Ricostituiamoci! Con Nilde Iotti, Tina Anselmi e Giovanni Ferrara riscoprii le tre anime della Costituzione, "la nostra bussola inclusiva". Parola di Mattarella

In tre giorni del ‘95, nel Polesine, raccolsi le parole dell’allora presidente della Camera (foto) sulle radici di sinistra della nostra Carta comune, la bussola della nostra democrazia parlamentare compiuta, elogiata dal Capo della Stato Sergio Mattarella nel discorso tradizionale di Capodanno 2023 ("resta la bussola inclusiva della nostra democrazia parlamentare compiuta"). Seguirono le riflessioni sull’influenza cattolica della ex partigiana veneta e su quella liberale dello storico repubblicano. Le ripropongo: i giovani le studino e i meno giovani si uniscano nel segno di una ritrovata buona politica. Una carta forte, altro che uomo forte…

IL TEMPO DELLA STORIA / LA MEMORIA ATTUALE / REPRINT

intervista a Nilde Iotti di Salvatore Giannella*

Questa Repubblica si può salvare. Ma, per questo, deve diventare la Repubblica della Costituzione

Nilde Iotti

Giovedì 5 dicembre 2019 come milioni di italiani ho visto e ascoltato con emozione il racconto della vicenda umana e politica di Nilde Iotti, dalla partecipazione all’Assemblea Costituente nel 1946 all’elezione come presidente della Camera dei deputati (chi si fosse perso quel docu-film lo può rivedere a questo link).

Quelle immagini, di Nilde e della giovane cronista (interpretata da Linda Caridi, che partita dalla squadra di Emisfero destro teatro di Cassina de’ Pecchi è diventata un nuovo talento del cinema civile con film come Lea, di Marco Tullio Giordana, dove impersona Denise, la figlia di Lea Garofalo, eroica ribelle antimafia) mi ha portato a ripescare nel mio archivio nastri registrati alcune testimonianze di grande interesse sulle tre anime della Costituzione. Due (l’anima di sinistra e l’anima cattolica) portano la firma di Nilde Iotti e di Tina Anselmi, grandi donne della nostra Repubblica, formate alla scuola della Resistenza: pur essendo su sponde diverse (Nilde nel Partito comunista, Tina nella Democrazia cristiana) sono state unite da un grande amore per la democrazia. Per tutte e due, gli incarichi di maggior prestigio arrivarono a fine anni Settanta: l’Anselmi fu ministro del Lavoro e della Sanità, prima donna ministro in Italia. Iotti, invece, fu presidente della Camera per ben tre volte consecutive, raggiungendo un primato non ancora superato da altri. Nel 1981 la Iotti incaricò Tina Anselmi di presiedere la Commissione d’inchiesta sulla loggia massonica segreta P2 che voleva imbrigliare la democrazia in Italia (per saperne di più: La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi, a cura di Anna Vinci, Chiarelettere).

Illustrazione di Ro Marcenaro per libro “La Costituzione italiana”, Regione Emilia Romagna, 2019.

Anna Foglietta interpreta Nilde Iotti nel primo docu-film sulla vita dell’ex presidente della Camera. Andato in onda giovedì 5 dicembre 2019, in prima serata su RaiUno, ha conquistato 3.684.000 spettatori.

