Arrivare a camminare in tanti su questo pontile arancione, dopo le difficoltà di ogni genere causate dalla marea umana, indica il bisogno collettivo di trovare nuovi orizzonti, una bussola nel caos che accompagna la nostra vita. Camminare sulle linee dello sguardo, sentire la distanza come vicinanza, unire punti, luoghi, persone e pensieri, cambiare il proprio passo e il proprio stato, dall’immobilità della terra ferma alla ricerca minima di un equilibrio governato dalla forza liquida del lago. Parola di una docente di educazione artistica dopo una giornata passata in coda

SULZANO (Brescia)

Viaggio in treno Milano-Brescia. Posti a sedere liberi. Al binario 3 Ovest a Brescia, destinazione Sulzano, una coda che si allarga a forma di colata lavica, avanguardia del milione e più di persone arrivate ad ammirare e a camminare sui floating piers di Christo, l’artista di origine bulgara. Impossibile pensare di utilizzare i biglietti prenotati. Cerchiamo un Taxi: la loro presenza, all’uscita dalla stazione, è segnalata dalla sola linea gialla sull’asfalto e da una ulteriore coda di persone in attesa. Ricorda l’hangar dal quale doveva partire il viaggio felliniano di Mastorna (si riuscirà una volta partiti a ritornare?).

Andiamo, su indicazione di una barista, alla ricerca di un pullman per Iseo. Una navetta, poi, ci porterà a Sulzano. Ritorniamo in stazione, una fermata di metropolitana. Scendiamo le scale, architettura segnata da un forte carattere ingegneristico. Bocche di luce ci accompagnano ai treni. Doppia apertura come a Hong Kong, Melbourne e nelle grandi capitali del mondo. Pochi minuti di metro, quattro vie, angolo dopo angolo, ed eccoci alla stazione dei bus. Undici e trenta, si parte un’ora dopo, alle 12,35. Il tempo di una fetta di focaccia e di un ottimo involtino di pane, zucchine, prosciutto e mozzarella ed eccoci pronti al secondo tempo di questa avventura.

passerella-christo-lago-iseo

La passerella arancione che ha unito i comuni di Sulzano e Montisola sul lago d’Iseo. Il percorso pedonale di 3 chilometri era composto da pontili larghi 16 metri e alti 50 centimetri dai bordi degradanti, senza barriere o ringhiere. 7 mila metri quadri di tessuto, sostenuti da un sistema modulare di pontili galleggianti formato da 200 mila cubi in polietilene ad alta densità, per una installazione che si sviluppa a pelo d’acqua, seguendo il movimento delle onde.

Che cosa mi porta a questo viaggio?

Si mettono in fila, come grandi fotografie, le immagini di Gorizia, giugno 2015, quando all’interno di un grande progetto europeo, InVisible Cities, la città viene affidata agli occhi degli artisti e al loro sentire. Installazioni, multivisioni, opere scultoree, musica… Tutte insieme per riconsegnare ai goriziani una città e la sua storia che per ripetitività di visione non riusciva più a stupire i suoi cittadini. Evento intenso, straordinario, workshop, seminari di discussioni e di proposte… tutto questo perché possa nascere, sulla storia della città, una nuova vita. E improvvisamente i sentieri di ocra rossa di Uluru, come gli aborigeni chiamano la loro montagna sacra nel cuore del deserto australiano (molti di noi la conoscono come Ayers Rock), sentieri che cambiano di intensità con la luce del giorno e che di notte, in un’installazione, Field of light, dell’artista Bruce Munro (vedi riquadro a seguire) portano migliaia di persone a camminare all’interno di un vento cromatico creato dal variare per intensità e colore da 50 mila led. Nel controluce siamo tutti in cammino in una dimensione senza tempo.

E alle fotografie della memoria si aggiunge il profilo lineare dell’Adriatico, i segni appena percepibili nei giorni di grande limpidità dell’aria, dei pozzi petroliferi destinati alla dismissione… ed è subito Fellini, il Rex e le barche dei pescatori che portano occhi desiderosi di favola possibile verso quelle luci viaggianti. Ognuno potrà partire, compreso il cieco, per il suo lungo, lontano viaggio immaginario. Una sfida quella di Christo, un suggerimento per progettare, dopo la fine dell’evento, una nuova visione del lago.
Saliamo sul pullman per Sulzano. Un signore al telefono: “Ti mando le foto che ho fatto questa mattina alla stazione di Brescia. ALLUCINANTE”.

