Theo Angelopoulos (Atene 27 aprile 1935 – Pireo 24 gennaio 2012), è stato un grande regista e sceneggiatore ma sarebbe meglio definirlo «poeta dell’immagine». Dopo essersi laureato ad Atene, nel 1962 ed essersi iscritto all’Idhec di Parigi, da cui sarà espulso per un diverbio con il suo insegnante di regia, continuerà i suoi studi presso il Musée de l’homme con il regista Jean Rouch, maestro del cinema-verità. Tornato in Grecia nel 1964 dirigerà fino al 1967 il quotidiano di sinistra Democratic Change che verrà chiuso con l’avvento al potere della dittatura dei colonnelli.
Nel 1968, all’età di 33 anni, comincia la sua attività di regista con il suo primo cortometraggio La trasmissione cui seguirà, nel 1970, il lungometraggio Ricostruzione di un delitto. La trilogia I giorni del ’36 (1972), sull’instaurazione della dittatura del generale Metaxàs, La recita (1975), che scandaglia gli anni della seconda guerra mondiale e della successiva guerra civile culminata nella vittoria della destra con l’ascesa del generale Papagos, e I cacciatori (1977), sulla situazione politica degli anni ’50-’60, che lo imporrà all’attenzione internazionale.
Nel 1979, durante le riprese di Alessandro il Grande, conosce Fivi Oikonomopoulou, direttrice di produzione, che da quel momento sarà la compagna della sua vita e da cui avrà tre figlie: Anna, Caterina, Elèni. Per questo film riceve il Leone d’oro al Festival di Venezia.
Seguono molti premi e riconoscimenti internazionali, da Viaggio a Citera (1984), premiato per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes a Paesaggio nella nebbia (1988) cui viene assegnato il Leone d’argento al Festival di Venezia, a Il passo sospeso della cicogna (1991) con Marcello Mastroianni; Lo sguardo di Ulisse (1995, iniziato con Gianmaria Volonté che morirà durante le riprese) con il Premio speciale al Festival di Cannes e infine la Palma d’oro a Cannes nel 1998 per L’eternità e un giorno.
La sorgente del fiume (2004) apre una sua nuova trilogia, di cui farà parte, come secondo film, La polvere del tempo. Le riprese del terzo film L’altro mare verranno tragicamente interrotte dalla sua morte: il regista viene investito e ucciso da una moto vicino al set del suo ultimo film.
Theo è l’eroe preferito di Paola Maria Minucci, che insegna letteratura neogreca all’Università Sapienza di Roma ed è traduttrice dal greco di molte sceneggiature di Angelopoulos. Si è occupata dell’opera di poeti greci come Kavafis, Elitis, Anaghnostakis, Dimulà, Ganàs, Meskos, Mastoraki, Sachturis, Pierìs con traduzioni e saggi critici. Ha tradotto romanzi di Vassilikòs, Tachtsìs e Valtinòs. Ha avuto importanti riconoscimenti in Grecia e in Italia. Le abbiamo chiesto di guidarci nei labirinti della mente di quello che Tonino Guerra, suo amico e collaboratore, ha definito “uno dei più grandi registi del mondo”.
Quando ha sentito parlare per la prima volta di Theo Angelopoulos? E quando l’ha incontrato?
“Ho conosciuto Angelopulos ai tempi de Il volo, il film con Marcello Mastroianni, di cui ho poi curato la traduzione. Eravamo nel 1986. A farci conoscere sono stati due amici comuni, Laura De Marchi e Norman Mozzato, che a quei tempi abitavano a piazza Fiammetta, dietro Piazza Navona e Norman ospitava sempre Angelopoulos nel suo studio in via di Monte Brianzo.
È lì che ci siamo incontrati la prima volta e il nostro incontro fu una vera e propria “iniziazione” al suo lavoro, alla figura dell’uomo e del regista. Rimasi con lui un lungo tempo indefinito in cui lui, camminando avanti e indietro nello studio, mi parlò senza mai fermarsi del suo ultimo film Il volo, dei suoi intenti, delle difficoltà incontrate durante le riprese, di Marcello Mastroianni, della sua bravura e serietà, della sua umiltà quasi da scolaro.
