In Estremo Oriente mi arrivano notizie di una Pasqua di passione per un settore dell’economia che mi sta particolarmente a cuore: quello del turismo (a età inoltrata mi ero iscritto al master di perfezionamento di economia del turismo, condotto magistralmente alla Bocconi dalla Magda Antonioli: non lo completai perché, a tesi già consegnata, subentrò un importante lavoro in Centro Italia).
Gli italiani rinunciano alle partenze, si parte sempre meno tanto da portare l’economia turistica ai livelli del dopoguerra. L’allarme è del presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, che profetizza: «Nel giro di pochi mesi migliaia di alberghi rischiano la chiusura. E’ indispensabile che Governo, Parlamento e sindacati provino a ragionare con le imprese a un piano di emergenza per salvaguardare lavoratori e aziende del settore».
Mi interrogo spesso sulle cause del declino del fascino italiano. L’ultima volta l’ho fatto in pubblico a Cervia, in uno stimolante convegno organizzato dall’Ascom locale. Si è parlato, tra l’altro, di un turismo del futuro che scopra la geografia emozionale, materia lanciata dalla cattedra di Harvard (Stati Uniti) dalla docente di origine napoletana Giuliana Bruno, un turismo basato su quella geografia interiore che ognuno di noi possiede e che consente di intraprendere uno strano viaggio: percepire, attraverso il sentimento e la bellezza, il mondo fisico e architettonico in cui viviamo. Si è parlato di aggiungere una molecola di poesia alla già vasta gamma di servizi offerti dalla Riviera, parola (poesia) che ha causato reazioni scettiche da parte di qualche albergatore. Eppure… eppure proprio quella parola, poesia, era servita a convincere alcuni milanesi, un secolo fa, a comprarsi il mare Adriatico fondando Milano Marittima, quartiere chic proprio della località (Cervia) che accoglieva il nostro convegno. “Un paese giardino dove la poesia si sposi con la praticità del vivere”: era l’utopia di un pittore e dei suoi amici. Che avevano avuto gratis cinque chilometri di costa per farne una perla. La loro avventura pratica su quel sogno diventato città la raccontai su Oggi n. 21, del maggio 2007.

Una foto di Milano Marittima al tramonto.
Figlia di Milano
Immaginate di poter viaggiare su una macchina del tempo e di tornare agli inizi del ‘900. Interno giorno, studio del notaio Buongiovanni, a Milano. È l’11 giugno 1907 e nell’austera stanza si sta firmando un rogito. Da una parte del tavolo c’è il delegato del comune di Cervia (retto da Medardo Fusconi, primo sindaco socialista); dall’altra ci sono Giacomo Maffei e il figlio, l’avvocato Pietro, eredi di una importante famiglia del Milanese. In quelle righe dell’accordo si legge che Cervia cede gratuitamente ai Maffei “un’area lunga 5 km di relitti marini con l’obbligo del concessionario di fabbricare villini, parchi, giardini per creare una nuova zona balneare”. Nasce in quel momento l’idea di Milano Marittima, il sogno di una città ideale “figlia di Milano” dove la bellezza, il mare e la pineta fossero capaci di far dimenticare il peso della “Milano operosa per la caldura dell’estate”. Quell’idea camminerà sulle ali di un sogno e delle convinzioni decise di un pittore subentrato nella società qualche anno dopo: Giuseppe Palanti (1881-1946), milanese pure lui, arrivato dopo faticati inizi (per sbarcare il lunario dovette occuparsi fin da ragazzo come disegnatore di stoffe e cartellonista) al più decoroso e redditizio ruolo di docente di decorazione all’Accademia di Brera e di scenografo alla Scala. “Una città giardino, dove la poesia sposi la praticità del vivere”: era questo il progetto visionario del pittore sognatore e dei suoi amici benestanti.
“Il nostro pittore”
Quel sogno di pochi, cento anni dopo, si conferma una splendida realtà. Proprio in queste stagioni estive, Milano Marittima (con il suo capoluogo, Cervia, a metà strada tra la capitale del divertimento, Rimini, e una capitale della cultura, Ravenna) sta indossando gli abiti più belli per festeggiare il suo centenario: un secolo di vita durante il quale un mare di turisti l’hanno scoperta ed elevata al rango di regina della Riviera Adriatica e lei ha ricambiato donando soggiorni da re. Grazie alle sue spiagge eleganti, all’ambiente curato e agli alberghi dotati di ogni comfort, al senso dell’ospitalità e all’umanità della sua gente. Si deve a Palanti l’invenzione della località balneare che proprio lui volle chiamare Milano Marittima, un nome che rendeva omaggio al capoluogo lombardo sottolineandone il forte legame. A vederlo oggi, immortalato dal fotografo mentre disegna, in costume da bagno, coi piedi a mollo in riva all’Adriatico, pochi scommetterebbero sulle visioni di quell’artista animato da una naturale curiosità, da un romantico ottimismo e dalla voglia di sperimentazione, predicatore più del fare che dell’esibire (la radiografia completa del personaggio è in Giuseppe Palanti. Un pittore a Milano fra Scapigliatura e Novecento, di Rossana Bossaglia, editore La Rete, Milano). Palanti era paesaggista ma anche valente ritrattista: di semplici ragazzi, di belle donne, di re e regine come Boris e Giovanna di Bulgaria, e perfino di papi. Lo stesso Pio XI, che non era un mediocre intenditore d’arte, gradì posare davanti a lui per un grande ritratto. L’amore per l’arte non distolse Palanti (“e nostar pitor”, lo chiamavano i pescatori cervesi che avevano per lui una sorta di adorazione) dall’esaltare per primo il fascino di questo angolo di Romagna.