A loro mi lega un ricordo personale

Era il 1995 e nel Polesine fui chiamato da un sacerdote polesano ma nomade della fede, don Giuliano Zattarin, a intervistare la Iotti su una delle tre anime della Costituzione, il patto della convivenza civile tra gli italiani: un patto che vide confluire tre grandi tradizioni politiche che facevano capo ai tre grandi partiti di massa della nascente Repubblica. A quella serata seguì l’incontro con la Anselmi sull’anima cattolica della nostra Carta e infine con Giovanni Ferrara, storico e senatore, sull’anima liberale di quella legge fondamentale del nostro Stato frutto del lavoro di un anno e mezzo dei Padri Costituenti, approvata il 22 dicembre del 1947 con oltre il 90 per cento dei votanti ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Ad apporre la firma finale fu il presidente della Repubblica Enrico De Nicola (rappresentante dell’area liberale), a fianco delle firme del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, leader dell’allora Dc, e del presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini, tra i fondatori del Pci e tra i più strenui difensori della Carta (“Coloro che contestano la nostra Costituzione lo fanno innanzitutto perché non la conoscono e ignorano tutto ciò che l’ha preceduta”, ha scritto nel suo libro Come nacque la Costituzione). Alle parole principali di Iotti, Anselmi e Ferrara aggiungerò quelle memorabili (ma non per tutti) del grande costituzionalista Piero Calamandrei. Ricordate? Calamandrei diceva che per cercare i luoghi in cui è nata la nostra Costituzione (dal latino “constituere”, cioè, “stabilire”, “ordinare”, “dare stabile assetto”) bisogna andare sulle montagne in cui caddero i partigiani della Resistenza al fascismo, nelle carceri in cui furono imprigionati e nei campi dove furono impiccati: “Ovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità di un popolo, lì devono andare i giovani perché lì è nata la nostra Costituzione”. Parole forti, che mai come oggi suonano sconosciute proprio a quei giovani (sardine e non) che della vita democratica sono linfa vitale e che invece, stretti tra precarietà e assenza di futuro, vivono sempre più lontani da quei luoghi del pensiero e dell’azione che i Padri Costituenti trasformarono in un grandioso inno alla convivenza civile e alla vita democratica. Augurandoci che la lettura provochi “scintille del piacere di imparare”, come direbbe quel maestro unico che è Mario Lodi, ecco qui di seguito, più che mai attuali, quelle norme ancor oggi in vigore, che riflettono i princìpi che hanno ispirato i Padri costituenti. Padri ai quali guardare “come gli antichi padri che in occasione di invasioni, epidemie o altri rischi abbandonavano il deserto e tornavano in città ad avvertire del pericolo” (prendo in prestito le parole di don Giuseppe Dossetti, che fu vicesegretario di De Gasperi e nel ’58 abbandonò la vita politica per tornarci quando si accorse dei rischi che correva la Carta). Quei 75 uomini e donne delegati dall’Assemblea Costituente (i loro nomi e i loro brevi profili biografici, li troverete in un articolo successivo, Ndr) arrivarono a conclusioni condivise pur fortemente divisi dalle ideologie nel nuovo scenario della Guerra fredda: il lavoro (all’epoca c’erano due milioni e mezzo di disoccupati e il lavoro “era una parola centrale nella mente dei Costituenti. E nella cultura dell’Italia di allora in generale, il lavoro era il canale su cui si fondava il riscatto delle masse popolari, non era solo un obbligo, non era una maledizione”, ci ricorda lo storico Giuseppe Sabatucci), la democrazia, la solidarietà e l’eguaglianza, e poi il ripudio della guerra, la libertà d’espressione, la parità delle confessioni religiose e la tutela dell’ambiente. La nostra Costituzione, che i padri ci hanno assicurato come bussola collettiva dapprima con il loro sangue e poi con la loro saggezza e lungimiranza, è ricca delle diversità politiche degli italiani ed è fastidiosa soltanto a chi ha in fastidio le diversità.

Linda Caridi, classe 1988, nata a Milano da genitori siculo-calabresi, è Rosanna nel film Storia di Nilde. Dopo i successi nel mondo del cinema, Linda approda anche sul piccolo schermo per interpretare il ruolo di una donna con cui la Iotti avrà un rapporto importante ai fini della storia.

Il mio incontro con Nilde Iotti in riva al Po

Il 21 gennaio 1995 don Giuseppe Dossetti partecipò a Milano al convegno “Costituzione oggi: princìpi da custodire, istituti da riformare” promosso dal movimento Città dell’uomo. Di Costituzione quella sera si parlò anche in un borgo del Polesine, a Castelmassa (Rovigo). Nel Centro sociale Leonilde Iotti detta Nilde, presidente della Camera dei deputati per tre volte consecutive, dal 1979 al 1992 (un primato), con la sua inseparabile camicetta, il filo di perle coltivate, rispose in un’intervista pubblica (una delle serate organizzate da don Giuliano Zattarin per il ciclo d’incontri sulla Costituzione) alle domande che le posi dopo averla presentata con queste parole:

Nilde Iotti, una dei cinque “fondatori” della Costituzione ininterrottamente presenti dal 1946 alla Camera (gli altri in quel ’95 erano Giulio AndreottiGiancarlo PajettaEmilio Colombo e Oscar Luigi ScalfaroNdr), rappresenta il simbolo di oltre 50 anni della nostra vita, mezzo secolo che questa donna ha trascorso all’interno della buona politica, di quella politica che rivendica il primato e che ha bisogno di riprendere il primato; l’ha trascorsa all’insegna del rigore e della semplicità, entrando a Montecitorio a soli 26 anni. Come sapete, è stata una delle figure di maggior spicco del Pci retto dal genovese Palmiro Togliatti (1893-1964), del quale fu compagna nelle lotte politiche e, per quasi vent’anni, anche nella vita.   Nata a Reggio Emilia nel 1920, figlia di un ferroviere socialista umanitario che aveva avuto i suoi guai con il fascismo, una laurea in Lettere presa all’università Cattolica di Milano. Alla Cattolica, per una decisione del padre: “Papà Egidio preferiva le scuole religiose, meglio i preti che i fascisti”, diceva. “Io poi ho vissuto il distacco dalla religione in modo razionale: spesso ho notato negli ex praticanti un’animosità verso l’organizzazione ecclesiastica che li rende settari e anticlericali. Io no”.

