Piero Angela, che fortuna averti incontrato. (Quando mi parlò della sua idea di politica, consegnata a Mattarella, e di Leonardo Da Vinci)

Scienze & Ambiente

testi di Piero Angela e Salvatore Giannella,
ritratto digitale di Giacomo Giannella / Streamcolors,
foto di Giampiero Indelli

Piero Angela, che fortuna averti incontrato. (Quando mi parlò della sua idea di politica, consegnata a Mattarella, e di Leonardo Da Vinci)

Scienze & Ambiente

testi di Piero Angela e Salvatore Giannella, ritratto digitale di Giacomo Giannella / Streamcolors, foto di Giampiero Indelli

Confuso tra uomini e donne, ragazzi e anziani, anch’io ho voluto dare l’ultimo saluto all’amico e maestro Piero Angela, martedì 16 agosto 2022 in Campidoglio, e dare una stretta di mano solidale ad Alberto, il figlio che ne ha raccolto con efficace competenza l’eredità culturale. Per me è stata una fortuna aver incontrato quel gigante della divulgazione, agli inizi del mio viaggio professionale (in corso Sempione, alla Rai, per il ciclo di Film Dossier), di averlo avuto collaboratore per Airone e aver potuto discutere con lui periodicamente di scienza e tecnologia, di arte e di futuro dell’Italia.
 
L’ultima volta risale a un mese fa, in coincidenza con l’avvio di un progetto, da me curato, con i dottorandi in materie scientifiche dell’Università di Bologna in collaborazione con l’Ugis (Unione giornalisti scientifici italiani, presidente Giovanni Caprara). Avevamo discusso sull’importanza della divulgazione scientifica e della formazione scolastica e universitaria (“i genitori consegnano alla scuola quel che di più prezioso hanno, il cervello del loro figlio”), ma a un certo punto ci siamo trovati a parlare di politica. Una riflessione inedita innescata dai suoi due incontri al Quirinale con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel 2017 e (più recentemente, l’11 maggio del 2021) per ricevere la più alta onorificenza della Repubblica italiana. “A lui ho consegnato le prime quindici pagine di un libro che ho scritto per la Mondadori nel 2011 ma che considero ancora attuale: A cosa serve la politica?”, mi ha precisato. “Ti consiglio di rileggere quelle pagine di undici anni fa”.
 
Causa trasloco della biblioteca, ho faticato a rintracciare una copia di quel libro meritevole di ristampa. Ma ora l’ho sotto gli occhi e mi piace, alla vigilia di una confusa contesa elettorale, condividere quei pensieri di Piero con i lettori del mio blog. Conscio di centrare quell’obiettivo che lui si è sempre posto nel corso del lungo viaggio della sua vita: informare e arricchire di conoscenze le persone.
 
Completo il quadro con l’intervista che mi rilasciò il 23 agosto 2013 per Sette, lo storico magazine del Corriere della Sera, quando mi indicò il suo spirito guida evocato in Campidoglio dal figlio Alberto: Leonardo da Vinci.

Quirinale, 11 maggio 2021: il capo dello Stato Sergio Mattarella consegna a Piero Angela l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di Merito della Repubblica italiana.

“Oggi c’è un forte risentimento contro la classe politica per i suoi troppi privilegi, per il malcostume diffuso, per i costi, l’arroganza, l’inefficienza, la corruzione, ecc. Ma in realtà esiste una questione molto più profonda che questo libro intende affrontare, e che riguarda il ruolo stesso della politica nella società. Infatti c’è troppo attesa che sia la politica a risolvere i problemi, ad affrontare le sfide del nostro tempo, e che quindi la soluzione sia il prevalere di quel partito o di quella maggioranza.
 
Il fatto è che la politica, pur essendo soltanto uno degli elementi del sistema, è diventata la protagonista assoluta della scena, oscurando quasi tutto il resto.
 
