[2012]

Holbein il Giovane, Ritratto di Erasmo

Pubblichiamo qui il nuovo contributo della sezione Erasmus (dal teologo olandese Erasmo da Rotterdam, ma anche acronimo di “European region action scheme for the mobility of university students”) accompagnandolo da una riflessione e da un auspicio. Pochi giorni fa il presidente della commissione Bilancio dell’Unione europea, Alain Lamassoure, ha lanciato l’allarme: “Il Fondo sociale europeo non ha più un euro”. A cascata, significa che anche il progetto Erasmus di scambio universitario che, ogni anno da 25 anni, muove decine di migliaia di studenti (finora due milioni e mezzo di giovani europei, tra loro trecentomila italiani che hanno potuto studiare in università straniere, il primo fu Lucio Picci che nel 1987 andò a studiare nel Sussex) non ha più soldi. Per avere un’idea, lo stanziamento previsto dal programma Erasmus per il periodo 2007-2013 era di 3,1 miliardi di euro; la somma divisa tra tutti gli studenti è la borsa di studio che dà diritto a un mensile in denaro e all’iscrizione gratuita all’università.

Riteniamo impensabile che non si trovino i soldi per questi ragazzi: i governi taglino gli emolumenti ai disonesti, ma non fermino questa esperienza formativa straordinaria. Chi, pagandosi vitto e alloggio, studia con l’Erasmus (e anche con il progetto precedente, l’Aiesec: ne usufruì un giovane dal brillante futuro, Mario Monti, sei mesi trascorsi nel Regno Unito) trova facilmente lavoro e arrendersi sarebbe una scelta suicida. L’Europa è più della moneta unica. E noi andiamo avanti con i diari di questi giovani, le cui idee troviamo espresse anche in un recente bel libro di Vincenzo Cicchelli: L’esprit cosmopolite (SciencesPo.Les Presses). Sono loro il futuro dell’Europa. (s. gian.)

Giada Ilaria Demitry nel castello di Heidelberg, che troneggia maestoso sul centro storico della città tedesca e sul fiume Neckar

Novembre 2011: sono da poco tornata dall’Eramus a Heidelberg, città del Baden-Wurttemberg che ospita la più antica università della Germania (fondata nel 1386, degli oltre 140 mila residenti 30 mila sono studenti) oltre ad altri prestigiosi centri culturali e scientifici di importanza mondiale (Max-Planck-Institut, Accademia delle Scienze, ecc.). Ecco che mi trovo nella sfortunata coincidenza di avere un’ora libera tra le lezioni nella sede di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. La famigerata sede di Mercalli, dove i lavori sono in corso da quando lì era rettore Luigi Mangiagalli, agli inizi del Novecento. Per occupare l’ora buca mi dirigo verso l’auletta studio, o almeno così pensavo. Al suo posto, dopo il mio anno di assenza, trovo una segretaria; un po’ spaesata chiedo dove sia stata spostata l’aula studio e mi sento rispondere che, per quanto ne sanno loro, l’aula studio al momento non esiste.

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L’Università Ruprecht Karl di Heidelberg è un’università pubblica che si trova a Heidelberg, Baden-Württemberg, Germania. Fondata nel 1386 dal conte palatino del Reno Roberto I di Wittelsbach, è la più antica università tedesca.

Nel seminterrato

università-heidelberg“Scusi, ma quindi uno a studiare dove va?”. La risposta della segretaria è stata: “Beh, nel seminterrato ci sono delle sedie…”. Ah ecco. “Questo in Germania non sarebbe mai successo”, penso. Ma ormai me lo tengo per me: altrimenti ti danno dell’esterofila e gli amici ti dicono pure che insomma, con questa storia della Germania hai un po’ stufato.

