Ricostituiamoci! L’anima cattolica della Costituzione nelle parole che raccolsi da Tina Anselmi

La seconda puntata sulle tre anime della nostra Carta comune. Dopo le radici di sinistra, con Nilde Iotti (link), il pensiero di un’altra grande signora della Repubblica (foto) che raccolsi in tre giornate di straordinari incontri, nel Polesine, nel 1995. Seguirà l’anima liberale, raccontata da Giovanni Ferrara

IL TEMPO DELLA STORIA / LA MEMORIA ATTUALE / REPRINT

testo di Salvatore Giannella*

 
Questa Repubblica si può salvare. Ma, per questo, deve diventare la Repubblica della Costituzione

Nilde Iotti

Illustrazione per «La Costituzione italiana»

Illustrazione di Ro Marcenaro per
libro “La Costituzione italiana”,
Regione Emilia Romagna, 2019.

Qual è stato l’apporto della cultura dei cattolici democratici alla Costituzione? “La mia risposta”, esordì Tina Anselmi, altra grande signora della Repubblica con Nilde Iotti, arrivata a Lendinara di Rovigo dalla sua Castelfranco Veneto, quel 28 gennaio 1995, “esige che io faccia delle riflessioni perché parliamo di un avvenimento che è stato vissuto oltre mezzo secolo fa in un clima e in un’atmosfera che non sono quelle di oggi. Era appena finita la Seconda guerra mondiale ed era finita con le macerie e più di trenta milioni di morti”. L’Italia era in ginocchio. C’è un’immagine che più di tutte rende l’idea. Alcide De Gasperi, il 10 febbraio 1947, andò da solo a Parigi per il trattato di pace. Sentiva di rappresentare un Paese distrutto, che non era riuscito a liberarsi del fascismo da solo. Ai diplomatici dei Paesi vincitori della guerra, che presentavano i debiti da pagare (lui che non aveva il senso del denaro), disse: “So che qui tutto mi è contro, tranne la vostra personale cortesia”. Ricordiamolo, il prezzo che pagammo a causa di quella disgraziata guerra voluta dal regime fascista di Benito Mussolini. Fu un prezzo terribile da parte dell’Italia. Terre a parte, ci fu imposto di pagare, come riparazione, 100 milioni di dollari alla Russia, 125 alla Jugoslavia, 105 alla Grecia, 25 all’Etiopia e 5 all’Albania. In aggiunta, dovemmo cedere navi, attrezzature, prodotti industriali, lavoro. Un primo bilancio della guerra in Italia: 410 mila morti; su 100 case, 5 sono distrutte; la produzione industriale è ridotta del 75 per cento, del 50 per cento quell’agricola. Lei stessa, l’Anselmi, aveva vissuto momenti terribili in prima persona. Tina era una studentessa di 17 anni quando, il 26 settembre 1944, fu testimone diretta dell’impiccagione di un gruppo di giovani partigiani nella piazza di Bassano del Grappa. Una scena drammatica, che suscitò in lei una risposta immediata: non si poteva restare spettatori della violenza dei nazifascisti senza tradire i valori della giustizia e della libertà. Decise di prendere parte attivamente alla Resistenza e di diventare staffetta partigiana. Quella giovanissima staffetta, con il nome di Gabriella, diventerà poi una protagonista della ricostruzione delle istituzioni e del sindacato, con l’obiettivo del bene comune e non l’interesse privato. Ecco una sintesi di quelle sue parole.

Tina-Anselmi-Nilde-Iotti

Tina Anselmi (a destra) e Nilde Iotti (Reggio Emilia 1920 – Roma 1999) in un’immagine del 29 luglio 1976, giorno in cui la Anselmi diventò ministro del Lavoro, prima donna a ricoprire il ruolo di ministro in Italia (nella foto in basso, il giuramento).

