Si scrive Vertical Farming, si legge agricoltura sostenibile: il futuro dell’agroalimentare tra crisi idrica e possibili soluzioni

Scienze & Ambiente

testo di Mario Sforzini¹ (direttore marketing di Zero
e direttore generale di Orto Verticale)

Si scrive Vertical Farming, si legge agricoltura sostenibile: il futuro dell’agroalimentare tra crisi idrica e possibili soluzioni

Scienze & Ambiente

testo di Mario Sforzini¹ (direttore marketing di Zero e direttore generale di Orto Verticale)

La crisi idrica ha provocato miliardi di danni ai raccolti agricoli di tutt’Italia, facendo dichiarare lo stato d’emergenza in molte regioni. La sola siccità del Po colpisce l’attività di 200 mila aziende agricole e mette a rischio un terzo della produzione agricola italiana e il benessere di milioni di famiglie. Alla ricerca di possibili soluzioni e di aziende virtuose è dedicata la gran parte del libro “Acqua ultima chiamata” (a cura di Salvatore Giannella, Antiga Edizioni), frutto del seminario organizzato a Treviso il 29 ottobre 2021 dall’Associazione Premio Letterario Gambrinus Mazzotti (più info: premiomazzotti.it). Tra i numerosi e interessanti contributi presentati abbiamo scelto (per la completezza storica, i dati economici e lo scenario prossimo venturo) quello di Mario Sforzini, direttore marketing di Zero, l’azienda di Pordenone che si occupa di sviluppare e produrre in Italia e all’estero vertical farm basate sul sistema aeroponico, il sistema di coltivazione che non prevede l’uso di substrato: le radici restano libere nell’aria e vengono nebulizzate di acqua e nutrienti, in modo da produrre verdure e ortaggi con un risparmio d’acqua fino al 95 per cento. Un argomento di importanza cruciale, tanto che proprio sul vertical farming, a New York il 23 giugno scorso, si è tenuto il più grande incontro mondiale sull’argomento. (s.g.)
Vertical Farming - Laboratorio agroalimentare, ricerca
La crisi idrica ha provocato miliardi di danni ai raccolti agricoli di tutt’Italia, facendo dichiarare lo stato d’emergenza in molte regioni. La sola siccità del Po colpisce l’attività di 200 mila aziende agricole e mette a rischio un terzo della produzione agricola italiana e il benessere di milioni di famiglie. Alla ricerca di possibili soluzioni e di aziende virtuose è dedicata la gran parte del libro “Acqua ultima chiamata” (a cura di Salvatore Giannella, Antiga Edizioni), frutto del seminario organizzato a Treviso il 29 ottobre 2021 dall’Associazione Premio Letterario Gambrinus Mazzotti (più info: premiomazzotti.it). Tra i numerosi e interessanti contributi presentati abbiamo scelto (per la completezza storica, i dati economici e lo scenario prossimo venturo) quello di Mario Sforzini, direttore marketing di Zero, l’azienda di Pordenone che si occupa di sviluppare e produrre in Italia e all’estero vertical farm basate sul sistema aeroponico, il sistema di coltivazione che non prevede l’uso di substrato: le radici restano libere nell’aria e vengono nebulizzate di acqua e nutrienti, in modo da produrre verdure e ortaggi con un risparmio d’acqua fino al 95 per cento. Un argomento di importanza cruciale, tanto che proprio sul vertical farming, a New York il 23 giugno scorso, si è tenuto il più grande incontro mondiale sull’argomento. (s.g.)
Vertical Farming - Laboratorio agroalimentare, ricerca
Con l’espressione Vertical Farming si intendono le pratiche colturali che consentono le coltivazioni fuori suolo di specie vegetali su più livelli sovrapposti. È uno dei tanti interventi utili allo scopo di evitare un utilizzo eccessivo dell’acqua e di consumare terreno. Questo è possibile grazie all’uso di tecniche di coltivazione fuori suolo a ciclo chiuso in ambiente controllato, che permettono una produzione agricola intensiva sostenibile, con un risparmio idrico del 95% rispetto alla coltivazione in campo aperto.