La UB (Universitätsbibliothek) di Heidelberg è aperta tutti i giorni fino all’una di notte, domenica inclusa. Viene da chiedersi perché là è così e invece a Milano, se non sei in sede centrale, ti tocca il corridoio in seminterrato. La differenza dev’essere nelle tasse universitarie: 106,00 euro “pro Semester” a Heidelberg, 605,00 euro a Milano, e solo di prima rata. Certo non fa una piega.

È inevitabile che poi parta il paragone su tutto il sistema universitario. Perché qua paghiamo così tanto e riceviamo così poco e là invece avviene il contrario?

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La UB (Universitätsbibliothek) di Heidelberg.

Tesserino magico

A volte prendevo il bus senza comprare il biglietto. No, non “viaggiavo nero” (dal tedesco schwarzfahren, viaggiare senza biglietto): usavo semplicemente il tesserino universitario, che vale come biglietto dopo le 19 e nei weekend; all’inizio ti senti quasi in colpa, come se ti stessero regalando qualcosa che non ti meriti. La tessera ti dà diritto a riduzioni a musei, cinema, teatro, parrucchieri e, naturalmente, la mensa: con il magico tesserino paghi ancor meno, il che significa fare un pasto completo spendendo al massimo 3,00 euro. E che assortimento al self-service! C’è sempre l’imbarazzo della scelta. Per non parlare della mensa della Freie Universität di Berlino, dove ho avuto il piacere di studiare per un mese: quella era un vero e proprio ristorante. E io che prima di partire, da brava italiana, temevo il cibo tedesco! La cucina migliore al mondo dovrebbe dettar legge, ma niente da fare, la mensa di Unimi non è nemmeno lontanamente paragonabile.

Per quanto riguarda lo studio delle letterature bisogna ammettere che l’approfondimento è inferiore a quello italiano, anche se questo in Italia va a scapito della pratica. In Germania hanno la possibilità di scegliere tra Universität e Fachhochschule: queste ultime hanno meno ore di studio ma preparano alla professione dal punto di vista pratico e il titolo di studio è sempre laurea di primo o secondo livello.

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Giada Ilaria a Heidelberg (2012).

Stile di vita da imitare

Un altro campo in cui possiamo solo imparare dalla Germania è l’ecologia: sempre in bici anche con la neve, massima fiducia nel car pooling, termine inglese per indicare la condivisione di auto private tra un gruppo di persone per ridurre i costi di trasporto, mercatini dell’usato organizzati dalle università, tassa sulla restituzione delle bottiglie di plastica e di vetro: se le riporti al supermercato, puoi ricevere dai 0,15 ai 0,30 euro a bottiglia; anche per questo le strade sono pulite: se ci sono bottiglie in giro, i senzatetto ne approfittano per dare una ripulita e fare un po’ di spesa.

Ma la domanda è: i tedeschi usano tanto la bici perché hanno a disposizione 35.000 km di pista ciclabile, o hanno 35.000 km di pista ciclabile perché tutti usano la bici? Il cambiamento dovrebbe partire da noi e dal nostro modo di vivere.

Michael Moore conclude Sicko, il suo documentario del 2006 sulla sanità in America, con un quesito: quando vediamo una buona idea da un altro Paese, la imitiamo. Se costruiscono macchine migliori le guidiamo, se fanno un vino migliore lo beviamo, ma se trovano un modo migliore per curare gli ammalati, perché non possiamo farlo anche noi? Qual è il nostro problema America? Allo stesso modo mi chiedo io quale sia il nostro: perché non possiamo imparare dall’organizzazione universitaria tedesca? Dal senso ecologista dei cittadini? Dal rigore e dalla puntualità? Dopotutto, la loro birra e le loro macchine le importiamo più che volentieri.

Quel pomeriggio è finita che l’ora buca l’ho passata al bar. Almeno l’espresso lo facciamo bene.

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* Giada Ilaria Demitry risiede a Cassina de’ Pecchi, a venti chilometri da Milano (dove è nata): ha frequentato Lingue e letterature straniere all’Università degli Studi di Milano. Ha vissuto a Heidelberg da ottobre 2010 a fine agosto 2011.