L’occasione della Costituente

La Costituente fu la grande occasione in cui i vecchi, quelli che non si erano piegati quando il fascismo era andato al potere, si sono trovati a decidere che Italia volevamo costruire. Si sono trovati i vecchi antifascisti, quelli che hanno detto NO senza sapere per quanti anni avrebbero pagato per quel NO, si sono trovati tutti i militari che, piuttosto che aderire alla Repubblica Sociale Italiana e tradire un giuramento al Re, sono stati uccisi nelle isole del Dodecaneso, 300 mila portati nei campi di concentramento. Si sono trovate le persone che in qualche modo hanno sentito l’appello dei partiti: penso soprattutto al ruolo che hanno avuto le università, il mondo della cultura, il grande latinista e illustre rettore dell’ateneo padovano, Concetto Marchesi, l’Università di Padova, non era solo una grande università ma era diventata il luogo dove si animava la resistenza antifascista in tutto il Veneto. Alla Costituente arrivò il meglio dell’Italia, giunsero i migliori uomini della cultura italiana, sapendo che bisognava darsi un progetto di Paese che fosse coerente con i valori di libertà, di democrazia, di rispetto della persona umana, di riconoscimento dei diritti della persona. La Costituente fu un grande momento. Venendo a questo incontro mi sono riletta il dibattito che ha preparato la Carta costituzionale. Sul tema della libertà, della cultura, c’erano nel dibattito Marchesi, Palmiro Togliatti, Piero Calamandrei, Benedetto Croce, Giuseppe Lazzati, Aldo Moro e leggendo cosa hanno detto questi protagonisti mi dicevo: “In quel momento e in quella fase, a quel livello culturale, non potevano esistere questi personaggi che oggi urlano in televisione”. Questi uomini però sapevano che questo progetto era il primo che si dava al popolo italiano. La Costituente è stata la prima occasione in cui gli italiani si sono trovati per dire la casa in cui dobbiamo tutti abitare, abitare insieme, come la vogliamo fare. E non c’erano i numeri a lasciare che uno solo decidesse. Su questo progetto ha certamente pesato l’esperienza fascista. Infatti riporta sottolineature che rendono evidente come i Padri costituenti si preoccupassero di difenderlo da possibili future prevaricazioni. È una Costituzione dove ci sono molte garanzie. I Padri costituenti furono obbligati a scegliere la strada della mediazione: d’altra parte sono convinta che la politica sia mediazione, nel senso che ciascuno porta il suo contributo e partecipa al progetto comune. Se politica è solo la conta, la contrapposizione, la spaccatura, si radicalizza la vita del Paese e la radicalizzazione diventa la strada rapida che porta allo scontro. E se prima c’è lo scontro verbale, stiamo attenti perché lo scontro verbale nasconde quello umano e da questo si va a quello fisico. Stiamo attenti, il linguaggio dice molto. Io non ho mai usato, indicando l’avversario, il termine nemico. Avversario è chi è diverso da me ed essere diverso da me non significa essere meno di me, ma quando io considero l’altro non un avversario ma un nemico, sta a indicare che è un ostacolo e che va soppresso: questa è la logica. Con l’avversario si può essere amici: questa è la cultura della democrazia. Allora dobbiamo recuperare questa cultura se non vogliamo rendere barbara la vita politica.

Illustrazione per «La Costituzione italiana»

La base della Repubblica

Fin dal primo articolo (L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro) c’è stato un dibattito molto interessante. La proposta iniziale era “Repubblica fondata sui lavoratori”: il nostro contributo (per i cattolici ha parlato varie volte Giorgio La Pira) fu volto a superare una concezione classista, quindi non più Repubblica fondata sui lavoratori ma sul lavoro. Lavoro è anche il contributo spirituale che si dà alla vita della nazione: anche le suore contemplative contribuiscono alla vita, all’elevazione morale del proprio Paese. La prima battaglia fu, quindi, per affermare che ogni contributo è un contributo valido alla vita del Paese. Il secondo paragrafo dell’articolo 1 dice:

La sovranità appartiene al popolo che ne esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Mussolini riempiva sempre le piazze ma non credo che possiamo parlare di partecipazione del popolo. Anche Ponzio Pilato riempì la piazza quando fece il primo referendum che conosciamo nella storia: “Chi volete Cristo o Barabba?”. Non credo fu una scelta felice.