Nilde partecipò alla Resistenza guidando i “Gruppi di difesa della donna”. Deputato all’Assemblea costituente nel giugno 1946 (556 deputati eletti in tutt’Italia, tra i quali 21 Madri Costituenti (i loro nomi sono in coda al testo, Ndr) e tra tutti 75 scelti per la Commissione che doveva elaborare il testo della Costituzione: tra loro molti nomi che faranno parte della storia d’Italia. Il 22 dicembre 1947 era nell’aula di Montecitorio a votare il testo definitivo della Costituzione entrata in vigore pochi giorni dopo.

 

Una fase dei lavori dell’Assemblea Costituente che stese la Costituzione per la neonata Repubblica italiana. Le sedute si svolsero tra il 25 giugno 1946 e il 31 gennaio 1948.

GIANNELLA: I ricordi più vivi di quelle giornate storiche?

Umberto-TerraciniNILDE IOTTI: “Il primo viaggio verso Roma e il giorno delle votazioni. Il viaggio perché allora i treni erano contingentati: i biglietti li assegnava il prefetto di Reggio Emilia, a seconda dell’urgenza. Mi fu dato un posto sul treno delle 2 e 38, era notte fonda, non c’erano luci… Ero abituata a viaggiare la notte: durante la guerra avevo studiato all’università a Milano, si partiva tutti i giorni all’alba, si tornava tardissimo, Quindi, con una piccola torcia in tasca e un panino nell’altra, entrai alla stazione. Il mio sedile era già stato occupato, c’era già una folla in piedi. Fu un viaggio lunghissimo: si arrivava alla stazione Termini alle 10 di sera, 20 ore… attraversammo un Paese distrutto, ma la sensazione di euforia, la voglia di ricominciare, erano palpabili, più forti di tutto. Il giorno della votazione, invece, mi colpì il discorso di Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75 di cui avevo fatto parte (con Togliatti e Concetto Marchesi) nella prima delle tre sottocommissioni, quella dei diritti civili e politici (le altre due erano quelle dell’organizzazione dello Stato e quella per i diritti economici e il lavoro), perché trasmetteva tutta la ricchezza del lavoro compiuto. Poi si votò: pallina nera nell’urna nera e pallina bianca nell’urna bianca per dire di sì e quando Umberto Terracini (foto in alto), presidente della Costituente, proclamò il risultato (454 voti favorevoli, 62 contrari) l’Assemblea si alzò in piedi con un grandissimo applauso. Anche i monarchici, che erano usciti sconfitti nel referendum su monarchia o repubblica: non applaudivano, ma erano in piedi. Il risultato era così denso da indurre pure chi l’aveva avversato a inchinarsi in segno di rispetto”.

Nel ’50, con Togliatti, la Iotti adottò una bambina, Marisa Malagoli. È stata eletta presidente della Camera nell’estate ’79 e riconfermata in quel ruolo per 13 anni, un primato. Nel marzo ’87, prima donna e primo esponente comunista in Italia, le fu affidato dall’allora capo dello Stato Francesco Cossiga un “mandato esplorativo” per la creazione di un nuovo governo. È stata anche presidente della Commissione bicamerale delle riforme, una figura chiave delle istituzioni repubblicane e protagonista della lunga marcia della sinistra ma anche del lungo cammino delle donne. Questo curriculum fa capire il perché la maggioranza dei gruppi parlamentari le riconosce doti di prestigio, autorevolezza e indipendenza e, insieme, il grande attaccamento di Nilde al Parlamento, al quale lei attribuisce una funzione di “mediazione alta” e la sua contrarietà decisa alla proposta di elezione diretta del presidente della Repubblica (ricorda spesso il caso di Sandro Pertini: quando fu eletto capo dello Stato, Pertini non era neppure il candidato ufficiale del Partito socialista allora al 10 per cento).

A molti sfugge in questo periodo l’importanza del cammino particolare dell’universo femminile nel nostro Paese. In una ricerca presentata recentemente negli Stati Uniti è stato fatto notare che prendendo in considerazione alcuni indicatori della qualità di vita e sommando questi indicatori (che vanno dai diritti della donna al lavoro femminile, a tutta una serie di altri indicatori, come la lunghezza della vita media e così via), la situazione della donna in Italia è oggi, anni Novanta, al primo posto al mondo. Questo è un dato che spesso viene trascurato, anzi anche da autorevoli personalità viene non solo dimenticato ma addirittura negato e si fa avanti una sensazione della donna italiana che sia rimasta al palo mentre altri hanno fatto chissà quale altro cammino. Vorrei perciò ricordare, insieme alla donna politica, la donna che ha portato avanti con determinazione e rigore anche il cammino dell’universo femminile in Italia…

Quando mi è stato offerto di venire qui a presentare la presidente Iotti, ho ripreso in mano la Costituzione e ho notato che in calce a essa ci sono tre firme. C’è quella del capo dello Stato Enrico De Nicola, rappresentante dell’area liberale; a fianco di quella del presidente del Consiglio De Gasperi, leader dell’allora Dc, e di quella di Umberto Terracini, nato a Genova nel 1895, uno dei fondatori del Pci e padre storico della sinistra italiana. Quindi è vero, c’è anche questa anima di sinistra nella Costituzione italiana. Secondo me, però, si sbaglierebbe a dare alla Carta una coloritura marxista, una coloritura liberale, una coloritura cattolica… Riprendetele in mano, queste righe. Purtroppo noto con amarezza che è stata cancellata la straordinaria consuetudine del sindaco che affidava ai giovani diventati maggiorenni la copia della Costituzione, la Carta della nostra convivenza, un piccolo simbolo ma dal grande significato civile.