Pineta per Classe, base Nato dell’antichità
La pineta primordiale di Cervia, come si presentava allora agli occhi del pittore che tutte le estati arrivava con la famiglia e con l’arcobaleno dei suoi colori, era un bosco fitto di pini e di rovi che si spingeva fino alla spiaggia dove pascolavano a branchi, indisturbati, cavalli in libertà. Era stato l’ imperatore romano Augusto a volere il potenziamento di questi boschi. Non per strategie proto ambientaliste, ma per più pratiche ragioni militari: gli alberi, infatti, fornivano legno per la costruzione della flotta che si trovava nel vicino porto di Classe, una sorta di base Nato dell’antichità. Per rimanere nella storia, era stato questo paesaggio di pini fitti a ispirare l’estro artistico e letterario di poeti come Dante e Byron. “La nuova città doveva badare alla difesa della pineta”, chiariva anni dopo Palanti ai membri della Società Milano Marittima. “Di un bosco selvaggio, che io chiamo meravigliosamente selvaggio e che minacciava di essere distrutto da un momento all’altro come si era già cominciato, per farne campi di riso o di barbabietole, si era formato a poco a poco un centro abitato già ricco di comfort. Quindi un merito grandissimo della nostra Società è stato prima di tutto quello di conservare il pineto di Cervia, la quale l’avrebbe distrutto per creare mezzi di sussistenza alla sua comunità”.
L’ideale città giardino
Le magnifiche tele di Palanti, oggi in parte ammirabili nell’ufficio del sindaco di Cervia Roberto Zoffoli, riproducono l’atmosfera dei silenzi della pineta, il fruscìo del vento sulle vele, la risacca dell’onda sulla spiaggia e sul fianco dei bragozzi. Incredibile a credersi, fu sempre lui, il Palanti, a tracciare nel 1911 il piano regolatore. Ispirandosi alle teorie dell’urbanista inglese Ebenezer Howard, Palanti disegnò l’ideale “città giardino”, in cui le residenze turistiche dovevano fondersi armoniosamente con la pineta. Teorie che furono (e sono) rispettate per esempio, con la lodevole iniziativa del “Maggio in fiore”, sorta di Olimpiadi del giardinaggio con la squadra comunale di Riccardo Todoli che fa sbarcare qui ogni anno i più bravi giardinieri di 50 città d’ Europa per dare colori e bellezza alle rotonde. Tanto che ancora oggi la pineta e il verde, con le saline e le zone umide tappa di oltre 60 specie di uccelli, sono un poker d’assi vincente di un territorio che ha bandito gli eccessi per cercare l’ efficiente semplicità.
Villa Palanti, ancor oggi ben tenuta
1912: viene posto il primo mattone di Milano Marittima. “E infatti le feste per il centenario includeranno iniziative per rendere omaggio sia alla prima firma notarile del 1907, sia al primo taglio di nastro nel 1912”, chiarisce Terenzio Medri, presidente degli albergatori locali e dei sommelier italiani. Lo scopo della società era di costruire, in 10 anni, 30 villini da cedersi a rate ai soci. Nel biennio 1913-14 si costruirono 8 ville. La Villa Palanti, ancora oggi ben tenuta, era in prima linea. “Dal terrazzo l’artista poteva godere i pittoreschi scenari della pineta, i vasti orizzonti del mare, le vele sanguigne che si raccoglievano sotto la torre quadrata della caserma della Guardia di Finanza”, racconta lo storico del luogo, Renato Lombardi, che ha curato una bella mostra nei saloni dell’Hotel Mare e Pineta. Era piccola, la Cervia che sedusse Palanti e, anni dopo, per restare tra le celebrità della cultura, Grazia Deledda e Giosuè Carducci, Giorgio Bassani e Giovannino Guareschi, i poeti Giuseppe Ungaretti e Mario Luzi incantati dagli incontri pubblici nei quali si recitavano versi e Tonino Guerra (che a questo tratto della riviera ha dedicato una poetica Fontana dei salinari e una Casa delle farfalle): tutti grandi spiriti del luogo che meriterebbero uno speciale progetto che ne perpetui il ricordo attraverso eventi periodici.
Cediamo la descrizione a Max David, mitico inviato del Corriere della Sera, che a Cervia nacque e qui morì: “Era una piccola città, ma perfetta nella sua sobria architettura fatta di una piazza coi ciottoli e poche strade che si incrociavano simmetricamente e poi, nella vicina periferia, le case dei salinari, stile caserma, che si affacciavano all’esterno solo attraverso finestre protette da inferriate. Una città abitata da romagnoli un po’ diversi dagli altri per la liberalità della loro tradizione, per la universalità dei loro modi”. Una città già frequentata dai turisti, specie le domeniche: “Ogni sera avevi musica, e festa da ballo piena di brio, e di schietta allegria”.