Le sfide della Costituzione

L’articolo 3 è un articolo molto interessante. Nella prima parte dice:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Interessante perché è, per certi aspetti, il superamento della concezione liberale così com’era stata vissuta prima del fascismo ma è un po’ anche il superamento di quello che oggi potremmo chiamare “reaganismo” (dal nome dell’allora presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, Ndr). Dovremmo ricordare spesso quest’articolo perché abbiamo davanti sfide che dobbiamo affrontare insieme, se vogliamo vincerle. Ambiente: non basta dire ai brasiliani di non tagliare gli alberi dell’Amazzonia, altrimenti il buco nell’ozono diffonde i tumori della pelle. I brasiliani ci chiederanno di che cosa li facciamo vivere. I problemi dell’ambiente o li affrontiamo insieme o non c’è pezzo della Terra che possa sfuggire alle stesse conseguenze prima o dopo. Il tema dello sviluppo economico: possiamo immaginare che un quarto della popolazione continui a mangiare i tre quarti della ricchezza del mondo? Questo è un tema che ci sfida tutti, tanto più che viviamo in un’era di passaggio per cui, grazie alle nuove tecnologie, cresce la ricchezza, ma diminuisce l’occupazione. Gli esperti dovranno correggere questa contraddizione e correggerla presto perché vi sono posti del mondo dove il basso costo della manodopera rischia di rendere impossibile superare questa difficoltà per i Paesi a economia matura. Ancora: la sfida della droga, dell’analfabetismo. Queste sfide esigono che si faccia unità, ma nel momento in cui ci viene chiesto questo c’è un’esplosione di odi, di guerre razziali. Bisogna che costruiamo l’unità nella diversità, ma per accettare la diversità bisogna ricordarci che tutti gli uomini sono uguali, anche se portano un bagaglio culturale e competenze diverse. Tutti devono poter arrivare. Se non c’è un’educazione alla convivenza ci autodistruggiamo. Andare contro una giustizia che ci renda veramente tutti più uguali, significa andare contro la storia. Nella seconda parte dell’art. 3
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese
in quella parola “rimuovere” c’è un superamento della concezione liberale per cui io ti do le stesse opportunità, se hai le gambe cammina, se non cammini arrangiati. Quando è caduto il muro di Berlino, papa Giovanni Paolo II ha detto: “La caduta del comunismo non è la vittoria del capitalismo. Milioni di uomini in questo secolo hanno affidato la loro domanda di pace, di giustizia, di uguaglianza al comunismo, il comunismo è fallito miseramente, ma quella domanda c’è ancora”. Ci siamo mai domandati in questi giorni perché popoli che hanno pagato con la vita il tentativo di superare la dittatura comunista, oggi che sono liberi votano per il partito comunista? Vuol dire che non è stata data quella risposta. Una democrazia deve “rimuovere gli ostacoli”. Per quest’affermazione c’è stato un grande dibattito tra la destra e il centro sinistra per usare le formule di oggi. Anche l’art. 4 (che riprende il concetto sul lavoro esposto nell’art. 1) ripropone questa esigenza di promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e il pieno sviluppo della persona umana. Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Anche qui c’è una profonda intuizione cristiana. È del contemplativo americano Thomas Merton il concetto che “ognuno di noi è diverso dall’altro, ma ognuno di noi è insostituibile”. Nel film di Federico Fellini “La strada” (1955), a Giulietta Masina in lacrime che scoraggiata dice: “Nessuno mi ama, io sono inutile”, il clown risponde: “Vedi questo sasso? È importante. Anche tu sei importante”. Bisogna far sì che la società sia capace di utilizzare la ricchezza umana di ogni cittadino: ecco, qui c’è l’ingiustizia profonda di quando non si creano le condizioni perché una persona possa dare il suo contributo. Pensate nel passato quando potevano studiare solo i figli delle famiglie borghesi e ricche, quanti figli di operai e di contadini potevano essere scienziati, artisti, potevano dare un contributo e non l’hanno dato perché è stato seppellito e non portato alla luce. Tutti questi primi articoli, quelli dei princìpi, continuano a scavare nella direzione di raccogliere il contributo di ogni persona perché ogni persona possa crescere secondo le sue qualità e le sue capacità e perché il Paese sia arricchito dal contributo di tutti i suoi cittadini. Per l’art.5 il pensiero dei cattolici democratici è stato essenziale:
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
E ha dovuto cozzare contro due diverse concezioni: quella accentratrice statalista, propria della cultura e dell’esperienza fascista, e quella del pensiero marxista che non è un pensiero che individui nelle autonomia locali il modo più adeguato di governo della cosa pubblica. Fu una battaglia piuttosto dura che fecero soprattutto i democratici cristiani eredi di quella tradizione di Don Sturzo e del pensiero sociale cristiano per il quale ciò che può esser fatto dall’ente minore non deve essere fatto dall’ente superiore. Oggi noi viviamo una fase della vita dell’Italia in cui questi discorsi si ripropongono, chi parla di maggior decentramento alle regioni, chi parla di federalismo, si è parlato delle “tre Italie”: è un tema aperto sul quale ci dovremo misurare.