Contadini tecnologici

Parto con la presentazione del contesto in cui ci troviamo. Noi ci definiamo dei contadini tecnologici e il background iniziale di questo progetto bene o male è già stato discusso nella prima parte del seminario odierno. Riassumendo con qualche numero, abbiamo perso negli ultimi 40 anni il 33% di terreni coltivabili; il 70% delle risorse idriche a disposizione a livello mondiale viene utilizzato per le coltivazioni intensive; un terzo degli alimenti che vengono prodotti si perde nel trasporto e nella logistica a causa del deperimento degli stessi. Infine, statistiche ci dicono che nei prossimi anni i 6 miliardi o più di abitanti sulla Terra andranno a raggrupparsi in distretti urbani a grandissima densità. Le problematiche di questi ultimi 40-50 anni riguardano anche un aumento dell’utilizzo dei pesticidi nell’agricoltura tradizionale. Non mi soffermo sui cambiamenti climatici, che chiaramente sono ben conosciuti e riconosciuti. Abbiamo poi un altro tema interessante, che è quello della rigenerazione urbana.

Il cammino di un’idea

Faccio un passo indietro con qualche cenno storico: sebbene l’esplosione delle ricerche sulle Vertical Farm si sia avuta dal 2008 in poi, con la pubblicazione del libro “The Vertical Farm: Feeding the world in the 21st Century” del professor Dickson Despommier, le prime concezioni di fattorie verticali sono state immaginate sin dagli inizi del ‘900, con i celebri cartoon di A. B. Walker pubblicati su Life Magazine nel 1909. Despommier è stato uno dei primi a teorizzare questo tipo di approccio agricolo diverso, seguito poi dal biologo canadese John Todd, fautore della “fattoria integrata”, che nel suo libro “Progettare la natura” propose l’idea di un edificio ecosistemico creato artificialmente. Le prime Vertical Farm, tuttavia, sono state costruite agli inizi del 2000 in Giappone e nel Sud-Est asiatico. È però dal 2010 che le Vertical Farm commerciali hanno iniziato a diffondersi in tutto il mondo a un ritmo sempre crescente tanto che Global Market Insights prevede per il 2026 un mercato da 22 miliardi di dollari. Fondamentalmente Despommier aveva iniziato a ragionare sul fatto che si potesse rendere predicibile qualcosa che fino ad allora non lo era. Le serre, anche le più tecnologiche, possono avere dei limiti che, diversamente dalle Vertical Farm, impediscono di predire al 100% quello che si andrà a produrre. Quello delle Vertical Farm è un trend a livello internazionale e lo si vede anche dai numeri: nel 2019 sono stati investiti nel settore 2 miliardi e 600 mila euro. Le previsioni per il 2027 parlano di 14 miliardi, ma alcuni analisti parlano anche di cifre ben più alte. Effettivamente, quindi, anche grandi aziende stanno scommettendo in questo settore economico perché ritenuto molto interessante.

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Vertical Farming - Laboratorio agroalimentare, ricerca

Nel segno della sostenibilità

In seguito a una puntuale analisi svolta nel 2021, abbiamo realizzato che di aziende che lavorano nel settore, dalle forniture tecnologiche alla produzione indoor, iniziano a essercene tante. Esistono molti player a livello internazionale, fondamentalmente per tre buone ragioni: il raccolto, la sostenibilità ambientale e il business. Con le Vertical Farm abbiamo un raccolto di qualità eccellente, che non richiede pesticidi, viene coltivato in ambiente chiuso e protetto e il prodotto ha la possibilità di essere tracciato in modo completo partendo dal seme fino ad arrivare alla confezione dell’insalata sullo scaffale della distribuzione, tracciando tutta la vita del nostro semino fino a diventare prodotto finito. Una seconda ragione è sicuramente quella che interessa di più oggi visto l’argomento del seminario, ovvero la sostenibilità ambientale.
 
Tralasciando per un momento la questione acqua, che approfondirò a seguire, per mezzo del nostro modello cerchiamo di fare rigenerazione urbana, utilizzando e riadattando strutture e capannoni esistenti. Utilizziamo solo ed esclusivamente energia elettrica da fonti rinnovabili e avviciniamo la produzione all’area di consumo, costruendo gli impianti molto vicino ai centri urbani, accorciando così di molto la logistica e diminuendo i consumi del trasporto.
 
Il risparmio d’acqua, tuttavia, è l’argomento che oggi ci interessa di più. Il sistema risparmia più del 95% di acqua. Non è assolutamente qualcosa di miracoloso, si tratta semplicemente di applicare le tecnologie a un sistema chiuso che verifica e governa qualsiasi parametro all’interno. L’acqua consumata è solo ed esclusivamente l’acqua che viene utilizzata dalla pianta. Noi in particolare, nelle nostre Vertical Farm, coltiviamo con una tecnologia che si chiama aeroponica, con cui andiamo a nebulizzare i nutrienti direttamente sulla radice della pianta. Questo ci consente di recuperare tutta l’acqua che non viene assorbita dalla pianta, tenerla all’interno di questo circuito chiuso, purificarla, ri-bilanciarla con le sostanze nutrienti che servono alla crescita della pianta e rimetterla nel sistema. L’unico spreco che potremmo avere è quello dell’acqua che si diffonde nell’ambiente sotto forma di umidità, ma abbiamo un sistema che la recupera, per cui il consumo è veramente ridotto al minimo indispensabile per la sopravvivenza delle piante.
 