Antonio Batani, il signore degli alberghi. Alle sue spalle l’Hotel Palace di Milano Marittima, il primo albergo a cinque stelle della riviera. Un altro lo sta per inaugurare a Cesenatico, dedicato a Leonardo da Vinci.
Era ieri…
Il fenomeno Cervia Milano Marittima viene oggi additato con meraviglia da quanti hanno seguito lo sviluppo di questa spiaggia nel corso degli anni. Milano Marittima in particolare ha cambiato volto. Sono centinaia le ville eleganti che si annidano nel bosco, esteso oltre 200 ettari. La pianta prevalente è il pino domestico (Pinus pinea), o pino da pinoli, che convive con il forse meno elegante pino marittimo (Pinus pinaster) e con il ginepro coccolone (Juniperus macrocarpa). A distanza di 80 anni dalla costruzione del primo albergo (il Mare e Pineta, oggi rilevato da un tenace imprenditore romagnolo, Tonino Batani, classe 1936, accurato gestore di altri sette alberghi tra i quali anche il Palace, primo 5 stelle della Riviera), oggi sono centinaia gli alberghi che, all’avanguardia per concezione architettonica e per attrezzatura, ospitano la clientela più scelta proveniente da ogni parte del mondo. Eleganti negozi e ritrovi notturni, manifestazioni culturali (su tutte, gli Itinerari azzurri della Fondazione CerviAmbiente e La spiaggia ama il libro, con i nuovi weekend letterari) e sportive (tra le più significative, il Festival dell’Aquilone e i giochi da spiaggia del Fantini club, che quest’ anno lancia i menu studiati apposta per il benessere totale di chi passa giornate “a piedi nudi sulla sabbia”), colonie e campeggi, uno stabilimento termale tra i più moderni d’ Europa, il primo depuratore d’Italia completano, con il silenzio e il clima speciale conferito dalla balsamica pineta in cui si dipanano piste ciclabili, un raro affresco turistico. La figlia di Milano che festeggia i suoi primi cent’anni, e che continua ad attirare campioni del calcio e telecronisti, vip della cultura e dello spettacolo (specie nell’evento di punta dell’estate, il Vip Master, organizzato da Mario Baldassari), ha un grande futuro alle spalle.
Nel segno di quella “poesia e praticità del vivere” che diedero le ali al sogno di un pittore visionario.
A PROPOSITO
I consigli di Roland Gunter, storico dell’architettura, per far tornare i turisti tedeschi che hanno lasciato la Riviera
Come recuperare i turisti tedeschi che fino a ieri affollavano la Riviera adriatica e oggi sembrano orientati verso lidi alternativi (Croazia e Spagna uber alles?). Ecco la risposta di Roland Gunter, storico dell’architettura, uno degli artefici della riconversione della Ruhr da capitale del carbone a capitale della cultura europea 2012.
Cari romagnoli, desiderate riavere i tedeschi. È vero amore da parte vostra? O semplicemente, si vuole fare i soldi con loro? Se volete avere solo soldi da sconosciuti, rimarranno sconosciuti per voi e saranno restii nel portarvi denaro. Chi si lascia volentieri imbrogliare? Dovete essere amabili con loro. Non dimenticate che, se si tratta solo di soldi, numerose altre spiaggia sono molto più economiche, con sabbia migliore e acqua più pulita. Allora dimenticate per un attimo gli affari. Negli affari potete fare se siete molto bravi, se siete simpatici ai nuovi arrivati, se i miei connazionali hanno la sensazione di essere particolarmente coccolati, se voi siete amabili.
Per cominciare toglietevi alcune illusioni. Due miti, che una volta vi hanno portati milioni di persone, ora non ci sono più. Il vostro mare non è più unico nel suo genere, ci sono molte coste con cui non potete competere. E il mito del Latin Lover, allora unico desiderio di tante giovani donne che stavano cercando un dolce amante, è finito. Le condizioni non sono più quelle degli anni ’50. A quel tempo, i tedeschi, rimasti intrappolati dai nazisti, erano affamati del sole di un altro Paese, vogliosi di gente simpatiche e amichevoli e voi eravate per la Germania meridionale il più vicino. Oggi si arriva in poche ore in molti altri Paesi con persone altrettanto gentili e cordiali. In secondo luogo: all’epoca c’è stato il miracolo Miss, che oggi è presente in tutto il mondo. Con questo potreste raccontare belle storie di nonne, che strizzano l’occhio al solo pensiero della loro gioventù. Siete anche il paese di Boccaccio e Fellini. Tali racconti si potrebbero offrire come punti di forza.