C’è una distorsione visiva, alla quale contribuiscono in buona parte la cultura e l’informazione, che lascia in ombra (e spesso al buio) i veri motori del cambiamento e dello sviluppo. Certo, la politica potrebbe fare molto, ma in Italia è diventata un sistema a circuito chiuso, dove rimangono imbrigliati anche i suoi uomini migliori.
 
Con questo libro desidero spostare i riflettori, e mostrare quei motori potentissimi che nella storia sono stati i veri protagonisti dello sviluppo, e che lo diventeranno ancora di più nel mondo complesso generato dall’ecosistema artificiale in cui viviamo.
 
Il nostro paese è pieno, in tutti i campi, di talenti e di energie represse o non valorizzate, che attendono di essere liberate e di trovare il contesto giusto per potersi esprimere. Nell’interesse generale.
 
È quei che la politica può svolgere il suo vero ruolo. Ma quale politica?

La macchina della ricchezza: due esempi

Vorrei cominciare con un esempio, che penso spieghi bene il senso di ciò che seguirà. Prendiamo due paesi molto distanti dal punto di vista economico: Svezia e Turchia. Gli svedesi hanno un reddito pro capite di 28.000 euro. I turchi di soli 9.000 euro. Un vero abisso.
 
Immaginiamo che un politico turco si presenti alle elezioni e dica: “Cari concittadini, se mi eleggerete vi farò avere salari svedesi e anche pensioni, assistenza, asili nido, ospedali di tipo svedese…”. Potrebbe mantenere le sue promesse? Ovviamente no. Perché?
 
Rispondere a questa domanda significa capire come funziona la ‘macchina della ricchezza’. E anche la ‘macchina della povertà’. Ed è proprio questo lo scopo del libro.
 
È infatti radicata l’idea che sia la politica a determinare il benessere di un paese. E che, cambiando maggioranza, o cambiando leader, si possano ottenere cose che in realtà non dipendono dalla politica. E che non dipendono neppure dalla capacità di lottare per ottenerle. Infatti, anche se i cittadini turchi riempissero le piazze di cortei, e scioperassero a oltranza, non riuscirebbero comunque ad avere salari svedesi, e neppure pensioni, assistenza, asili nido, ospedali di tipo svedese. Perché?
 
Perché esistono dei meccanismi che portano una società a essere sviluppata o arretrata, indipendentemente dalla ‘politica’, così come è intesa comunemente.
 
Il politico, infatti, è il pilota, ma senza macchina non può andare da nessuna parte. Soprattutto se, come spesso avviene, in politica si dibatte continuamente sui ricambi di maggioranza ma non su come migliorare veramente le prestazioni del paese.
 
Ma come migliorare queste prestazioni?
 
Vorrei ricorrere a un altro esempio che penso possa chiarire abbastanza bene il concetto. Immaginiamo che l’Olanda subisca una grande catastrofe cioè che le dighe vengano travolte da gigantesche onde provocate da un terremoto sottomarino, e che le terre basse vengano invase dal mare.
 
[Qui Piero fa un esempio a lui caro sulle inferiorità educative: ne parlammo sul mensile Genius da me diretto nel 1984 e che ripresi sul blog a questo link: “Dall’Olanda una diga e una lezione per la Venezia del Mose e l’Italia di ieri e di oggi”].
 
Supponiamo, sempre per assurdo, che due milioni di olandesi, rimasti senza terra e senza casa, vengano portati in qualunque parte disabitata del pianeta. E lì lasciati. Tornando dopo 25 anni, cosa troveremmo? I loro scheletri? Oppure università e campi da tennis?
 
Credo che propenderemmo per la seconda ipotesi. Perché? Perché essi hanno portato con sé la capacità di riprodurre quella ‘macchina della ricchezza’ andata persa nella catastrofe.
 
In fondo è proprio quello che è successo alla Germania, uscita completamente distrutta dalla guerra nel ’45, e che 25 anni dopo, nel ’70, era tornata a essere una potenza economica.
 