Nilde Iotti ora ci dirà perché questa Costituzione è incompiuta, perché si può migliorare magari ritrovandosi in un clima meno rissoso di quello che viviamo nei nostri giorni: gli uomini ci sono per mettere mano con sapienza ed equilibrio, lontano da quei febbrili interventismi di alcuni per i quali la Costituzione sarebbe poco più che un documento formale.

C’è lo spazio per una via di equilibrio tra l’estremismo della cautela e il febbrile interventismo, e questo spazio viene più facile trovarlo se il clima politico è meno rissoso. In ogni caso è importante che questa riflessione nasca dalla convinta alfabetizzazione di gente come voi che stasera siete qui, in tanti, rinunciando a fare qualcos’altro per venire a salutare una donna che è anche un simbolo.

NILDE IOTTI: Mi sento imbarazzata a parlare dell’anima di sinistra, o marxista della Costituzione perché in qualche modo l’anima di sinistra non c’è come non c’è l’anima cattolica, né quella liberale, ma c’è l’incontro, nella Costituzione, di esperienze, di pensieri, di teorie…

Ciò che fa grande la nostra Costituzione è il fatto che gli uomini che sedevano intorno a quel tavolo hanno avuto la capacità e l’intelligenza, non facile a trovarsi, di uscire dal loro campo e di sapere trovare i punti comuni in cui ogni italiano poteva ritrovarsi e riconoscersi e quindi avere una Carta costituzionale che fosse davvero di tutti gli italiani. Questo fa grande la nostra Costituzione.

Io credo che poche volte sia avvenuto nella storia un fatto di questa natura. Condivido le parole di chi mi ha preceduto quando ha parlato di cautela, di stare attenti nel voler cambiare la Costituzione. Certo, si possono vedere i limiti oggi, a 50 anni di distanza dal momento in cui fu proclamata, rispetto alla società, ai costumi e alla mentalità che sono cambiati. È un errore se non volessimo vedere i punti in cui la seconda parte della Costituzione va cambiata, eppure io dico: facciamo attenzione perché un documento di questa natura è un punto di arrivo della storia degli italiani, ed è stato possibile trovare quell’accordo grazie a un clima d’inedita concordia.

Togliatti, che allora dirigeva il gruppo parlamentare comunista, nel primo discorso all’Assemblea costituente, disse:

Questo è l’incontro di diverse correnti di pensiero: il solidarismo cattolico con quello del movimento operaio socialista e comunista, con la parte migliore del pensiero liberale.

 

La nostra Costituzione ha un’anima italiana uscita dalle esperienze vissute, da un pluralismo di forze politiche. Ci sono alcune parti che a noi comunisti di allora (allora ero giovane, sono nata nel ’29, e avevo compiuto durante la campagna elettorale l’età per essere eletta all’Assemblea costituente che, come sapete, svolse le sue sedute tra il 25 giugno 1946 e il 31 gennaio 1948). Quella era un’Assemblea che raccoglieva davvero la storia d’Italia.

L’Assemblea era molto interessante, era come un appuntamento con la Storia. Era divisa tra più generazioni: c’era quella dei protagonisti del periodo precedente il fascismo, come gli ex presidenti Orlando e Nitti o come Croce ed EinaudiBonomi e Sforza, tutti ugualmente attivi durante i lavori; quella dei capi dell’antifascismo, come De GasperiNenniTogliattiSaragatParriTerraciniDi VittorioPertini, i quali avevano conosciuto il carcere o l’esilio; e quella dei giovani che uscivano appena dalla lotta della Resistenza. Erano quelli che avevano fatto la guerra di Liberazione al nord, che avevano comandato formazioni partigiane (BoldriniTaviani e tanti altri) e poi, nel Sud, erano stati i primi a guidare le lotte per la terra. Insomma, c’erano poche persone che avevano la mia età, 25/26 anni, una notevole parte che ne aveva sui 30/32/33 anni e poi c’era una parte che era tra i 40 e i 50 anni ed era costituita da quegli uomini che durante il fascismo erano stati in carcere, in esilio e avevano combattuto con tutti i mezzi contro il fascismo per affermare in Italia la libertà e la democrazia. Tutti avevamo perso qualcosa nella lotta per la libertà. Ricordo che mio cugino Valdo Magnani, nato nel 1913, fece per nove anni di seguito il soldato… cominciò con le guerre d’Africa, poi fu richiamato per la guerra di Spagna nel ’36, nel ’40 entrammo in guerra noi italiani, poi un anno e mezzo di Liberazione. Era quasi un miracolo essere ancora vivi…A noi ragazzi di quella generazione era stata rubata la giovinezza, non so se i giovani di oggi se ne rendano conto.