Vi siete impegnati molto per l’acqua pulita. Ma che dire dei grandi fiumi?Hanno finalmente acqua pulita? Rispettate il quadro direttivo dell’Unione Europea per l’acqua pulita? Non ingannatevi. Il pubblico che volete, ha una parola magica: Bio. È ecologicamente formato. Pensate anche: siete così bravi nella gastronomia, probabilmente site i migliori al mondo, ma la gente legge quanto veleno invisibile talvolta si nasconde sotto un prelibato sapore. Dovete impegnarvi anche in questa operazione trasparenza della filiera alimentare. Abbandonate l’illusione di avere ancora oggi il turismo di massa. Pensate alle molte persone singole e diverse.
Il mondo è pluralista. Non pensate più che deve appartenere allo stesso tipo a essere conquistato, ma bisogna provare a cambiare le cose, poiché ci sono diversi gruppi, ovviamente che non si devono disturbare tra loro. Non si può mettere un autodromo accanto a un luogo di silenzio come la pineta, ma solo a dovuta distanza.
Molte persone e istituzioni sono state a riposo per lungo tempo grazie ai loro successi precedenti. Il mare Adriatico ha dormito per decenni. Si é rovinato da solo in misura considerevole. Per questo esiste la parola “riminizzare”.
Non potete pretendere che ora qualcuno colpisca con un bastone la roccia e faccia accadere un miracolo, senza dover fare nulla. Si va avanti solo con tanto lavoro. Per farlo ci vuole molto entusiasmo, convinzione, gioco di squadra e naturalmente un bel po’ di soldi. Questi esistono ancora.
Ma ora l’ospite, che probabilmente potreste conquistare. Sono prudente: dico probabilmente. Niente è sicuro. L’Italia è, malgrado tante sciocchezze sulle quali non abbiamo bisogno di parlare poiché le sapete già, da sempre terra di grande cultura. Non conosco nessun tedesco, neanche ragionevolmente acculturato, che non abbia soggiornato almeno una volta in Italia.
Tedeschi acculturati ce ne sono in abbondanza. Ma per favore, che sia ben chiaro: persone acculturate possono pretendere ed essere esigenti.
Il turismo viene spesso ingannato con il comfort. Sbagliato. La Cultura è qualcosa di diverso dal comfort.
Potrei scrivervi un libro, su cosa trascurate della vostra Riviera adriatica. Venticinque anni fa ho scritto un libro/guida (Da Rimini a Ravenna) su questo argomento ma, poiché è scritto in tedesco, non l’ha letto forse nessuno. E chi l’ha letto non l’avrà capito.
Dovete immaginarvi, che con binari solcati non si può più avanzare, ma senza escogitare nuovi progetti, non si va avanti.
Vi faccio un esempio: Quanto poco avete fatto per il vostro connazionale Fellini? 25 anni fa suggerii nel mio libro, di posizionare nel centro storico di Rimini, pannelli con testo e immagini del film “Amarcord”. Su questo argomento scrissero alcuni giornali, ma l’industria del turismo fu troppo pigra per farlo. C’è un ampio numero di amanti dei film in tutto il mondo, che non tralascerebbero la vostra regione, se fosse resa più affascinante per loro.
A differenza delle vostre stupende coste, le vecchie città in vicinanza al mare hanno poco fascino. Cervia, Cesenatico… meravigliose. Ma di solito, si trovano fra la spiaggia e le splendide colline, nell’entroterra, antiestetici terreni, dove i vostri sindaci hanno permesso qualsiasi stupidità, che vi punisce oggi e forse per sempre. Non potete farci più niente. Vi do però una consiglio: avete bisogno di questo entroterra per rendervi interessanti. È una grande opportunità. Poiché è lì la vostra cultura, non sulla spiaggia, che è simile ovunque e non accultura. Allora: riflettete e prendete in considerazione di regalare a ogni famiglia un’escursione settimanale con un pullman. I costi possono essere ammortizzati dalla tassa di soggiorno. Nel pomeriggio accompagnatele quattro o cinque ore in tre piccoli bellissimi luoghi e mostrate paesaggi, scenari, gente del luogo e le loro vite. Questo non lo fa nessuna industria turistica al mondo, poiché gli operatori turistici di solito non pensano molto lontano e non culturalmente. Potrebbe anche sorgere un mito, se da voi gli operatori turistici fossero ritenuti intelligenti e acculturati.
È necessario convincere più persone possibile che, tranne la vostra bella lingua italiana, per la quale potete essere orgogliosi e che affascina anche il popolo europeo, bisognerebbe imparare altre lingue. E non solo un banale inglese. Se volete avere tedeschi, austriaci e svizzeri dovete imparare il tedesco. Non crogiolatevi più nel vostro diffuso comportamento di difesa che imparare lingue è difficile, invece incominciate, come fanno i bambini a studiare le lingue. Avete bisogno di altri insegnanti di lingue, non uomini temibili, che vi intimidiscono e vi sbattano ogni errore intorno alle orecchie. Gli errori non vi devono più interessare. Si può diventare curiosi di parole, prenderle da una conversazione pratica e tangibile come un regalo. Cercate di fare conversazioni. È anche una forma per fare amicizia. La gente dell’Alto Adige è molto richiesta e di successo perché parla due lingue. Anche voi le potete imparare.
