(14.10.2016)
I sogni non annegano. Riaffiorano. Naufragano. Migrano da una mente all’altra e trovano ospitalità nelle case, nelle opere di chi li riconosce come propri. I sogni di chi fugge dalle guerre hanno trovato riparo e racconto nella mostra Touroperator di Massimo Sansavini appena conclusa nei Musei San Domenico a Forlì e pronta a ripartire per nuovi porti (a Bruxelles, Parlamento europeo, sala Altiero Spinelli; adesso in mostra nella Rocca di Longiano, borgo ideale di “Airone”).
Un viaggio, quello dell’artista forlivese formatosi a Ravenna, verso Lampedusa per recuperare parte degli scafi dei migranti e poi l’ascolto della materia, la ricerca di un alfabeto e il racconto di chi non ce l’ha fatta ad arrivare in Europa. Nell’opera 13 ottobre 2013 l’acqua del mare, trasparente nella gamma dei blu e degli azzurri, contiene in una dimensione statica del tempo forme minime e compiute. I colori (dominano i primari) ricordano quelli dei giocattoli dei bambini alla fine di una giornata, quando sul pavimento della loro stanza, in perenne movimento e mutamento, galleggiano i loro pensieri, le loro fantasie, le loro inconsapevoli proiezioni verso il futuro: “Dai, facciamo che io ero e tu eri e volevamo…”.
Dentro il quadrato 150 x 150, in un bellissimo gioco cromatico di disposizione delle forme nello spazio, la mente cerca il filo conduttore all’interno di quell’alfabeto. Basta poco e l’acqua, sempre più densa, è mossa da un vento di voci che soffiano dal profondo. “Le parole” cercano un loro ordine, il rapido movimento dell’occhio da un elemento all’altro genera inquietudine.
Per capire cerco risposte nelle immagini fotografiche che corredano la mostra: scafo di legno di una vecchia imbarcazione MO679; groviglio di corde che fanno un’unica materia dei barattoli di cibo in scatola con scritte in arabo e in francese, chiavi inglesi, spazzolini da denti, maglie di ferro di grosse catene. Sento l’odore della paura e i nomi delle persone che si spezzano nella chiamata di quella calca umana. I vapori del gasolio hanno sostituito l’aria. La barca troppo carica di “merce umana” compie il suo ultimo viaggio. Imbarca acqua. È questione di poco. Il “carico” scivola in mare, nulla può la stella che protegge i migranti, e diventa titoli su fogli di carta chiamati giornali. Il quarkcode, attivato da uno smartphone, mi consegna le cronache di quel 3 ottobre 2013: 336 annegati nella Baia dei Conigli a Lampedusa. “Strage di migranti, barcone a picco, centinaia di morti” (la Repubblica); “Lampedusa, la più grande tragedia del mare” (Sole 24 Ore); “Strage sul barcone dei migranti” (Corriere della Sera).
Ho scelto un’opera, un’opera per raccontare il senso di questa mostra che a me è parsa un’artistica e poetica marcia della pace. Una mostra dall’alto profilo estetico, condizione ideale perché il messaggio venga accolto e perché si trasformi in impegno civile sul fronte del diritto e in una maggiore consapevolezza delle colpe dei trafficanti d’armi che alimentano i conflitti in Africa innescando le migrazioni di massa. I sogni non annegano e le parole di legno raccontano di migrazioni forzate, di muri e di tanti bambini ai quali dovrebbe essere riconosciuto un passaporto internazionale. Garantire il diritto alla vita fino alla maggiore età non sarebbe solo un gesto umanitario ma una forma di garanzia per il futuro di un mondo governato da gente troppo vecchia e troppo egoista, incapace di guardare oltre l’orizzonte del tempo che resta della propria vita. •
A PROPOSITO/ UN LIBRO
Nel gommone: sette storie grottesche fiorite nella fantasia di Lello Gurrado
Arriva in libreria l’ultimo lavoro del giornalista (e amico ritrovato) Lello Gurrado, da qualche anno convertitosi, dopo i saggi, ai romanzi di denuncia. In quest’ultimo (Nel gommone, Edizioni del Gattaccio, 80 pag., 14 euro: www.edizionidelgattaccio.it) cuce sette storie dissacranti che ti fanno riflettere su tragedie quotidiane tremende in fedeltà con il detto latino Castigat ridendo mores. 1) Juventus (lo chiamano con il nome della squadra campione perché è figlio di un bianco e di una nera. Ma a lui il calcio non piace. Preferisce il circo, quello americano); 2) Angelitos Negros (anche il nipote di Marino Barreto, come già suo nonno, vuol parlar con un pittore che dipinge un altare. Un vizio di famiglia); 3) La pelletteria (chi lascia la pelle vecchia per la nuova, sa quel che lascia ma non sa quello che trova. Se ne accorgerà presto); 4) Il paese senza nero (sindaco di un paese omofono abolisce dal suo territorio la parola “nero”. Ne succederanno di tutti i colori); 5) Il capocazzo (caporale carogna provoca la morte di un raccoglitore di angurie. Gli altri lavoratori protestano ed è sciopero imprevisto e selvaggio); 6) Indovina chi viene a cena (Carol invita Robert a cena, lui accetta, si guardano teneramente negli occhi: cosa bolle in pentola?); 7) Sul gommone (tra l’immigrazione e l’accoglienza, quella vera e trasparente, c’è di mezzo il mare. In tutti e due i sensi).
Del libro condensiamo qui la presentazione dell’editore Luciano Sartirana. (s.g.)
Il libro è articolato in sette racconti, che toccano con taglio surreale, paradossale e divertito temi drammatici e su cui si gioca la futura convivenza civile sul pianeta. Ogni giorno migliaia di uomini, donne e bambini lasciano terre desolate, distrutte dalla guerra e da governi disumani… Li vediamo in tv, cerchiamo di non emozionarci troppo in casa all’ora di cena. Li compatiamo, ci indigniamo con la politica alta e bassa, magari portiamo qualche vestito vecchio in un centro di raccolta, o quantomeno firmiamo un appello su Facebook. Auguriamo (giustamente) grandine e vituperio sull’ignoranza razzista e sui partiti xenofobi che su di essa prosperano.
Ma arriva anche il momento dell’impotenza. L’istante in cui sai che da solo non puoi far nulla, che le colpe sovranazionali di questo scempio sono troppo grandi per ognuno di noi, e che il tuo versamento o la tua vecchia coperta donata non spostano le cose.
Soprattutto: che non puoi umanamente sopportare a lungo di stare male per queste persone. Che una certa dose di indifferenza, superficialità, piccolo cinismo ti è necessaria.
Quelle persone restano anonime migliaia, e non singole e personali storie racchiuse in due occhi. E (via via) il disastro biblico si fa normalità anche nelle menti migliori di ogni generazione.
I sette racconti di Lello Gurrado hanno un pregio grande: ti parlano di un’enormità e ti fanno ridere. Come ti permetti, piccolo borghese che non sei altro? Mi permetto perché Lello Gurrado entra nei meccanismi mentali (i nostri) che delineano i rapporti fra noi e ‘gli altri’, ne mostra le incongruenze, mette noi ‘salvati’ nella parte di coloro che chiedono di esserlo, infrange le logiche profonde con cui erigiamo le nostre barriere.
Una volta che hai riso, ti rendi conto che quegli schemi mentali sono anche i tuoi. Hai riso di te, del tuo conformismo, delle tue reazioni stereotipate. E (anche se sai di potere poco) vedi finalmente degli esseri umani. Pare poco. Ma avrà i suoi effetti. •
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