Tornando alle nostre tre buone ragioni, la terza, che rende questo genere di mercato molto interessante, è una questione legata al business, perché il Vertical Farming consente di produrre calendarizzando la produzione in base alle richieste, nonché di avere un prodotto con una vita molto maggiore. Di fatto ci si stacca completamente da quello che è il concetto di stagionalità e il prodotto che nasce è sempre costante, ha sempre lo stesso livello qualitativo e quindi non varia durante l’anno.

Facciamo i conti

Un aspetto che salta subito all’occhio è che questo Vertical Farming, viste le premesse, dovrebbe essere adottato in tutto il Pianeta. Questo non succede perché c’è un collo di bottiglia molto importante, la sostenibilità finanziaria. In uno studio del 2017, ma ancora molto attuale, si dichiara che il 73% delle aziende che hanno approcciato il mondo del Vertical Farming sta perdendo denaro, chi invece guadagna è perché vende i propri prodotti a delle cifre elevatissime, anche 40 dollari al chilo per della semplice insalata.
 
Con questo approccio, nella nostra piramide dei consumatori andremmo a servire solo l’apice di popolazione alto-spendente, ben al di sopra della fascia del biologico, che spende già molto di più rispetto a chi acquista un prodotto convenzionale. Il motivo è molto semplice: si tratta dei costi elevati della tecnologia, che si ripercuotono sul prodotto finito. Rabobank, una banca olandese attiva nell’agri food tech, ci dice che una serra tecnologica ha un costo di 200-500 euro per metro quadrato coltivato, mentre per una Vertical Farm partiamo dai 2.000 euro al metro quadrato coltivato: questo lo rende un business insostenibile, perché quello che andiamo a produrre è destinato a pochissimi. Questo tipo di Vertical Farm secondo noi non è assolutamente scalabile. In più, per contestualizzare l’argomento, bisogna anche dire che oggi nel mondo parliamo di 30 ettari di Vertical Farm totali: sono tanti o sono pochi? Sono un granello di sabbia nel deserto rispetto alla coltivazione in serra (500.000 ettari) o in campo aperto (oltre 50 milioni di ettari).

Vertical Farming - Laboratorio agroalimentare, ricerca
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Democratizziamo il prodotto

Noi cosa facciamo? Noi di Zero srl ormai da sette anni abbiamo approcciato il Vertical Farming con l’idea di renderlo un sistema scalabile e democratizzando il più possibile il prodotto. L’idea è quella dei mattoncini Lego: non siamo andati a costruire la più grande Vertical Farm, ma siamo andati a sviluppare un sistema per poter costruire capacità produttiva in Vertical Farming. Ci abbiamo messo anni di ricerca e sviluppo in cui abbiamo coinvolto figure molto diverse tra loro (agronomi, biologi, ingegneri e sviluppatori software) e fin da subito abbiamo pensato che la cosa più importante fosse mantenere al 100% la proprietà intellettuale di quello che stavamo facendo. Ci costruiamo “in casa” tutto quanto: non siamo degli assemblatori, a differenza di chi fa Vertical Farming oggi e che tende ad acquistare componenti di terze parti, perché questo porterebbe a quel famoso costo per metro quadrato coltivato che dal nostro punto di vista risultava insostenibile. Il nostro sistema prevede la costruzione di un impianto di coltivazione all’interno di un capannone in buone condizioni e sufficientemente isolato, e in poco più di un mese possiamo andare a installare capacità produttiva all’interno dello spazio.
 
Considerate che la realizzazione di una serra impiega quasi due anni ad entrare in attività tra progettazione, permessi, terreno ecc. Noi possiamo farlo perché nella compagine societaria abbiamo direttamente coinvolto alcuni produttori delle componentistiche che utilizziamo. Questo progetto, peraltro, è stato portato avanti in Italia perché poter mettere insieme tante competenze sotto lo stesso tetto in altri paesi del mondo non è assolutamente possibile. I nostri soci costruiscono componenti dell’impianto e questo ha consentito di avere un costo per metro quadrato coltivato molto più basso. Non entro nei dettagli, ma diciamo che siamo poco sopra al costo di una serra tecnologica, ma con una capacità produttiva che è quattro volte più alta di quella di una serra tecnologica, e quindi i conti in questo momento stanno assolutamente in piedi. Il controllo dell’impianto è delegato a un software: siamo partiti fin da subito a costruire non solo l’hardware, ma anche il software, perché ritenevamo assolutamente necessario avere un controllo raffinatissimo e puntuale di tutto quello che succede all’interno dell’ambiente di coltivazione. Effettivamente l’aeroponica è una coltivazione molto fragile, delicata, dove ogni parametro deve essere costantemente monitorato e il sistema deve rispondere prontamente a ogni esigenza. Questa infrastruttura tecnologica consente di distribuire quelle che noi chiamiamo “le ricette” (che sono non solo i nutrienti che diamo alla pianta, ma tutto quello che ci va attorno, quindi la gestione dell’aria, della luce, ecc…) agli impianti che gestiremo in giro per il mondo, e quindi avere un controllo remoto su tutto.