Tina-Anselmi-Ministro

Come ministro del lavoro e della previdenza Tina Anselmi giura il 30 luglio 1976 davanti al presidente della repubblica Giovanni Leone: dopo 836 ministri uomini avvicendati in 36 governi, è una Tina sorridente vestita con un abito fantasia che appone la firma sui documenti ufficiali, sola donna circondata da maschi.

Costituzione e Concordato

Molto importante è l’art.7 dove si stabiliscono i rapporti fra Stato e Chiesa:

ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
Quel “ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” è la traduzione dell’evangelico “date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”. Stato e Chiesa hanno finalità diverse e quindi hanno un’autonomia che deve essere rispettata, ma hanno anche responsabilità che devono esercitare: lo Stato deve conseguire quello che san Tommaso diceva il bonum humanum simpliciter, semplicemente il bene umano. Non si possono dare allo Stato finalità che non siano di un bene comune. Lo Stato non deve fare la morale, non ha finalità religiose, che sarebbero casomai clericali. Quando si è creduto con questa strada di facilitare alcuni percorsi, invece si sono aggravati i problemi. Lo scontro più duro fu fra Pio XII e Mussolini, quando Mussolini sciolse tutte le organizzazioni giovanili perché voleva il monopolio educativo e Pio XII disse: “O l’Azione cattolica ha la libertà di educare i giovani che vogliono appartenere, o faccio saltare il Concordato”, che era appena stato firmato, nel 1929. Si tratta quindi di una materia molto delicata: solo mantenendo questa reciproca autonomia e sovranità si possono trovare obiettivi comuni senza che le responsabilità di ciascuno siano intaccate da un prevaricare degli altri. Pur avendo dato nell’art. 7 alla Chiesa cattolica un risalto che Togliatti, quando portò il consenso del Partito comunista, motivò dicendo che “la Chiesa cattolica è quella che ha la maggiore influenza nella vita in Italia”, immediatamente nell’art. 8:
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Allora quest’articolo sembrava poco attuale, oggi invece abbiamo un pluralismo di chiese anche in Italia, dovuto anche alle migrazioni, che ci pongono problemi. Dobbiamo stare attenti: dove è la tradizione e dove invece è la concezione religiosa. Penso alle donne islamiche, alla mutilazione genitale e all’infibulazione che condannano quelle donne a una vita sessuale dolorosissima. Adesso le donne islamiche che vivono in Italia si presentano alle Unità sanitarie locali e vogliono che questo intervento sia fatto in maniera sanitariamente garantita e in modo meno doloroso. Per i nostri medici il codice prescrive che l’intervento sul corpo, la mutilazione eventuale debba avvenire soltanto per guarire una malattia. Anche su altri aspetti della convivenza oggi questo problema è aperto, quindi quest’articolo è più che mai attuale: non lo abbiamo finora vissuto in pieno, perché non c’erano condizioni che ponessero i problemi da esso affrontati. Occorre dunque una nostra educazione anche da questo punto di vista.

