addio in primavera

Forse Gianni, il figlio forestale, ha fatto in tempo a dargli questa notizia che a lui, guerriero dalla parte della natura, avrà riempito il cuore di gioia. Quel cuore che, sfinito dalla guerra contro la malattia, lo ha mandato definitivamente in congedo a primavera, mentre tutta la natura si sveglia e la terra va in amore:

È la stagione giusta per partire, perché sai che la vita continua anche se te ne vai.
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Lo sguardo di Mario dalla vetrata del bar centrale di Asiago. (Foto di Vittorio Giannella)

VITAMINE PER L’ANIMA

Qualche parola di Mario Rigoni Stern per migliorare se stessi

I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia.
Questi i risultati della pace e della libertà: lavorare e costruire per il bene degli uomini, di tutti gli uomini; non uccidere, distruggere e conquistare con la forza delle armi, ma vivere con il lavoro per la fratellanza e l’aiuto reciproco.
Chi lo avrebbe mai detto che sarei diventato anch’io un autore? Ma forse, in fondo in fondo, quando scrivevo in segreto il mio diario lo speravo.
Un giorno ricevetti una lettera da San Pietroburgo (allora si chiamava Leningrado): di un uomo che, avendo letto il mio libro tradotto in russo, mi scriveva: “So chi mi ha sparato la notte del 26 gennaio, quando gli Alpini ruppero l’accerchiamento a Nikolajewka. In quella notte ci siamo sparati, ma per fortuna siamo tutti e due vivi”.
Iniziò allora la fine dell’era fascista, non dal 25 luglio 1943, ma con la resistenza dei poveri soldati greci, con la nostra cacciata dalla loro terra quando stupidamente li aggredimmo. Anche se poi, in primavera, le cose ebbero altro esito finale, questo fatto restava. Proprio che eravamo stati i più esposti e i più sacrificati non ce ne rendevamo conto, tanto quello che per anni ci avevano insegnato a scuola, o predicato, si era radicato nella nostra mente e aveva reso ottusa la ragione
Attraversò Thiene. Non pensò di fermarsi alla stazione per chiedere se il trenino a cremagliera funzionasse ancora. Ma poi come avrebbe potuto pagare il biglietto? Era anche convinto, chissà perché, che solamente a piedi, con le sue gambe, poteva arrivare. E andava.
Il freddo di gennaio ha riunito in cristalli i fiocchi di neve. Luci e ombre rivelano il cuore dell’inverno; le nuvole tirate dal vento lo spazio del cielo. Quell’aereo dove andrà? A Roma o a Venezia. Da dove verrà? È pure piccola la Terra, ma è pure immenso un cristallo di neve.
Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).