A seconda dei partiti questi uomini rappresentavano gruppi sociali diversi. Nella Dc, per esempio, c’erano intellettuali, avvocati, uomini di diritto del Centro-Nord che durante il fascismo avevano continuato il loro lavoro, ma non si erano mai piegati di fronte al regime fascista. C’erano i vecchi notabili del Sud e, chi conosce la storia della Dc, sa molto bene che i notabili del Sud (così chiamati da loro stessi) erano stati quegli uomini su cui si era appoggiato Don Sturzo quando aveva fondato il Partito popolare, più conservatori di mentalità perché non avevano vissuto con la stessa intensità la grande tragedia del fascismo e della guerra. C’erano gli uomini che avevano combattuto per la Liberazione: intellettuali e partigiani (DossettiLa PiraFanfaniLazzati, un gruppo di professori dell’Università Cattolica, Aldo Moro – anche se non era stato partigiano perché nato in provincia di Lecce). Questi furono, nel corso dell’Assemblea costituente, la punta di diamante del gruppo della Dc durante la discussione della Costituzione.

Nilde Iotti (Reggio nell’Emilia, 10 aprile 1920 – Poli, 4 dicembre 1999), prima donna nella storia dell’Italia repubblicana a ricoprire una delle tre massime cariche dello Stato, la presidenza della Camera dei deputati.

Poi c’eravamo noi, i comunisti: avevamo la storia più tormentata. Nelle nostre file non c’era molta gente che aveva avuto il tempo di discutere per sapere come doveva essere lo Stato italiano. Credo fossero due o tre le persone che avevano un’idea abbastanza chiara di quello che doveva essere lo Stato italiano dopo il fascismo. Gli altri erano gente che era stata in carcere, in esilio, al confino. C’erano i giovani che portavano questo spirito nuovo. Io ricordo bene me stessa: noi pensavamo all’Unione Sovietica come a un grande paese che stava combattendo la guerra contro Hitler e che aiutava il mondo a liberarsi dalla minaccia del fascismo e del nazismo. I processi, le purghe erano cose ignorate perché noi dell’Italia di allora avevamo vissuto in modo del tutto chiuso a quanto accadeva al mondo. Noi che avevamo vissuto e avevamo creduto nel fascismo (certo non commettendo gli atti nefasti del fascismo) abbiamo avuto torto. Era quindi un’Assemblea del tutto particolare e naturalmente questo era comune a tutti i gruppi. C’era una storia che era la storia del nostro Paese dal ’20 al ’45 che era stata vissuta in modo diverso se si era nell’Italia meridionale, se si era nel Centro o se si era nel Nord, ma era la storia del nostro Paese ed era anche la nostra storia personale e noi giovani riportavamo tutto questo. Prendiamo l’articolo 7:

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Fu assolutamente un compromesso. Togliatti stesso s’impegnò nella formulazione di quello che è rimasto il primo comma. Era una formulazione importante tanto più perché riconosciuta anche dalla Chiesa che mai aveva accettato l’impostazione risorgimentale della “libera Chiesa in libero Stato”. Si poneva così finalmente fine alla Questione romana. Al voto finale si arrivò dopo un drammatico intervento di De Gasperi in cui si alludeva alla possibilità che la Chiesa potesse chiedere un referendum sulla Costituzione provocando l’ennesimo scontro in un Paese già stremato, e dopo nostre discussioni interne, perché non volevamo alienarci il voto dei cattolici. Ricordo che il giorno prima di votare l’articolo 7, con quel riferimento ai Patti Lateranensi che portavano la firma di Benito Mussolini, la Direzione del partito si riunì con il gruppo parlamentare: credo fosse la prima volta nella storia dei partiti comunisti di tutto il mondo. A favore si pronunciò non solo Luigi Longo che, in quanto comandante delle formazioni garibaldine nella Resistenza era stato in stretti rapporti con i partigiani cattolici, ma anche Pietro Secchia. Chi si scatenò contro fu il gruppo dei vecchi compagni che erano stati in carcere, al confino, in esilio: i Gullo, i Fedeli, i Fatini… era comprensibile che loro considerassero l’accordo tra Mussolini e la Chiesa come un anello delle catene che avevano dovuto ingiustamente subire. Lì prevalse la linea di noi giovani, che eravamo in maggioranza.

GIANNELLA: Che cosa stava particolarmente a cuore, a voi giovani comunisti?