Tina-Anselmi-Nilde-Iotti

L’attualità della Costituzione

C’è un articolo molto importante per noi cattolici, l’art. 11, dove si ripudia la guerra come strumento di offesa e come strada di risoluzione delle controversie. Art. 11

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
C’è anche un articolo su cui in questi anni ci siamo molto scontrati, l’art. 21.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’Autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’Autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Sull’ultima affermazione “… contrarie al buon costume” la discussione è aperta. Come s’identifica il buon costume per applicare la legge? È difficile trovare un accordo, nel senso che abbiamo diversità di sensibilità e di cultura. Qualche volta succede che se un film è proibito il “buon costume” del nostro Paese si manifesta con una maggiore affluenza a vedere quel film. Su questo però siamo tutti d’accordo: non è di “buon costume” quando offende con immagini la dignità della donna o del minore. Non è possibile concludere che anche le donne hanno pari dignità se tutto viene commercializzato attraverso il sesso della donna. Qui non solo non c’è “buon costume”, qui si perpetua una cultura che non è attenta a difendere la dignità della donna e del bambino. Un altro punto su cui voglio fermarmi: l’art. 29. Sarà un punto molto caldo alla conferenza mondiale di Pechino, come lo è stata alla conferenza del Cairo (settembre 1994):
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
Quell’aggettivo “naturale” accanto a società la Dc lo voleva “indissolubile” (ma la proposta cadde per due voti). Sul concetto di famiglia il dibattito oggi è aperto in Italia e nel mondo. Viviamo una situazione di fatto dove ci sono famiglie sposate con cerimonia civile, ci sono famiglie sposate con rito religioso, ma ci sono convivenze che qualcuno vuole chiamare famiglie. E anche i testi presentati alla nostra Camera dei deputati dicono che le convivenze, non importa se di persone dello stesso sesso o di sesso diverso, sono famiglie. La discussione si allarga anche alle adozioni di coppie gay o lesbiche. C’è tutta una problematica apertissima. Cosa si volle affermare allora (preoccupazione non solo della Dc)? Esistono situazioni di fatto, ma se vogliamo tutelarle e riconoscerle come famiglie, dobbiamo individuare dei criteri di continuità della convivenza, di aiuto, di assunzione di responsabilità. Oggi assistiamo a dei dati incredibili: dopo tre anni di divorzio solo il 50 per cento dei padri paga gli alimenti e il 20 per cento ha ancora rapporti con i figli. Allora cosa crediamo che dia e debba dare la famiglia? Noi cattolici democratici pensiamo che la famiglia sia un’esperienza comunitaria e affettiva insostituibile. All’art. 33 si parla della libertà d’insegnamento:
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato…
Qui affiora l’eterna questione dei contributi che lo Stato deve o non deve dare a chi manda il figlio alla scuola privata per garantire il modello di educazione che ritiene più opportuno. È stato uno dei motivi di scontro in questi cinquanta anni. L’art. 37 richiama i diritti della donna lavoratrice, ma richiama anche al dovere di aiutare la donna nel suo ruolo di madre, nei suoi impegni familiari.
La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce a essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
È ora che dobbiamo trovare per la donna un’armonizzazione del suo ruolo in famiglia con il lavoro fuori di casa, ma dobbiamo trovarla coinvolgendo di più l’uomo e individuando una politica, anche fiscale, di sostegno alla famiglia. Questo è uno dei punti non ancora realizzati.

Le possibili modifiche

Art. 67, il ruolo del parlamentare:

Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
Io, come parlamentare, posso cambiare partito, votare come credo, non sono sottoposto a vincolo né del territorio che mi ha votato, né dei cittadini che mi hanno votato, né del partito che mi ha candidato. Poi l’elettore mi manderà a casa se non è d’accordo con quello che ho fatto. Immaginare che la vita parlamentare sia fatta da tre o quattro boss che parlano in nome del pacchetto di voti rappresentato dai loro parlamentari, è un errore costituzionale. Questo è stato un articolo molto dibattuto perché è avvenuto, in altre situazioni e in altri regimi, che per cambiare la maggioranza si contestava il diritto di rappresentanza. Qui la Costituzione è molto chiara, come quando, all’art. 138, parla delle procedure con le quali si può cambiare la Costituzione stessa.
Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
I migliori costituzionalisti d’Italia precisano che ci sono parti della Costituzione che non sono disponibili a cambiamenti referendari: tutta la parte che attiene ai valori, quella che esprime la fine di un regime e l’ingresso nell’esperienza democratica. Si tratta semmai di adeguare con leggi questi princìpi. Diceva La Pira: “L’ordinamento dello Stato sta in rapporto alla società come l’abito sta al corpo che lo deve indossare”. Questo momento non è quello della seconda Repubblica, ma deve vedere l’impegno di tutti per realizzare una società che sia coerente e fedele con i valori della Costituzione. Ogni altra strada che imboccassimo potrebbe essere non quella della stagione del cambiamento, ma quella dell’affossamento di quelle libertà che dalla Resistenza abbiamo tradotto nella Carta costituzionale. Aldo Moro diceva che “di crescita si può anche morire”. Non dobbiamo avere paura del cambiamento: la Carta si può anche modificare, ma senza intaccarne le radici profonde sulle quali, dalla Resistenza ai giorni nostri, l’Italia ha potuto progredire. Dobbiamo dare riferimenti al cambiamento. Ecco perché, se la Costituzione ci ha riconosciuto il diritto di esserci, oggi abbiamo il dovere di esserci.