Perché non si riceve la radio tedesca? In TV nessun canale è tedesco? Eppure i satelliti esistono da tanto tempo. Molti tedeschi non viaggiano il sabato sera senza il loro calcio. Alle Canarie lo ricevono. Questo è positivo anche per voi, perché verrebbe con naturalezza la seconda o eventualmente la terza lingua. In questo modo potreste diventare autosufficienti e indipendenti sotto molti aspetti. I target, che potete raggiungere, includono persone che hanno interesse letterario e poetico. Nell’entroterra avete tesori da offrire. Io nomino il più grande, che non è stato, purtroppo, abbastanza apprezzato prima della sua morte: Tonino Guerra. Ce ne sono molti altri. Chi adesso sta pensando, ma io non sono né poeta né letterato, è in trappola senza accorgersene. Come farà a uscirne? Lo potrebbe scoprire da se stesso. Guadagnerebbe molto per se stesso. Secondo: se vuole conquistare la gente deve pensare anche agli altri, non solo a se stesso.
In breve: in un processo di riforma del turismo poteste vincere molto per voi e ancora di più per i vostri figli e nello stesso tempo aprirvi come persone, vincere e ottenere ciò di cui avete bisogno.
Ho letto con attenzione ed apprezzato molto l’analisi di Roland Gunter sulla possibilità di catturare il turismo tedesco. Condivido il pensiero sotto ogni aspetto pur non essendo così critico nei confronti dei “gestori” della riviera in quanto, dopo aver girato tutto il mondo, ritengo offra ancora elementi differenzianti e di prestigio. Peraltro, rispetto ad altre coste italiane, c’è ancora armonia nella costa ed anche nelle zone tra la costa e le colline, non esistono per esempio grandi poli industriali a parte il porto di ravenna che è comunque affascinante.
Voglio però segnalare una grande opportunità che è bloccata tra politici ed interessi di piccoli imprenditori, cioè trasformare alcune aree dove sono presenti colonie dismesse in zone all’avanguardia, bio, green o come le volete chiamare ma di grande potenziale. E’ vero che il mare è più bello in grecia o croazia, ma la spiaggia con la vegetazione a ridosso di essa ha un potenziale ancora non compreso. Poi, la costa non deve essere vista solo come un’opportunità di business ma con amore da parte dei romagnoli ed orgoglio di ciò che è stato fatto a partire dal dopoguerra!
Le sorti della Fiat del turismo, la Riviera romagnola, ci stanno molto a cuore, e da anni. Ci auguriamo che a questo primo intervento seguano altri contributi costruttivi per far ripartire l’economia dei turismi di quella buona terra. (s.g.)
Reputo stupendi i consigli di Roland Gunther, bisogna avere il coraggio di capovolgere il tavolo e rischiare la certezza con l’incertezza per migliorarsi e rinascere. Basta lamentarsi della sfortuna o della crisi, bisogna ammettere con umiltà alcuni errori, ma bisogna ricominciare, e i romagnoli in questo non li batte nessuno. Con la pazienza e la voglia di ricominciare una nuova avventura, anche con l’aiuto di grandi uomini di cultura, la costiera romagnola raggiungerà senza difficoltà splendidi traguardi,i grandi traguardi che l’hanno sempre contradistinta da altri luoghi ; si magari col mare più bello , col mare più pulito e bla bla bla ma senza anima e calore. Io tifo Romagna (v.g.)
(via mail)
Dov’è finita la Romagna?
Dov’è finita la Romagna che, tornando da una vacanza sul Gargano 40 anni fa, mi ha accolto ospitandomi nelle sue camere? La Romagna che mi ha consegnato il portafoglio dimenticato alla cassa di un supermercato. La Romagna che mi ha insegnato a cucinare e a mangiare il pesce con la sapienza dei pescatori e delle loro donne. La Romagna che mi ha offerto i prodotti dell’entroterra mescolati a quelli degli orti a due passi dalle case.
Dov’è finita la Romagna sulle cui spiagge hanno imparato a camminare i miei figli, “custoditi” da una medaglietta con nome e numero del bagno che il primo giorno di mare veniva messa al collo dei bambini e l’interfono che aiutava a ritrovare la strada a chi si smarriva nella selva luminosa degli ombrelloni?
Dov’è finita la Romagna quando l’attenzione continua al tuo benessere ti faceva sentire ospite gradito e dove l’ultimo saluto era sempre “ci rivediamo l’anno prossimo”?
Dov’è finita la Romagna quando la partenza era sempre un momento in cui cercavi di tenere in memoria il profumo del mare, il sapore del pesce dell’Adriatico, i gesti delle mani che accompagnati dalle parole di rispetto ti consegnavano le chiavi di casa, il cibo e le storie di mare?
Dov’è finita la Romagna quando era chiaro il costo dell’affitto, di una camera d’albergo, di un pasto al ristorante e i soldi erano la giusta e riconosciuta retribuzione di chi ti offriva l’ospitalità?
Dov’è finita l’economia dell’accoglienza dove eri atteso e un filo sottile di “amicizia” ogni anno rinsaldava i legami con gente che profumava di umanità?
