Per una settimana, dal 19 al 25 ottobre, i cercatori d’oro di 23 Paesi del mondo sono sbarcati a Mongrando (Biella), sulle sponde dell’Elvo, per la ricerca del metallo prezioso dal greto del fiume dove tra il II e il I secolo a. C. i Romani gestivano una delle più grandi miniere d’oro a cielo aperto. Per grandi e bambini è stato possibile rivivere le atmosfere dei mai dimenticati film western. (Per le future edizioni di questo campionato del mondo, info: ATL Biella, tel. 015.351128 o www.atl.biella.it). Per me questo evento rimanda a un’inchiesta affidata anni fa a un collega di talento: Mario Cobellini, giornalista della Rai di Bologna, cacciatore di storie dagli Appennini alle onde. Fu lui a raccontare, dopo un lungo viaggio tra le colline modenesi e il gelido Alaska, la storia avventurosa di Felice Pedroni, l’italiano che scoprì l’oro dell’Alaska. Giannella Channel gli ha chiesto di rievocare quella figura e quella storia di un tenace italiano. Ecco il suo racconto. (s.g.)
L’orso bianco in posizione eretta che ci ha dato il benvenuto all’aeroporto di Fairbanks, la seconda città più grande dell’Alaska, guardandoci dai suoi oltre tre metri di altezza, seppure impagliato, ci ha ricordato che siamo entrati in un altro mondo, dove tutto può essere eccessivo: il freddo, la fame, la solitudine, la fatica, le distanze. O almeno così era per quegli europei che, attanagliati dalla miseria e dalla fame, guardavano al Nuovo Continente in espansione come una occasione per sopravvivere e forse fare fortuna.
Dal nostro Appennino emiliano molti erano coloro che guardavano in quella direzione per una soluzione definitiva e radicale dei loro problemi. Stava nascendo l’industrializzazione, anche in Europa: occorreva energia e la fonte più importate allora era il carbone. Per essere certi di trovare lavoro, per quanto duro e precario, bisognava dunque guardare alle zone minerarie. Si provava con la vicina Francia (non ci si allontanava troppo dalla propria terra) ma se non andava bene si faceva la scelta radicale, si attraversava l’Oceano, quasi sempre lasciando in Patria i propri affetti.
E questo fu il percorso anche dei fratelli Pedroni che dalle Tegge di Trignano (poche case a monte di Fanano) compirono questa via quasi obbligata. Per Felice probabilmente ci fu una molla di ordine pubblico: un misterioso colpo di arma da fuoco nella notte fortunatamente senza vittime, forse per una questione di cuore, o forse anche per tensioni legate a tagli di legname abusivi. Fatto sta che il nostro Felice Pedroni finisce nell’Illinois e poi da qui sale in Alaska con una compagnia eterogenea di giovani disperati come lui e decide di diventare cercatore d’oro. Di lui non si seppe più nulla, il suo nome non compariva in alcun documento.
Ma un notaio di Pavullo nel Frignano, Andrea Coltelloni, alla ricerca delle storie dei nostri emigranti, si imbatté in uno di questi ritornato sulle nostre montagne. Da lui venne un suggerimento: Felice Pedroni non sarà per caso quel Felix Pedro che all’inizio del 1900 aveva scoperto quel grandissimo giacimento aurifero che diede il via all’ultima corsa all’oro del Continente americano? E infatti cercando ”Felix” emerse l’incredibile storia di quel tenace montanaro appenninico che nel 1902, in quel momento assolutamente solo sulle montagne che sovrastavano la valle del Tanana, trovò un giacimento ricchissimo dopo un lavoro di ricerca disumano.
Infatti le sabbie e le ghiaie dei torrenti, opportunamente vagliate con le famose “padelle”, strumenti simbolo dei cercatori d’oro, potevano suggerire che la zona era promettente, ma poi l’oro andava cercato in profondità su un terreno perennemente ghiacciato, il permafrost. Era necessario accatastare legname in grande quantità, darvi fuoco per scaldare la terra e poi scavare e setacciare, e andare sempre più in profondità fino al letto di roccia.