NILDE IOTTI: Stavano più a cuore i diritti umani. Indubbiamente era importante il diritto di sciopero, così com’erano importanti i diritti sindacali, ma la parte che più ci importava erano i diritti umani. All’inizio del ‘900 i lavoratori erano riusciti a conquistare il diritto di sciopero e da reato diventava diritto. Quindi conquistare il diritto di sciopero nella Costituzione, certo una cosa importantissima, ma non mi pare si possa dire che questa è l’anima marxista e neanche del sindacato. Perché come si faceva nel 1945 in un’Europa che si liberava dal nazismo e dal fascismo, in quel Paese che aveva combattuto contro il fascismo e il nazismo, si poteva dire “facciamo senza il sindacato, il sindacato è proibito”. A nessuno sarebbe mai venuta in mente un’idea del genere… vittorio-emanuele-orlandoVittorio Emanuele Orlando (foto a destra), che era membro dell’Assemblea costituente ancora pieno di vigore – era nato nel 1860, all’epoca era ultraottantenne – si divertiva a fare la corte alle poche signore che erano state elette all’Assemblea costituente e non gli importava che fossero giovani o meno giovani, perché per la sua età erano tutte giovani. Ma neanche a Orlando (del quale si ricorda un elogio conclusivo molto bello: “Questa Costituzione è un miracolo”) sarebbe mai venuto in mente di negare l’esistenza e il diritto dei sindacati. Io credo che la parte che stava molto a cuore a noi marxisti fosse sì affermare il diritto di sciopero, il diritto di sindacato, ma c’era una parte ancora prima di questi diritti e di cui quello di sciopero e del sindacato facevano parte, che erano i diritti umani che ci stavano a cuore più di altri. E credo voi li conosciate bene quali sono questi diritti umani; tutta la prima parte della Costituzione è particolarmente importante ed è quella cui noi comunisti abbiamo dato maggiore attenzione. Quando all’art. 1 si dice “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e si aggiunge “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, io mi ricordo che questo era stato proposto da Togliatti nella forma originaria, poi modificato, è arrivato alla forma attuale. Non posso dire, per esempio, la stessa cosa per l’art.2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Quest’articolo, pure fondamentale per lo spirito della Costituzione, ricordo bene che fu suggerito da Aldo Moro. Dell’art.3:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

E quindi si disegna una società profondamente civile e di uguaglianza, voglio dire di uguaglianza sociale fra tutti i cittadini che si prospetta e poi si aggiunge “è compito della Repubblica…”, cioè far seguire al principio di diritto l’indicazione anche del modo come la Repubblica deve muoversi per rendere reale il diritto affermato precedentemente. La prima parte si deve a Togliatti, la seconda è stata proposta dal socialista Lelio Basso (allora era del Psup, Partito socialista d’unità proletaria, inizialmente senza la centrale i di italiano, nome molto lungo prima della cosiddetta “scissione di Palazzo Barberini” guidata da Giuseppe Saragat che nel 1947 diede origine al Partito socialdemocratico). Ho voluto citare volutamente questi primi tre articoli, uno proposto da Togliatti, un altro da Moro e un terzo nella prima parte da Togliatti e nella seconda parte da Basso, per indicare concretamente come in questa Costituzione anche nelle affermazioni più importanti, più alte e più elevate, vi sia stato questo concorso di opinioni che provenivano da gruppi non solo socialmente diversi ma da gruppi che avevano idee, ideali, princìpi diversi. Eppure tutti erano impegnati per trovare quella formula che potesse essere parte della Costituzione comune a tutti i cittadini italiani. A me pare che questo sia un fatto straordinariamente importante. Nell’art. 4 (nessuna Costituzione al mondo contiene questo diritto, una cosa su cui ci siamo battuti senza trovare ostacoli, salvo qualche ala di vecchi conservatori):

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

cioè tutti avevano diritto di lavorare ma anche dovere di lavorare. I 13 articoli della prima parte della Costituzione, che la Corte costituzionale ha dichiarato non modificabili in nessun momento, credo che siano un patrimonio storico e civile del popolo italiano e guai a chi crede di cambiare la Costituzione in questa prima parte. Qui c’è l’unità del popolo italiano. Questa è la parte che ci stava più a cuore e la ragione è molto semplice. Durante tutti i vent’anni del fascismo nelle carceri italiane ci stavano molti comunisti, qualche socialista, un certo numero di democristiani, di liberali e di repubblicani ce n’erano pochi. Noi comunisti eravamo quindi una formazione politica che avevano pagato sulla propria pelle il fatto che in Italia non fossero garantiti i diritti, la libertà, la loro libertà di espressione. Eravamo quella forza politica che più avevano pagato della mancanza di questi princìpi fondamentali e allora sì, il marxismo era una cosa molto importante, ma noi guardavamo alla realtà del nostro Paese e la realtà ci diceva che bisognava nel modo più solenne, più grande e unitario garantire quello Stato, quel livello di civiltà, di collaborazione e solidarietà tra i cittadini che è affermato appunto nella prima parte della Costituzione. L’aver preferito questa parte a una teorica lotta per introdurre i princìpi marxisti nella Costituzione io credo che sia stato un merito del Pci.