bussola-punto-fine-articolo

2. CONTINUA. Dopo l’anima di sinistra con Nilde Iotti (link) e l’anima cattolica con Tina Anselmi, seguirà l’anima liberale della Costituzione nelle parole di Giovanni Ferrara (link). Le illustrazioni sono di Ro Marcenaro, dal libro da lui illustrato per la Regione Emilia-Romagna “La Costituzione italiana”.

A PROPOSITO

Tina Anselmi, una vita in breve

Tina-Anselmi

1927, 25 marzo: nasce a Castelfranco Veneto (Treviso). 1943: vede un gruppo di giovani partigiani impiccati dai nazifascisti. Diventa staffetta partigiana della brigata Cesare Battisti, al comando di Gino Sartor. 1944: s’iscrive alla Democrazia cristiana e partecipa attivamente alla vita del partito. 1945: si laurea in lettere alla Cattolica di Milano e insegna alle scuole elementari. 1945-1948: è dirigente del sindacato dei tessili. 1948-1955: dirigente del sindacato delle maestre. 1958-1964: è incaricata nazionale dei giovani nella Dc. 1963: è eletta membro del comitato direttivo dell’Unione europea femminile, di cui diventa vice-presidente nello stesso anno. 1968-1992: deputato nella circoscrizione Venezia-Treviso. 29 luglio 1976: occupa il dicastero del Lavoro nel governo Andreotti: un fatto storico, perché l’Anselmi diventa la prima donna ministro in Italia. Dopo quest’esperienza è stata anche ministro della Sanità nei governi Andreotti IV e V. È fra i principali autori della riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale. 1981: è nominata presidente della Commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2, che termina i lavori nel 1985. È stata più volte presa in considerazione da politici e società civile per la carica di presidente della Repubblica. Muore nella sua Castelfranco il 1º novembre 2016. Sui sentieri di carta: la bibliografia essenziale sulla Anselmi

  • 2011: La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi, a cura di Anna Vinci, ChiareLettere, Milano, 548 pagine.
  • 2006: Storia di una passione politica, Tina Anselmi con Anna Vinci, Milano, Sperling & Kupfer. – 144 p.
  • 2004: Bella ciao: la Resistenza raccontata ai ragazzi, Tina Anselmi, Pordenone: Biblioteca dell’immagine, 91 p.
  • 2003: Zia, cos’è la Resistenza?, Tina Anselmi, San Cesario di Lecce, Manni, 77 p.
  • 1993: Intorno a Macondo: itinerario per i giovani alla ricerca di un nuovo impegno civile, Tina Anselmi [e altri]; a cura di Gioventù aclista, Cernusco sul Naviglio, CENS, 200 p.
  • 1985: La rocca del paradiso, Tina Anselmi; illustrazioni di Gianni Peg., Torino, SEI, 32 p.
  • 1984: Un documento storico: il complotto di Licio Gelli / relazione di Tina Anselmi. Supplemento di L’Espresso, 62 p.

bussola-punto-fine-articolo

A PROPOSITO

Grazie a Tina, madre del Servizio Sanitario che i mondo ci invidia

Nata nel 1978, la sanità pubblica ha avuto come fondatrice la prima italiana che ha ricoperto la carica di ministro del Lavoro e poi della Salute. Una vita controcorrente, una storia da combattente (la “Tina vagante”) che fa meritare vie o piazze a questa donna “prima in tutto”