Tra i soci importanti, Barilla

La nostra promessa è quella di avere la più alta qualità, la più alta produttività, il minor costo di produzione e il minor impatto ambientale. Con questo sistema creiamo una rapida e illimitata capacità produttiva. Abbiamo lavorato per sei anni sottotraccia, quest’anno abbiamo finito il nostro primo impianto e ne stiamo costruendo altri in Italia e all’estero. La nostra tecnologia aveva però bisogno di essere validata dal punto di vista industriale e abbiamo avuto l’onore di avere tra i nostri soci due realtà molto importanti, Belaya Dacha, un gruppo russo tra i più grandi distributori di verdura nell’ex Unione Sovietica e Barilla, per progetti di produzione industriali. Siamo una technology company, non vendiamo la nostra tecnologia, ma lavoriamo con i nostri partner per installare capacità produttiva. Abbiamo creato una sorta di piattaforma tecnologica dove inserire vari progetti da verticalizzare; non c’è solo quello del food, ma abbiamo anche progetti nel mondo farmaceutico, nutraceutico, cosmetico, industriale e dei biomateriali.
 
Prossimamente apriremo un impianto con capacità importanti nella zona di Brescia, dove avremo coltivazione di insalate, erbe aromatiche, pomodori, fragole, ma anche un importante centro di ricerca e una stazione training perché dobbiamo fare formazione: la coltivazione fuori suolo è una pratica abbastanza innovativa e ha bisogno di un continuo aggiornamento e di ricerca e sviluppo. Questo per noi è quello che sarà il Future Farming District.

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* Mario Sforzini (foto) è nato a Brescia nel 1975. Dopo il diploma scientifico si è iscritto alla facoltà di Medicina, ambiente stimolante e a lungo frequentato a causa delle molteplici attività extrascolastiche che iniziava a gestire e organizzare. Per questo motivo entra in una società di Comunicazione di Brescia con la quale si associa in breve tempo. Costituisce poi altre società di Comunicazione e Marketing che diventano eccellenze riconosciute in Italia. Ha avuto altre esperienze imprenditoriali in settori molto diversi, come nel food, andando a creare un format di mini-caseifici con produzione di latticini a pasta filata dal vivo. Nel 2020, dopo aver seguito nei 5 anni precedenti la nascita di Zero e delle sue Vertical Farm, si appassiona così tanto da decidere di dedicarsi totalmente a questo progetto. Da gennaio 2022 diventa Direttore generale di Orto Verticale, l’operating company che utilizza in esclusiva la tecnologia di Zero per il mercato italiano. Ha un bimbo di 9 anni a cui per fortuna piacciono molto le verdure. Contatto: mario.sforzini@zerofarms.it
 * Mario Sforzini (foto) è nato a Brescia nel 1975. Dopo il diploma scientifico si è iscritto alla facoltà di Medicina, ambiente stimolante e a lungo frequentato a causa delle molteplici attività extrascolastiche che iniziava a gestire e organizzare. Per questo motivo entra in una società di Comunicazione di Brescia con la quale si associa in breve tempo. Costituisce poi altre società di Comunicazione e Marketing che diventano eccellenze riconosciute in Italia. Ha avuto altre esperienze imprenditoriali in settori molto diversi, come nel food, andando a creare un format di mini-caseifici con produzione di latticini a pasta filata dal vivo. Nel 2020, dopo aver seguito nei 5 anni precedenti la nascita di Zero e delle sue Vertical Farm, si appassiona così tanto da decidere di dedicarsi totalmente a questo progetto. Da gennaio 2022 diventa Direttore generale di Orto Verticale, l’operating company che utilizza in esclusiva la tecnologia di Zero per il mercato italiano. Ha un bimbo di 9 anni a cui per fortuna piacciono molto le verdure. Contatto: mario.sforzini@zerofarms.it

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