Invito tutti a leggere queste poche righe che il grande regista Abbas Kiarostami mi scrisse sul tema dell’immigrazione.
Questa mattina, seduto nel mio studio di Teheran, ho guardato fuori della finestra e ho visto nel cielo blu, uno stormo di uccelli migratori in volo andare da un posto all’altro. Mi sono chiesto da dove venivano quegli uccelli e verso quale terra erano diretti. Li accoglieranno bene, con benevolenza, gli uccelli di quei luoghi?
Mi sembra che nel nostro mondo turbolento di oggi l’immigrazione sia diventata una questione di necessità. Le ondate di migrazione umana – escludendo quei casi in cui la gente si sposta volontariamente in cerca di un ambiente o di uno stile di vita migliori – sono spesso dettate da forze che sono al di là del controllo dei profughi stessi.
Gli uomini non lasciano volentieri la loro patria per diventare ospiti indesiderati di un’altra terra.
Sarebbe troppo aspettarsi che gli esseri umani, le cosiddette “creature di Dio più nobili”, si comportino come gli uccelli?
… queste poche righe ti arrivano da qualcuno la cui patria ospita oggi la più grande popolazione di immigrati del mondo e serve da seconda casa a milioni di afgani, turchi, irakeni, curdi e arabi.
Nel nostro Paese l’ospitalità verso il viaggiatore straniero è un’antica tradizione ed è nel suo spirito che il nostro famoso poeta Saadi di Shiraz, scrisse le seguenti righe circa sei secoli fa: “Tutta l’umanità appartiene alla stessa famiglia perché nella creazione essi sono germoglio dello stesso seme. Quando un arto del corpo è afflitto dalla sofferenza, anche gli altri arti diventano irrequieti e urlano il loro dolore. Così, o Signore, non merita di essere chiamato essere umano colui che è indifferente alle sofferenze degli altri”.
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