È una macchina invisibile, racchiusa nel cervello degli individui, e che ‘proietta’ nella società il suo saper fare. A pensarci bene, infatti, tutto ciò che vediamo intorno a noi è la proiezione della nostra mente: è la proiezione della nostra educazione, cultura, creatività, capacità imprenditoriale, conoscenza, organizzazione e dei nostri valori (in grado a loro volta di creare regole e di farle rispettare).
 
È per questo che certe cose non si possono trasferire di colpo da un paese all’altro, da un ‘ecosistema’ a un altro. Si può trasferire l’hardware ma non il software. Cioè i macchinari ma non i saperi. Ed è il software che fa la differenza.
 
Se fosse così facile trasferire, con la politica, dei modelli da un paese all’altro, non ci sarebbero problemi: le tecnologie infatti sono disponibili per tutti, nessuno deve inventare la lampadina o il computer. E così pure sono disponibili i modelli di organizzazione amministrativa, di gestione imprenditoriale, ecc.: basterebbe adottare dei sistemi già esistenti per fare un balzo in avanti e azzerare i divari.
 
Invece non è così. Altrimenti non esisterebbero le differenze (in certi casi immense) tra un paese e l’altro.
 
Parlavamo prima della Turchia. La Turchia è un paese oggi in crescita ed è un paese probabilmente candidato a diventare un protagonista politico sulla scena del Mediterraneo. Ma è ancora nella fascia bassa del reddito. Ci sono paesi che hanno addirittura un reddito pro capite di soli 200 euro l’anno (meno di 60 centesimi al giorno), come il Burundi. Anche qui basterebbe allora cambiare governo per avere salari svedesi?

Piero Angela in una rielaborazione artistica di Giacomo Giannella / Streamcolors.

Due pilastri

Al di là dei paradossi, questo non significa che la politica non sia importante: anzi, è importantissima, come vedremo. Ma soltanto se riesce a stimolare e a far crescere in modo prioritario quei software (valori, educazione, regole, conoscenza, efficienza, competitività, ricerca, produttività, competenze, creatività, imprenditorialità, organizzazione, merito, ecc.) che sono i veri produttori di ricchezza. E anche i veri attrattori di investimenti.
 
Ma è così che funziona la politica in Italia? Quello che colpisce non è tanto il fatto che la politica si occupi poco di queste cose, ma che gli stessi cittadini non si battano per ottenerle. Le battaglie prioritarie sono per l’occupazione, i salari, le pensioni, la casa, l’assistenza sanitaria, ecc. Cose sacrosante. Ma è difficile ottenere i frutti se l’albero non cresce.
 
In altre parole, lo sviluppo di ogni paese è legato al doppio filo della sua capacità di produrre ricchezza (non solo materiale). E quindi alla sua capacità di sviluppare quei fattori ‘invisibili’ che ne sono alla base.
 
Ogni società infatti si basa sostanzialmente su due pilastri: produrre ricchezza e distribuire ricchezza. Nella distribuzione della ricchezza la politica, ovviamente, ha un ruolo primario, in quanto è lei a decidere sulle priorità, a valutare le esigenze, a far fronte agli interessi contrapposti per quanto riguarda la ripartizione del ‘montepremi’. E sono proprio queste scelte (in particolare quelle riguardanti le politiche sociali, economiche, fiscali, salariali, pensionistiche, ecc.) a creare poi conflitti, dibattiti, opposizioni, polemiche.
 
Ma il ‘montepremi’ da dove arriva? Arriva da tutte quelle attività che permettono, nei modi più diversi, di produrre ricchezza. Ed è questo l’altro pilastro.
 
La produzione di ricchezza è fatta da tutti coloro che, lavorando ai vari livelli della società, danno il loro contributo per produrre beni di ogni tipo: nell’agricoltura, nell’industria, nell’edilizia, nelle attività artigianali., ecc. Le imprese sono la struttura portante essenziale di questo mondo produttivo, creando posti di lavoro e stipendi, gettito fiscale: e sono anch’esse il risultato di un lungo processo evolutivo, reso possibile dalla tecnologia, dall’energia, dall’educazione e da una serie di altri fattori che vedremo meglio in seguito.
 
