Sono le parole dei 10 giovani restauratori fiorentini, diplomati dell’Opificio delle Pietre Dure, e selezionati da un bando – chiusosi nel dicembre 2016 – per operare all’interno del bunker di Spoleto, il deposito della Regione Umbria per le opere colpite dal sisma. La giovane task-force, grazie a un finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, è infatti rimasta nel territorio umbro per 12 mesi, in aiuto della Soprintendenza locale, per gli interventi di messa in sicurezza delle opere danneggiate dal terremoto avvenuto nell’estate del 2016. Era questo lo scopo del progetto, appena concluso, ideato e sostenuto da Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure e in accordo col Segretariato regionale del MiBACT per l’Umbria e la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio dell’Umbria.
Il progetto
“Con questo progetto la Fondazione ha verificato l’efficacia del nostro nuovo modello di intervento basato sulla messa a sistema delle eccellenze del nostro territorio e sulla loro valorizzazione”, ha dichiarato il Direttore generale della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze Gabriele Gori. “In questo caso, abbiamo coinvolto una realtà unica a livello internazionale, il nostro Opificio delle Pietre Dure. Abbiamo così dimostrato come sia possibile, facendo rete, rispondere ad una emergenza del Paese. La Fondazione farà di tutto per mantenere alto questo primato e condividere questo capitale di saperi con altre importanti realtà del territorio, così da poter moltiplicare le risorse che Firenze riesce a mettere in campo”. La Fondazione ha stanziato 130mila euro, che sono serviti per coprire un piccolo compenso mensile per ciascuno dei 10 restauratori selezionati, un forfait per le spese di vitto e di trasferta e il sostegno per i costi dell’alloggio.
I restauri
Sotto il coordinamento dell’Opificio, la task-force di diplomati ha operato in questo grande ambiente antisismico di 5mila mq – realizzato dalla Regione Umbria dopo il terremoto del 1997 – e dotato delle più moderne tecnologie per il recupero e la conservazione delle migliaia di opere danneggiate dal sisma, occupandosi di identificare il tipo di oggetto e la provenienza, di redigere una scheda sanitaria con valutazione del danno e della necessità di restauro e di valutare il codice di priorità di intervento. “L’OPD ha cercato di fornire il proprio contributo per i territori colpiti dal recente sisma sulla base delle proprie esperienze pregresse, che vanno dal recupero delle opere danneggiate dall’alluvione di Firenze del 1966 sino a quelle coinvolte dal terremoto dell’Emilia del 2012”, ha sottolineato il soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure Marco Ciatti, già insignito nel 20111 a Sassocorvaro, nel Montefeltro marchigiano, del Premio Rotondi ai salvatori dell’arte (“per aver diretto i restauri – ultimo, il Crocifisso giottesco della fiorentina chiesa di Ognissanti – su importanti opere di Giotto, Raffaello, Botticelli e altri maestri dell’arte”, si legge nella motivazione). “Siamo orgogliosi perché i restauratori coinvolti, tutti diplomati presso l’OPD, hanno dimostrato sia grande competenza tecnica, sia un notevole impegno personale per potere restituire a questo territorio il proprio patrimonio culturale”.
Con la speranza che, nonostante la sua conclusione, il progetto si possa replicare, diventando una consuetudine, anche senza la contingenza di un’emergenza come quella drammatica di un sisma. “La formula scelta e resa possibile dal finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze costituisce a oggi un modello, che vorremmo ripetere per far sì che non solo si realizzino operazioni di restauro sui beni mobili colpiti dal terremoto, ma che il laboratorio creato rimanga un centro vivo di esperienze formative per giovani restauratori”, ha concluso Marica Mercalli, Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria. “I casi in fase emergenziale, infatti, sono molteplici, talvolta di difficile soluzione. È in questo momento che l’eccellenza di una formazione teorico/pratica può trovare modo di esprimersi, dandoci ancora una volta la prova che il restauro è un lavoro di testa e di mani esperte, un ‘atto critico’ che deve trovare concreta manifestazione nei momenti di vera urgenza per la salvaguardia del nostro patrimonio”.
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