GIANNELLA: Veniamo alla famiglia e all’articolo 29:

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

Camillo-CorsanegoNILDE IOTTI: Forse il contrasto più grande che avvenne tra noi Costituenti, tra il pensiero del Pci e quello rappresentato dalla Dc, fu appunto sulla questione della famiglia. Io ero relatore insieme a un democristiano che si chiamava Camillo Corsanego (foto a destra), un avvocato della Sacra Rota che fu anche segretario del conclave che elesse pontefice Paolo VI. Nessuno dei nostri due testi fu approvato. Da parte dei professorini della Dc, che trascinavano con sé qualche altra formazione politica, si affermava che lo spirito della Costituzione doveva essere il contrario di quello che era stato il fascismo, e siccome il fascismo diceva che lo Stato viene prima di tutto e tutto discende dallo Stato, bisognava dire che la famiglia era una società di diritto naturale precedente tutto e quindi avesse diritti suoi che erano quelli di una società di diritto naturale. Era evidente che su un’affermazione di questo genere noi non potevamo essere d’accordo, e non poteva trovare la nostra approvazione neppure quanto era detto nel testo dell’onorevole Corsanego: “La famiglia è una società di diritto naturale basata sul matrimonio indissolubile”. Noi affermavamo che nella Carta costituzionale era assurdo scrivere la parola “indissolubile”.

GIANNELLA: La interrompo, presidente Iotti, per far affiorare le parole di Umberto Terracini, Pci, uno dei presidenti dell’Assemblea, che quando gli fu chiesto qual era la giornata che ricordava con maggiore interesse, rispose: “È strano che non sia mai stato ricordato il fatto che nella Costituzione non figuri, dopo il termine matrimonio, l’aggettivo ‘indissolubile’. Fatto grazie al quale è rimasta aperta la strada al divorzio. A un certo momento vi fu la proposta sulla dichiarazione di voto che il gruppo comunista respingesse il principio d’indissolubilità e questa fu l’unica votazione che nell’Assemblea costituente abbia rappresentato una contrapposizione di due schieramenti: da una parte c’eravamo noi, i socialisti e tutta la sinistra e dall’altra i democristiani e i moderati. La proposta fu fatta dal compagno Grilli di Como e il risultato della votazione fu che la soppressione della parola ‘indissolubile’ fu approvata con 194 voti contro 191. È stata una delle votazioni più significative e clamorose e naturalmente seguita con estrema attenzione e poi salutata alla fine tra tante proteste da parte dei democristiani, e da applausi ma temperati da parte nostra dato che era stata una sottile trovata quella che ha portato a quella votazione.

NILDE IOTTI: Quel Grilli comasco non era il Grilli del gruppo comunista, ma era un socialdemocratico che presentò questo emendamento in aula e questo con nostro grande stupore passò. E passò essendo assenti ben tre ministri democristiani. L’assenza di tre ministri ai voti sulla famiglia permise che fosse cancellata la parola “indissolubile”. Allora si nominò una commissione fatta di due persone: Moro e Togliatti. A loro due fu affidato l’incarico di trovare una formulazione che potesse essere accettata da tutti ed è quella che si legge adesso nella Costituzione: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sulla famiglia”. Ricordo che quando si discusse questo punto un qualunquista che si chiamava Mastroianni chiese che cosa fosse la società naturale. Può essere una qualsiasi società di un uomo e una donna che si mettono insieme e vivono insieme. Moro gli rispose che lui non escludeva in quel concetto anche l’idea di una società naturale come lo stesso Mastroianni la intendeva, ma aveva soltanto bisogno di due condizioni: la stabilità e la durata. Mastroianni rimase stupefatto di quest’affermazione e rifiutò e non votò questa formulazione né in commissione né in aula. Mi ricordai di queste parole di Moro perché mi avevano molto colpito, quando si discusse la legge sul divorzio. Allora ci fu da parte della Conferenza episcopale italiana un documento che diceva che bisognava ricordarsi di avere grande rispetto per le famiglie di fatto se esse hanno dimostrato di avere carattere di stabilità e durata. Concetti non accettabili da un cattolico ma qui si parlava della Costituzione italiana non della Costituzione soltanto dei cattolici e quindi mi resi conto, in quell’occasione, di quanto alto fosse questo concetto e non di poco conto come l’aveva voluta far sembrare un qualunquista.

GIANNELLA: Continua l’articolo 29 sulla famiglia:

Il matrimonio è fondato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

NILDE IOTTI: Fu una bomba giuridica. Se pensate che allora c’era scritto nel Codice civile che “la moglie obbedisce al marito e lo segue ovunque intenda fissare la propria residenza”, vi rendete conto che affermare che il matrimonio era fondato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi era di estrema importanza. E l’articolo seguente, il 30:

È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

Quell’aggiunta: “anche se nati fuori dal matrimonio” fu varata con l’accordo dei cattolici. Gli articoli 29 e 30 sono stati alla base di quella riforma del diritto di famiglia che ha fatto del Codice civile italiano uno dei codici più avanzati d’Europa. E che ha assicurato alle donne italiane, dal punto di vista giuridico e statale, la condizione più avanzata tra i paesi industrializzati del mondo. Questo traguardo è stato conquistato in virtù di questa Costituzione e in virtù delle lotte che le donne hanno saputo condurre nel corso di questi cinquant’anni.

