Nella desolazione che regna nell’Italia Centrale terremotata potrebbe arrivare, quale angelica immagine, la Poesia? Forse sì, se tra i volontari vi fossero dei volenterosi lettori e attori teatrali/dicitori disposti a portare la voce dei poeti.

Probabilmente l’animo di chi dal terremoto è uscito vivo se ne gioverebbe.

Andrebbe letta la poesia dei poeti che hanno usato una lingua semplice e alta a un tempo, che sia compresa dagli anziani e dai bambini; una poesia con spunti di fede, di religiosità, di fratellanza e di amore. Una poesia che coinvolga e unisca genitori e figli, nonni e nipoti, ma anche amici appena conosciuti e lasci in tutti e in ciascuno una traccia, una scia benefica. Non è trascinante come la musica, è vero; ma la poesia, pur se considerata ancella delle arti, ha pure un suo magico, straordinario potere: la forza della parola, capace di giungere al cuore e toccarlo benevolmente, tacitamente, soavemente

Ribolle ancora

Ribolle ancora

la terra del Centro Italia;

va singhiozzando nel suo abisso

ancora inquieta,

forse anch’essa in cerca di pace.

Più buia la notte

dopo scuri giorni di dolore

per chi rimane solo,

senza i cari, senza casa,

senza amici: nel nulla.

Più paura del terremoto

incute il terrore del dopo,

tra lo squallore nudo della terra

e la solitudine che invisibile giunge

con i giorni lunghi

e le notti infinite.

Fa’, Signore, che i riflettori

del tuo Amore

portino luce nel cuore trafitto

di ogni superstite!

Misericordia per così forte angoscia!

Pietà per i morti

ed empatia per quanti

restano

“come d’autunno

sugli alberi le foglie”.

* Grazia Stella Elia, poetessa e scrittrice, è nata a Trinitapoli, nel Tavoliere pugliese. Ha insegnato per molti anni, trasmettendo ai suoi alunni l’amore per la poesia e il teatro. Si è impegnata, sin da giovanissima, nello studio del suo dialetto (“casalino”). Ha operato nel campo della cultura, organizzando convegni ed incontri. Su Grazia e la sua opera, vedere il link.

A PROPOSITO/ UN POETA IN UN TERREMOTO

Messina 1908: metti un giorno

un futuro premio Nobel,

Salvatore Quasimodo,

e suo padre capostazione

Il futuro premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo (che all’epoca aveva 7 anni) si trasferì a Messina tre giorni dopo il catastrofico terremoto con maremoto che distrusse, il 28 dicembre 1908, quella città siciliana. Il trasferimento fu dovuto al fatto che il padre capostazione, Gaetano, fu chiamato a dirigere il traffico ferroviario lì. Per mesi visse su due vagoni merci, e successivamente, in occasione dei 90 anni del padre, dalla casa di Milano volle rendere un pubblico omaggio al genitore (“Baciamu li mani”) rievocando l’esperienza messinese nella poesia Al Padre: «Dove sull’acque viola era Messina, tra fili spezzati e macerie tu vai lungo binari e scambi col tuo berretto di gallo isolano. Il terremoto ribolle da due giorni, è dicembre d’uragani e mare avvelenato».

Salvatore_Quasimodo

Salvatore Quasimodo (Modica, 1901 – Napoli, 1968) è stato vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1959 con questa motivazione: “Per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”. Qui il breve video della cerimonia di premiazione a Stoccolma (fonte: Sveriges Television AB 2009).

In quei giorni (ma il poeta se ne rende conto soltanto mezzo secolo dopo) il berretto rosso sul capo di Gaetano era come il copricapo dei vescovi e la corona dei re (“era una mitria”, verso 28) perché il padre fu davvero grande. E oggi che il padre ha compiuto 90 anni e come l’aquila (quella ricordata dal berretto di ferroviere) se ne sta lassù, lontano dagli altri uomini, così in alto dove pochi sanno arrivare… Nella sua vecchiaia egli appare come un modello da seguire per il suo coraggio e la sua voglia di vivere.

AL PADRE

di Salvatore Quasimodo

Dove sull’acque viola

era Messina, tra fili spezzati

e macerie tu vai lungo binari

e scambi col tuo berretto di gallo

isolano. Il terremoto ribolle

da due giorni, è dicembre d’uragani

e mare avvelenato. Le nostre notti cadono

nei carri merci e noi bestiame infantile

contiamo sogni polverosi con i morti

sfondati dai ferri, mordendo mandorle

e mele disseccate a ghirlanda. La scienza

del dolore mise verità e lame

nei giochi dei bassopiani di malaria

gialla e terzana gonfia di fango.

La tua pazienza

triste, delicata, ci rubò la paura,

fu lezione di giorni uniti alla morte

tradita, al vilipendio dei ladroni

presi fra i rottami e giustiziati al buio

dalla fucileria degli sbarchi, un conto

di numeri bassi che tornava esatto

concentrico, un bilancio di vita futura.

Il tuo berretto di sole andava su e giù

nel poco spazio che sempre ti hanno dato.

Anche a me misurarono ogni cosa,

e ho portato il tuo nome

un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.

Quel rosso del tuo capo era una mitria,

una corona con le ali d’aquila.

E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni

ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali

di partenza colorati dalla lanterna

notturna, e qui da una ruota

imperfetta del mondo,

su una piena di muri serrati,

lontano dai gelsomini d’Arabia

dove ancora tu sei, per dirti

ciò che non potevo un tempo – difficile affinità

di pensieri – per dirti, e non ci ascoltano solo

cicale del biviere, agavi lentischi,

come il campiere dice al suo padrone:

“Baciamu li mani”. Questo, non altro.

Oscuramente forte è la vita.

Salvatore Quasimodo (da “La terra impareggiabile”, 1955/58)

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13. Continua. Turismo solidale: a questo link
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Invito alla visita

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