Dov’è finita la Romagna che ci sedusse al punto tale da portarci a credere, a noi che avevamo girato il mondo, che questo fosse il luogo ideale per sentirci a casa, dove il cerchio del viaggio della nostra vita potesse essere un nuovo punto di partenza per un nuovo viaggio, quello dei nipoti, un luogo dove i loro primi passi potessero calcare quelli dei loro genitori che su queste stesse spiagge avevano imparato a camminare?
Oggi quella Romagna mi sembra sparita. È sparita l’eleganza dei gesti, il desiderio di vicinanza, si sente l’arroganza del mero interesse economico dei singoli, dimentichi dell’interesse della collettività, si è dimenticata la storia di questi luoghi, è una memoria piena di buchi come l’unico vicolo che conduce al porto canale, dove le bandiere dei pescatori hanno nomi ormai dimenticati.
Oggi non sono padrona di tenere le finestre di casa mia aperte perché i rumori della cucina del ristorante (piatti, pentole, aspiratore e lavacozze, uniti a urli, bestemmie e comandi da circo romano) mi tolgono serenità. “Questo è un luogo di mare e la gente fa casino. Se volete silenzio, andate in campagna, noi lavoriamo”. Pessima promozione turistica di un luogo, mi viene offerto quello che ho lasciato in città, il rumore. Mi viene consigliato di andarmene e come turista vengo definita improduttiva. In spiaggia il mare è schermato da giochi, ombrelloni, tavole e se ti distrai un attimo comincia la caccia a… quel tesoro del tuo bambino, fagocitato e senza ciambella di salvataggio.
Ho dimenticato il profumo del mare ma è molto fermo in memoria la puzza che il depuratore nelle ore notturne, in attesa del promesso ammodernamento, spalma senza pietà in ogni angolo del paese e nelle case.
Le parole del mare si sono perse e nel linguaggio degli operatori è rimasto solo: “quanto costa?”. Paghi senza ricevere valore aggiunto. Omologare l’offerta costa meno e tu bevi un aperitivo come a Milano pensando di avere davanti agli occhi uno schermo sul quale scorrono le immagini di una stazione turistica. E anche tu ti agiti, consumi, ti stordisci, forse per dimenticare di essere considerato un turista ignorante da spremere e non da accogliere.
Forse è ora di sbarcare altrove.
Manuela Cuoghi Giannella
PS: porto con me i cuori generosi di Anna, Adriano, Elviro, Maria, Pino, Norina, Maurizio e le storie di Emilio, di Sante e di Oliviero.
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La Romagna esiste ancora, sono i romagnoli che non ci sono perché danno il lavoro estivo agli extracomunitari che fanno i 4 mesi poi vanno a casa e noi italiani gli paghiamo anche la disoccupazione. È ORA DI FINIRLA di dare il lavoro a questa gente e i nostri figli non trovano lavoro. RIVOGLIO LA MIA ROMAGNA”
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Scusate… da quando ho 1 anno e ora ne ho 35 di Romagna ho visto e ricordo sempre questa… di che epoca parliamo?
Quella di 40 anni fa, alla vigilia della tua nascita. Sg
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C’è da chiedersi: “dove sono finiti i romagnoli?”
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I veri romagnoli sono in via d’estinzione, che peccato!!!! Siamo gente onesta con il senso del dovere e molto dignitosi. Quando mi guardo intorno mi sento straniera a casa mia, come vorrei tornare indietro!!!!
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Non c’è più alcun posto dove sbarcare ormai se non all’interno di noi stessi, dove i pochi umani sopravvissuti in un mondo di zombi coltivano e proteggono una caletta di naturalità. Il mondo è andato, perduto, e le folle adoranti l’unico vero dio si agitano frenetiche sulla sua superficie, come pidocchi su un capo.
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Questa Romagna esiste ancora, sotto alla polvere dell’interesse economico spicciolo che fa scegliere camerieri e cuochi e bagnini ecc che non sanno neanche dove è l’Italia (figurati la Romagna) in cambio di 100 euro in meno al mese e 5 ore in più al giorno, sotto alle aiuole appassite che i dirimpettai neanche annaffiano (ui’ha da pinsè e cumon) e infiniti altri. Sopportate il rumore delle pentole -la città dei residenti confligge da sempre con quella dei turisti- e continuate a fare quello che avete sempre fatto, da milanesi che hanno investito qua: costringeteci a togliere questa polvere che pare ormai una tempesta di sabbia.
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Io sono una romagnola Doc e se vieni a casa mia ti faccio assaggiare la Romagna che intendo io: quella ospitale senza essere interessata, che magari non sa ballare ma che sa ancora cantare Romagna mia, che dice “scapa du chi ragna, va du chi magna”
abbiamo tutto cio’ che il mondo ci invidia
se solo ci dessero la possibilita’ di lavorarci
(e di gente che ha voglia e forza di farlo
ne e’ piena l’Italia, e non solo i romagnoli)
la forza della nostra costa e’ l’ospitalita’
e il sorriso,un po’ scemato per via dell’egoismo che un po’ ha appannato il nostro
modo di fare
con molta amarezza condivido tutto quello che hai scritto.purtroppo la gente non ha neppure più voglia di ridere!