Si parte

La Franciacorta è bellissima, un giardino curato con l’attenzione di una donna. Paesaggio disegnato a squadro da righe di filari di viti, specchi d’acqua che segnano un territorio fertile. Il paesaggio ha lo stesso segno dell’architettura della metropolitana di questa città.
Arrivo. Come un liquido che non si può contenere, rivoli di persone scorrono verso l’acqua del lago, panini, ombrelli, gelati e cappelli. Percorso guidato da transenne come all’imbarco per l’isola cinese di Macao.
Deviazione improvvisa. “Con la barca, a dieci euro, vi portiamo a Montisola. Per la passerella quaranta minuti di attesa al sole”.

christo-jeanne-claude

Christo e Jeanne-Claude è il progetto artistico comune di Christo Vladimirov Yavachev ( Gabrovo, Bulgaria, 1935) e Jeanne-Claude Denat de Guillebon (Casablanca, 1935 – New York, 2009), fra i maggiori rappresentanti della Land Art e realizzatori di opere su grande scala.
The Floating Piers è un’opera che i coniugi sognavano dal 1970 ed era già stata respinta in Argentina, Germania e altre nazioni perché ritenuta troppo difficile da realizzare. Tanti “no” poi, nella primavera del 2014, Christo esplora diversi laghi del nord Italia, vede questo specchio d’acqua dell’Iseo a 100 km a est di Milano e 200 km a ovest di Venezia, sente che il «luogo è adatto e di grande ispirazione». E inizia il miracolo che ha attratto più di un milione di curiosi.

La riga arancione attraversa l’acqua

Sbarco sull’isola. Folla seduta sui bordi del percorso, nei bar, all’ombra di qualsiasi cosa faccia ombra. Chiacchiere, richiami, ambulanza, storia di una cagnolina di undici anni incinta presa al canile. E’ il racconto di una signora all’ombra di un gelsomino. Aspettiamo che il caldo ci dia un po’ di tregua e che la gente, scoraggiata dalle difficoltà, abbandoni l’impresa. Cosa cerca tutta questa gente in pellegrinaggio come a Medjugorje? Semplicemente per raccontare di esserci stata? O forse no.
È un tempo di grande disorientamento. Non conosciamo i segnali che possono indicarci la direzione. Camminare su un’indicazione cromatica, su quel manto arancione cangiante e fluttuante potrà riconsegnarmi alla mia quotidianità un po’ cambiata come mi cambia sempre un viaggio.

Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi hanno cercato di sminuire il valore di questo grande evento curato da Germano Celant. È un punto di vista culturale diverso, non è lo spettatore che deve sentire la fatica o l’esclusione dalla fruizione, ma è l’artista che si mette al servizio dello spettatore. Tanta gente, si è detto, troppa. Gente curiosa, età anagrafica varia, dalla mamma con il passeggino alla giovane coppia, all’anziano spinto sulla carrozzella… gente che vive l’evento come esperienza individuale, collettiva o spinti da una comunicazione ben fatta. Non c’è caos o disordine. Tutti camminano lungo i propri sentieri, mentali o turistici. Sgarbi l’ha definito “un viaggio verso il nulla”: è un’offesa per tutta quella gente che è andata o continua ad andare. Deve esserci una ragione a lui sconosciuta, ma questo non significa che non ci sia una ragione. Camminare in tanti su questa indicazione arancione, allontanarsi dai passi consueti, camminare sulle linee dello sguardo, sentire la distanza come vicinanza, unire punti, luoghi, persone e pensieri, cambiare il proprio passo e il proprio stato dall’immobilità della terraferma alla ricerca minima di un equilibrio governato dalla forza liquida del lago. Una dimensione quasi onirica.