In Italia il sistema delle imprese, vivendo nella competizione del mercato, è riuscito a sopravvivere alle inefficienze e ai ritardi della politica e della pubblica amministrazione e a tutta una serie di carenze infrastrutturali.
 
Infatti il sistema-paese che c’è dietro alla macchina produttiva non è quello di una moderna società industriale e si sente fortemente qui la mancanza di una cultura politica moderna che sappia non solo distribuire il montepremi, ma anche aiutare a crearlo. Non soltanto nel settore produttivo vero e proprio, ma in tutte quelle attività che rendono possibile la creazione di ricchezza: istruzione, ricerca, valori, pubblica amministrazione, ecc.

Crescita e sviluppo

Il fatto è che la distribuzione della ricchezza è qualcosa che in teoria si può fare in 5 minuti, decidendo di investire sulla sanità piuttosto che sulla casa, sulla scuola piuttosto che sulle pensioni, ecc. Non solo, ma spendendo molto più di quello che c’è in cassa, accumulando così un enorme debito pubblico, per pagare spese senza copertura finanziaria. Senza bilanciare queste uscite né con tagli agli sprechi, né con una maggiore crescita economica, ma facendo vivere il paese al di sopra delle sue possibilità e riempiendolo di debiti (cosa che nessuna famiglia si sognerebbe di fare in casa propria se non con la prospettiva di finire in tribunale). Avremo occasione di tornare su questa follia del debito pubblico.
 
Creare ricchezza, invece, è qualcosa di molto più difficile, che non si può ottenere semplicemente girando una manopola, come si fa con l’aria condizionata o il volume della radio…
 
Certo, per favorire la crescita ci possono essere incentivi per le imprese, detassazioni, finanziamenti, liberalizzazioni, privatizzazioni, l’apertura di nuovi cantieri, un nuovo piano di opere pubbliche (con relativi appalti…). Ma la ‘crescita’ è cosa diversa dallo ‘sviluppo’: il vero sviluppo di un sistema-paese richiede che funzionino appieno quei motori interni che sono tipici delle società avanzate, e che fanno la vera differenza tra le nazioni. Sono quelle qualità nascoste che debbono essere coltivate, protette e continuamente fertilizzate, perché rappresentano i veri propulsori di una società moderna.
 
È incredibile invece come una società che vuole essere moderna e competitiva, cioè basata sulla conoscenza (proprio per riuscire a creare ricchezza per i suoi cittadini) abbia in realtà una ricerca umiliata, un’educazione che nei test internazionali risulta nelle posizioni di coda, un merito negato, un’assenza disperante di cultura scientifica, dei valori calpestati, una corruzione diffusa, un’assenza di un piano energetico degno di questo nome, delle università considerate tra le ultime nelle classifiche internazionali, pochissimo sostegno all’innovazione creativa e all’eccellenza, una cultura e un’informazione che non parlano quasi mai del ruolo profondo e ‘filosofico’ della tecnologia, ma solo delle sue meraviglie o dei suoi guasti (che sono spesso proprio il frutto di un’incapacità di capirlo e gestirlo).
 
La produzione di ricchezza, insomma, non è una margherita che spunta da sola (anche la margherita, del resto, ha dietro di sé il suo piccolo ecosistema). Una società industriale è il punto di arrivo di un lungo processo, che ha avuto bisogno di una complessa concatenazione di eventi per emergere, e poi svilupparsi e mantenersi in vita.
 
È utile, quindi, in proposito, ricordare da dove veniamo. Guardare quello che eravamo ieri è molto utile per capire quali sono i meccanismi che hanno permesso il grande cambiamento, e che ancora oggi fanno girare le nostre società, spesso in modo invisibile.