GIANNELLA: Veniamo all’articolo 33, che pone l’accento su un altro aspetto molto importante:

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

NILDE IOTTI: Qualcuno potrebbe pensare che quel “senza oneri per lo Stato” sarà stato suggerito da voi di sinistra, e invece no! Fu suggerita dall’allora ministro del Tesoro, liberale, e fu approvata dall’Assemblea. L’articolo 33 prosegue così:

La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

È l’articolo ricordato da Oscar Luigi Scalfaro nel corso della campagna elettorale, ma questo è un articolo che fu proposto dai democristiani e alla cui approvazione il Pci ha contribuito. Perciò il discorso della scuola pubblica e privata va visto alla luce della Costituzione.

GIANNELLA: Un’ultima questione: quella riguardante i rapporti economici, terreno molto delicato, perché si trattava di parlare della proprietà statale ma anche privata.

NILDE IOTTI: Se voi vedete il testo della Costituzione, è molto interessante perché all’articolo 40 dice:

Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.

Ebbene, va ricordato che le leggi che regolano lo sciopero sono state definite soltanto negli anni scorsi. Non vi è alcun cenno qui a una polemica allora molto accesa sul fatto che i dipendenti dello Stato non avessero diritto di sciopero, polemica che fu risolta con l’espressione: “nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Per quanto riguarda la proprietà si dice (art. 42):

La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.

GIANNELLA: Carattere particolare della Carta è anche la parte dei rapporti politici che all’art. 49 dice dei partiti:

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

NILDE IOTTI: Aggiungo che i partiti concorrono alla democrazia, attraverso l’organizzazione dei loro iscritti. Fin qui la prima parte della Costituzione, quella che rappresenta la storia d’Italia: è una grande conquista. Questa è la parte che non va toccata. Ce n’è però un’altra, la seconda, dedicata alla Camera e al Senato e alla formazione delle leggi, che era vecchia quando è stata approvata. Qui si stabilisce che il Senato e la Camera hanno gli stessi diritti e s’indica il procedimento legislativo che deve essere approvato dalla Camera e dal Senato: la legge diventa legge solamente quando diventa testo tra Camera e Senato. Questa era una parte già vecchia quando è stata approvata. È capitato più di una volta che una legge sia stata approvata quando non serviva più. Bisogna dare più sveltezza alla votazione delle leggi e credo sia necessario discutere sulla riforma della Carta, ma anche attuarla nelle parti in cui è rimasta inattuata: basti pensare che per l’istituzione delle Regioni si sia dovuto aspettare 21 anni e che la norma che riconosce i figli nati fuori dal matrimonio è stata approvata soltanto nel ’75… Se bisogna stare attenti a cambiare la Costituzione, ciò non significa non vederne, -dopo mezzo secolo, i limiti rispetto al cambiamento della società, della mentalità. Credo sia anche necessario vedere come arrivare a estendere l’autonomia regionale, non per dividere l’Italia ma per avvicinare la gestione della cosa pubblica ai cittadini attraverso le Regioni e i poteri delle Regioni. Solo quando si sarà giunti a un regionalismo, o meglio a un federalismo solidale (perché bisogna mantenere la solidarietà tra le diverse parti di cui è composta l’Italia), si potrà tornare ad avere un’idea forte in tutt’Italia dell’unità del Paese, si potrà tornare ad avere il senso dell’Italia una e indivisibile. Uno dei grandi pregi della Costituzione è che non ha un’anima marxista o di sinistra, ha qualcosa di diverso e di più importante: ha un’anima italiana uscita dalle esperienze vissute dal pluralismo di forze politiche che hanno redatto la Carta. Stiamo attenti a non perderne il valore. bussola-punto-fine-articolo

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog che vuole essere una bussola verso nuovi orizzonti per il futuro, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”“L’Arca dell’arte”“I Nicola”“Voglia di cambiare”“Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”“Guida ai paesi dipinti di Lombardia”“In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” e, a quattro mani con Maria Rita Parsi, “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019). Gli ultimi: Terra ultima chiamata Acqua ultima chiamata (2020 e 20222, Antiga Edizioni). Ha curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).  

* 1.CONTINUA. Nella prossima puntata l’anima cattolica della Costituzione nelle parole di Tina Anselmi (link). Seguirà: l’anima liberale, di Giovanni Ferrara (link). Le interviste furono raccolte in un ebook, Ricostituiamoci e in tre numeri del mensile BBC History Italia, da me diretto, nel maggio, giugno e luglio 2011.

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