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Non è la Romagna che è cambiata, è tutta la società. Ringrazia per questo la politica e la televisione degli ultimi 30 anni.
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Io sono orgoglioso di essere romagnolo, e il problema va cercato a monte, non va colpevolizzato l’extracomunitario onesto ma l’italiano idiota che lo prende fuori regola pagandolo pochissimo i tre mesi dell’estate, va colpevolizzato lo stato che sta alla finestra perché i soldi che porta la nostra romagna fanno comodo a roma, purtroppo c’è stato un boom di turismo che ha portato gli albergatori a guardare di spendere poco e cercare ogni mezzo x guadagnare tanto spendendo poco, ed ecco finita la poesia…
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Quella Romagna, che accoglieva i sopravvissuti e i figli dei soldati di ogni provenienza che aspramente avevano difeso la propria vita nell’estate-autunno del’44 e che è da considerarsi il crepuscolo della stagione delle guerre, non c’è piu’. E’ proprio in quel frangente che era maturata l’idea di rinascita tra una pioggia e una sferzata di raggi solari che volevano seccare il fango dell’ideologia razzista. Li’ è stata concepita la Costituzione così come è proprio in quel momento che è nata la guerra fredda tra comunismo e capitalismo democratico, ove gli alleati negando armi e sostegno alimentare nel momento cruciale di liberazione ai partigiani prima e anche succesivamente, sopraintendendo le direzioni politiche, evitavano di nominare sindaci comunisti nei comuni liberati dall’azione partigiana. Sebbene questi resistenti non avevano potere politico avevano voce in capitolo per una concreta opposizione politica. Perciò nacquero le cooperative che erano la vera locomotiva economica di quel periodo storico.
Lo Stato si impegnava a incentivare e sostenere il potenziale ricettivo romagnolo per potere sostenere la bilancia commerciale italiana con incentivi sulle concessioni demaniali e opere pubbliche. Con l’aiuto della manopera giunta dal meridione d’Italia gli operatori turistici si sentirono coccolati dal governo, riuscendo a trasmettere un atteggiamento ospitale per piu’ di 20 anni. Albergatori, bagnini, artigiani ed esercenti votavano per lo piu’ a sinistra col sostegno di politiche sociali. Finchè non è arrivato il biscione che per aver la maggioranza si è schierato con la lega che rimarra’ sempre, a mio parere, un partito anti-costituzionale. Complice la situazione politica che stava maturando nell’Europa pre-abbattimento del muro di Berlino, industria e agricoltura crearono le condizioni per la mucillagine mentre lo Stato iniziava ad investire in nuove zone turistiche da incentivare. La Germania ovest che per prima ha dovuto far fronte alle ondate di spostamento dall’est era in ginocchio, vedendo che il nostro nuovo governo non sposava idee di controllo per l’industria, dei concimi e dell’edilizia, ha pensato bene di investire nella zona croata senza disdegnare collegamenti in Spagna e Grecia. La globalizzazione e il nuovo capitalismo selvaggio ha ucciso il cooperativismo.Coloro che in Romagna avevano fatto tanti soldi hanno iniziato a odiare i lavoratori che andavano a selezionare d’inverno nell’est europeo,giustificando così uno spostamento politico da sinistra verso destra e la lega. Tutta questa energia negativa, che è il frutto di una ignoranza globale, perpetua, tendente al progressivo, viene trasmessa all’ospite.
L’altro giorno ho letto una frase che mi ha colpita molto: “Il turismo del futuro? Parte dai cittadini residenti, dalla loro qualità della vita, dalla loro capacità di essere felici, dalla loro cura verso la terra in cui abitano. I turisti arriveranno di conseguenza.” Non credete che possa essere associato anche alla nostra Romagna? Per tanti imprenditori che hanno voglia di reinventarsi e di aprirsi al futuro, ne vedo ancora tanti che ragionano con la logica del “io vinco, tu perdi” dando ai turisti l’impressione che si stia combattendo una guerra tra poveri. La Romagna è una terra unica e i romagnoli lo sono altrettanto: devono avere solo più coraggio, ritrovare un punto di partenza e ricominciare. Fino ad allora, ci saranno solo le lamentale, che non portano nulla di buono e costruttivo.