L’opera si dissolverà dopo il 3 luglio, smontata pezzo dopo pezzo, per ritornare blocchi, tessuto, cavi; assemblati, trasportati e poi dispersi.
Il segno arancione di Christo dovrà rimanere sui documenti pubblici dei comuni di Sulzano e Montisola, nei numeri civici, negli arredi urbani, nelle insegne stradali. La contaminazione deve generare nuovi profili per rafforzarne, innovandola, l’identità.
Il segno arancione di Christo ha cambiato il lago, da luogo capace di trascinare nel profondo buio dell’acqua l’immaginario del visitatore creando sensazioni anche di disagio emotivo a luogo carico di un’energia positiva, forte, capace di legare gli elementi e di portare in superficie il desiderio di vivere quasi senza gravità.

bussola-punto-fine-articolo

passerella-christo-lago-iseo
passerella-christo-lago-iseo
floating-pipers
floating-pipers
floating-pipers
passerella-christo-lago-iseo
floating-pipers
* Manuela Cuoghi ha insegnato per 35 anni educazione artistica nelle scuole italiane. Alla passione per l’arte associa quella dei viaggi.

A PROPOSITO/ Diario australiano (3 tappa*)

Uluru, il monolite illuminato d’arte

Nel cuore del deserto australiano cinquantamila luci create dall’inglese Bruce Munro rendono ancora più magico un luogo sacro agli aborigeni

di Manuela Cuoghi e Salvatore Giannella*

Un altro luogo reso ancor più magico dalla creatività di un artista è quello che abbiamo visitato due mesi fa nel Red Centre, il cuore rosso dell’Australia: una vasta area semi desertica che parte da Alice Spring e si estende fino al Top End, coprendo lo stato del Northern Territory. Un luogo mistico, che racchiude alcune zone considerate sacre dalle popolazioni aborigene. Il monolite di Uluru (che molti di noi conoscono con il nome di Ayers Rock) è il simbolo di questa terra lontanissima dai centri abitati: Darwin, la capitale del Northern Territory, 136 mila abitanti, è a ben 1.960 chilometri. Quell’imponente massiccio roccioso domina una vasta area di bush, la prateria australiana, nel quale è prudente avanzare lungo i sentieri segnati, dopo essersi coperti il viso con una retina anti-mosche. Il colore rosso della roccia, che cambia con il variare della luce del giorno, lo rende distinguibile a chilometri di distanza.

bruce-munro

L’artista Bruce Munro (Londra, 1959).

Di questo paesaggio e parco, che dagli anni 80 è gestito dal governo australiano e dagli aborigeni che invitano a rispettare la sacralità dei luoghi, si è innamorato nel 1992 l’artista britannico Bruce Munro, arrivato qui con sua moglie Serena. Qui è nata l’idea della sua più celebre installazione, Field of Light: 50 mila lampadine colorate che spuntano dalla terra, su una dimensione grande sette campi di calcio, a dimostrazione che la vita può nascere anche nel deserto.

Dopo 24 anni in giro per il mondo, presentati in varie forme e dimensioni nei musei più prestigiosi, dal londinese Victoria & Albert al Guggenheim di New York, questi germogli di luce (380 chilometri di fibre ottiche, l’equivalente della distanza da Milano a Urbino) sono tornati a casa dal 1° aprile 2016 al 31 marzo 2017, ai piedi del monolite di Uluru. Al tramonto, le sfumature rosse della roccia contrastano con la distesa di lampadine colorate, alimentate a energia solare e riciclabili, pronte per essere usate nuovamente in un’altra parte del mondo. Arrivati con il pullman, abbiamo camminato nel buio denso della notte, tra gli steli luminosi che ondeggiavano mossi da un vento di cromie mutanti, in diretto antagonismo con un cielo lattiginoso di stelle e, come aborigeni, alla ricerca di antichi e nuovi sentieri. Più che le parole, valgono le immagini, firmate da Mark Pickthall, per le quali ringraziamo l’artista (suo sito web: www.brucemunro.co.uk) e una delle sue 13 persone dello staff, Rebecca Christgau.

bussola-punto-fine-articolo

field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock
field-of-light-ayers-rock