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A PROPOSITO

“Per superare la grave crisi italiana, ci vorrebbe la creatività di Leonardo”

“Per superare la grave crisi italiana,

ci vorrebbe la creatività di Leonardo”

Roma 1987: Piero e Alberto Angela fotografati per Airone, rivista che negli anni Ottanta e Novanta raccolse molti interventi di padre e figlio. (C) Giampiero Indelli

“Ho avuto la sensazione di avere Leonardo da Vinci in casa, che dava la risposta giusta sempre con con una capacità di sintesi e di analisi in modo pacato”: commosso, Alberto Angela ha regalato a chi, come me, è arrivato in Campidoglio nel giorno dell’estremo saluto, un particolare inedito della quotidianità vissuta con l’enciclopedico padre. “Del grande genio papà Piero amava ripetere un aforisma: ‘Siccome una giornata ben spesa dà lieto dormire, così una vita ben usata dà lieto morire’. Il riferimento al genio di Vinci è risultato inedito per molti cronisti e presenti, ma non per chi vi scrive: incontrai Piero per Sette, lo storico magazine del Corriere della Sera, il 23 agosto del 2013 per chiedergli chi fosse il suo eroe, il suo spirito guida. Sentite le sue risposte. (s. gian.)

Piero, da dove andremo a ricominciare?

“Dalla riscoperta di un genio multiforme: Leonardo da Vinci. Perché lui era un uomo di cultura scientifica, di cui oggi abbiamo bisogno, e al tempo stesso era un artista, un umanista. Era ingegnere e pittore, scultore e architetto, ma era anche un innovatore. Quando salì a Milano, da Ludovico il Moro, aveva anche migliorato macchine tessili…”

Insomma, era un vulcano di creatività.

“È la risorsa chiave di cui noi oggi abbiamo bisogno per superare la crisi. Non abbiamo la sufficiente spinta creativa, specie in politica. Un brutto affare, in un mondo dominato da scienza e tecnologia. Non percepiamo appieno la dimensione filosofica della scienza e quella economica della tecnologia. Oggi la scienza risponde ai grandi interrogativi sulla vita e la tecnologia ha rivoluzionato l’economia globale. Nell’Ottocento, all’epoca di mio padre, i contadini in Italia erano i due terzi della popolazione, il 75%, oggi sono appena il 4%. Gli analfabeti erano il 70%, oggi c’è la scuola di massa”.

Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 – Amboise Francia, 1519), Autoritratto (1513 circa), conservato nella Biblioteca Reale a Torino.

Mi interessa che tu metta a fuoco il ruolo dei politici.

“Questo cambiamento epocale richiede la buona politica. Ma, attenzione, la politica non crea ricchezza. Una convinzione diffusa è che la politica sia lì a risolvere i problemi dell’economia. Certo, la politica può incentivare, stimolare, creare le condizioni, ma la ricchezza non è creata dalla politica, lei distribuisce la ricchezza prodotta dai protagonisti del mondo del lavoro: il mondo delle imprese e dell’innovazione, della creatività e della ricerca… tutti termini che, con l’educazione, i valori, il merito, l’attrattività del Paese, non trovi nel dibattito quotidiano che è chiuso dentro l’uovo della politica: come formare le maggioranze, o riformare la legge elettorale, o minacciare nuove elezioni, o discutere sui problemi giudiziari dell’ex presidente del Consiglio. È il segno di una mancanza di una cultura scientifica e tecnologica che consenta di affrontare i problemi del Paese per renderlo finalmente moderno. In un’arena politica come l’attuale, Leonardo sarebbe considerato un intruso. Invece è quello che potrebbe indicare la strada giusta”.

Anche ai singoli. A un convegno di geriatria a Forlì c’è chi ha tirato fuori il telegrafico decalogo di Leonardo per rimanere in salute. Guardati dall’ira. Tien la mente lieta. Stai coperto bene di notte. Se fai esercizio sia di picciol moto. Fuggi lussuria e attieniti alla dieta. Il vino non fuor di pasto. Mastica bene. Non aspettare né indugiar al cesso…

“Leonardo sosteneva che l’uomo deve assumersi la responsabilità della propria salute. Anche in questo è guida per l’uomo moderno”.

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