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Trascrivo questo post perchè mi ha dato gioia e speranza….. “Spiaggia, divertimento, piadina, baldoria. Alla domanda “se dico Rimini a cosa pensi?” fino a poche settimane fa avrei risposto così. Poi ho scoperto che la Riviera Romagnola ha tante altre ricchezze da offrire ai turisti e l’entroterra di Rimini ne è un esempio…non è mai troppo tardi per imparare! Come ho già raccontato in questo post sui weekend trascorsi a Rimini, ci è bastato allontanarsi di pochi chilometri dalla Rimini “marittima” per scoprire luoghi di una bellezza sconvolgente ed estremamente romantici… Io personalmente amo in modo particolare i colori del tramonto e credo che questi borghi in pietra, posti sulla cima delle colline, diano il meglio di sè proprio mentre il sole della sera ne riscalda i riflessi e le ombre, lasciando passare i raggi attraverso le fessure tra le case e regalando panorami incantati che si aprono a 360 gradi attorno alle antiche mura… Come ho fatto ad accorgermi di tutte queste meraviglie a due passi dal mare? Tutto merito del Consorzio “Alberghi Tipici Riminesi” che tra le tante attività promosse, si occupa anche di organizzare visite guidate per i turisti, alla scoperta delle località nell’entroterra di Rimini, al motto di “Amo la mia terra e vorrei che gli altri la vedessero coi miei occhi” Riuscire a vedere un paese con gli occhi di chi lo abita è la fortuna più grande che possa accadere a chi viaggia. Quindi non posso far altro che ringraziare questi albergatori riminesi perché grazie ai loro occhi ho potuto scoprire dei luoghi magici che hanno dato un sapore ancora più vivo alla “nostra” Riviera Romagnola! Milly””
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Non sono affatto d’accordo. Mi trovi un posto che sia cambiato in meglio, rispetto a 40 anni fa. Le persone cambiano non sempre per scelta, purtroppo.
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A Sorrento il 21 novembre faremo un incontro organizzato da Le Chiavi D’Oro Campania Felix per il Consiglio nazionale de Le Chiavi D’Oro FAIPA dal titolo: “Parole per un futuro possibile; una nuova Visione del turismo in Italia e la NASPI”.
Con i testi del blog, il suo libro Voglia di cambiare molto mi/ci ha ispirato.
Un’altra cosa: anche a me manca tantissimo Enzo Biagi anche se lui vive nei suoi libri…
Grazie! Grazie! Grazie!
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Le parole del lettore Di Maio mi hanno fatto riprendere in mano la pagina del mio diario nel giorno del funerale di Enzo Biagi.
Pianaccio, 9.11.2007: “Tornando dall’Appennino bolognese a Milano in macchina, ho avuto la netta sensazione che oggi Biagi abbia scritto l’ultimo suo bellissimo pezzo. Come in una scrittura dalla punteggiatura stretta, tutto si è svolto secondo una struttura molto chiara. Al bivio che porta a Pianaccio, “4 km è scritto sul cartello stradale”, carabinieri e finanzieri ci fermano: “Dovete parcheggiare e potete salire solo a piedi”. La navetta è stata soppressa, troppa gente è già arrivata a Pianaccio. Ignoriamo la distanza e cominciamo a percorrere in salita la strada.
È una calda estate di San Martino, il cielo è di un azzurro così denso da rendere vellutati e morbidi i rossi e i gialli che disegnano alberi e boschi. La salita in solitaria è accompagnata dalla voce dell’acqua del torrente Silla. Nevicano foglie gialle e fiori rosa prolungano l’estate. Grazie, dottor Biagi, salire lentamente dà tempo alla mente di pensare e di farsi domande.
Due giovani camminano velocemente dietro di noi. Ci sorpassano. Un sorriso e un buongiorno! “Abito in un paese dove dire Buongiorno vuol dire Buongiorno e liberale vuol dire veramente liberale”, scriveva Biagi. La gente che ha raggiunto la piazza e dato un saluto al maestro di vita comincia a scendere. È il popolo d’Italia che non compare in televisione. “Piccola grande Italia, storie di gente che non fa notizia, questa è la nostra inchiesta che non leggerete mai” (Giangiacomo Schiavi, Corriere della Sera). Gente normale, dai tratti civili, che saluta: “Buongiorno”. Famiglie con bambini giovani, coppie di anziani, gente che cammina: “Sono ancora due km., ma dopo questa parte un po’ umida c’è il sole”, aggiunge al saluto un signore che legge nella nostra andatura il dubbio se proseguire o tornare indietro. “Resistere, resistere, resistere”. Ce lo hai insegnato tu, caro Biagi, che da partigiano sei sempre stato giusto e libero: “Ho sbagliato anch’io molte volte, ma mai per conto terzi”.
Continua il flusso in discesa delle persone. Hanno, nel passo e nelle parole che si scambiano, una nuova energia. Hanno compiuto il loro pellegrinaggio. Hanno visto dove è ritornato questo grande maestro di civiltà. Lo sanno al sicuro, protetto nella sua Pianaccio. Le auto blu con i finestrini neri scivolano verso la strada principale in discesa: Veltroni, Prodi, Errani, Mieli, De Bortoli, Petruccioli, don Mazzi… così dirà poi il telegiornale. I vetri neri hanno separato la gente dalla loro rappresentanza…
Ultima curva, oltre la piazzetta, è la stradina che porta al cimitero. Morire lentamente, sembra suggerire l’inclinazione dolce del terreno. Cento morti, non molti di più, sono sepolti in questo piccolo abbraccio di mura di pietre chiare. È un microscopico teatro dove la scena fissa è data dal monte Cimone, verso il quale tutte le tombe sono rivolte…”.
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Grazie Salvatore. Enzo mi manca!