L’oro infatti ha un peso specifico elevatissimo che lo fa scendere sempre più in basso. E’ per questa ragione che i cercatori usavano la “padella”: al suo interno l’acqua veniva fatta ruotare fino a quando le pagliuzze pesanti non si adagiavano sul fondo, mentre i detriti “ venivano a galla” e quindi espulsi con la rotazione insieme all’acqua stessa. Ma poi iniziava il durissimo lavoro di scavo, la vera e propria produzione.
Dunque Felix trovò il suo giacimento in quello che sarà chiamato Pedro Creek. Dalla cima di una collina, intravvide in lontananza il fumo di una nave a vapore che stava risalendo il Chena, il Lavelle Young al comando di Truman Barnette. Dopo una marcia durissima la raggiunse e da qui inizia la storia di Fairbanks, che prese il nome da un importante uomo politico (diventerà anche presidente degli Stati Uniti) che avrebbe potuto avere (come infatti avvenne) un ruolo fondamentale nello sviluppo di questa parte dell’Alaska.
Pedro, insieme agli amici più fidati, raggiunse la ricchezza ma sentì che era giunto il momento di formare una famiglia. Per lui questa decisione naturale rappresentò l’inizio della fine. Pensò di venirla a cercare moglie sulle sue montagne. Ed infatti durante un viaggio organizzato per questo scopo incontrò una giovane insegnante, Egle Zanetti. Le propose di seguirlo.
Felice era giunto sulle sue montagne con due cinturoni, uno dei quali conteneva cartucce riempite di polvere d’oro. Ma Egle non ebbe la forza di abbandonare la madre per gettarsi in una avventura tanto audace.
E così Felice tornò a Fairbanks e pare cadesse in una forte depressione, anche perché intanto erano iniziati alcuni problemi nelle società di cui faceva parte. E in quella situazione cadde fra le braccia di una (a modo suo) cercatrice d’oro, l’irlandese Mary Ellen Dora, conosciuta in una roadhouse, un misto fra emporio, albergo, saloon.
Il rapporto fu durissimo, spietato da parte di Mary. Ne scaturì una serie di cause legali per le quali Felix non era sufficientemente corazzato.
Felix, forse anche per questo, si ammalò. Fu ricoverato per una quindicina di giorni al St Joseph Hospital di Fairbanks. Accusava fra l’altro un forte dolore al petto.
Mary impedì ai suoi amici di andare a fargli visita e questo alimentò il sospetto che dietro a quella morte vi fosse stata in qualche modo la partecipazione della moglie.
Felix morì il 22 luglio 1910 e la moglie lo fece seppellire a Colma, in California, in una tomba anonima contrassegnata da una semplicissima piccola croce di cemento appoggiata sull’erba. Ma il notaio Colleoni non si arrese, giunse alla individuazione della tomba e nel 1972 alla traslazione della salma nel cimitero di Fanano. Questa fu naturalmente anche l’occasione per un attentissimo esame autoptico dei resti dal quale nulla di doloso emerse: niente veleno come si sospettava, niente spillone infilato nella colonna vertebrale. Ma certamente Mary Ellen contribuì fortemente alla morte di Felix, se non altro negandogli quell’affetto e quella attenzione che il montanaro di Trignano le chiedeva.
E su a Trignano ora vi è un monumento, un grande cappello di pietra serena (ora un simbolo) che ricorda quello di Felix Pedro, alias Felice Pedroni, l’italiano che partito da quassù scoprì l’oro dell’Alaska.
E’ stato il primo, nel 1993, a condurre una trasmissione interamente dedicata al mare e ai pescatori: Vivere il mare, che va in onda su RaiTre per un anno. Cura le prime sette puntate di Overland 2, (dal 3 luglio 1997, 140 giorni con la spedizione Pro Andes per attraversare con quattro camion tutta l’America del Sud, portando aiuti ai centri Unicef). Nel 1998 e 1999 conduce con Donatella Bianchi, Lineablu, vivere il mare. Oggi i suoi neuroni creativi si ostinano a cercare storie dagli Appennini alle onde dell’Adriatico.