Deve essergli piaciuta la possibilità di parlare in greco a Roma con un’italiana che si occupava di poesia neogreca. Uscii da quell’incontro arricchita. E questo era proprio uno degli aspetti della personalità di Angelopoulos che contrastava con un’apparenza spesso un po’ burbera e scontrosa, in realtà solo severa e esigente: la sua generosità nel darsi e farsi conoscere, una disponibilità al dialogo con una sensibilità e una umanità notevoli a cui potevano far seguito giorni interi di silenzio e di muro. Devo dire che questi momenti di chiusura si erano fatti negli anni sempre più rari, mentre avevano preso sempre più spazio i momenti di dialogo e di intesa umana.
Dal 1986 fino alla sua tragica scomparsa il nostro rapporto non si era mai interrotto, anche se a volte passavano interi mesi senza mai sentirci. E questo credo gli accadesse con molti amici e collaboratori.
Con Il volo è cominciata anche la mia frequentazione professionale con l’opera di Angelopoulos. Di questo film avevo tradotto i dialoghi e ho lavorato in moviola accanto a Filippo Ottoni, assistendolo con la mia conoscenza del greco nel suo lavoro di adattamento e doppiaggio. Fu per me un’esperienza affascinante e scoprii un’altra frontiera linguistica e traduttiva, tradurre non più soltanto il significato e il ritmo, come in un testo poetico, ma tradurre una poesia che si fa voce, movimento di labbra e insieme immagine, suono, musica, durata, sguardo, espressione, movimento, gesto, colore.
Questa esperienza si è rinnovata quando non solo ho tradotto ma ho anche curato l’adattamento dei dialoghi di L’eternità e un giorno con Norman Mozzato e di nuovo nei film successivi. Tradurre le sceneggiature, i suoi dialoghi è sempre stata per me un’esperienza importante e affrontavo questo lavoro con lo stesso atteggiamento di quando traducevo un testo poetico”.
Quale Grecia, e quale Europa, abitavano nella sua mente?
“Quello che stupiva in lui era il suo essere profondamente greco e avere al contempo uno sguardo distaccato, come chi guardi la Grecia insieme dall’interno e dall’esterno. La sua era una Grecia non stereotipata, ribelle a tutti i luoghi comuni, una Grecia turisticamente insolita, nebbiosa e malinconica ma estremamente vitale e dinamica. A stupire in lui era anche, e forse soprattutto, la sua fede incrollabile nelle potenzialità umane, nella capacità dell’uomo di superare, pur che lo volesse, contrarietà e ostacoli, di vincere l’impossibile, di procedere appunto con la sua “terza ala” (questo doveva essere il titolo dell’ultima trilogia), “l’utopia che rende possibile l’impossibile”.
Dopo la sua inaspettata e violenta morte, sono andata ricercando la sua voce, le sue parole sul cinema, la storia, la Grecia di oggi, sulla politica, sulla crisi. Ho riletto molte sue interviste rilasciate a giornali e tv italiani (dal Corriere della Sera, al Manifesto, a Repubblica) e greci (Eleftherotipia), a interviste su canali televisivi italiani (Rai 3 e Ballarò) a greci (ERT, NET), bulgari e russi. La parola più ricorrente è “speranza”, prima come presenza irrinunciabile, poi, con il passare degli anni, come una realtà che si è andata facendo sempre più evanescente fino a quando, all’inizio delle riprese del suo ultimo film rimasto incompiuto, Angelopoulos si troverà a dire: «L’Europa è stata un sogno che si è infranto troppo presto. Ho visto l’occupazione tedesca, sono fuggito dalla dittatura dei colonnelli, ho assistito alla fine del comunismo, ma non ho mai perso la speranza di un’altra Europa. Negli ultimi anni mi sono occupato di esili, emigrazioni, viaggi, esterni e interni; della possibilità di sognare in un mondo dove i sogni sono assenti. Oggi non spero più».
E ancora: «Il ventesimo secolo ha creato una speranza di cambiamento. Ma il sogno è svanito. Adesso ci troviamo a vivere in un vuoto che le nuove generazioni dovranno riempire di contenuti»”.
Eppure, a smentire queste sue parole è proprio il titolo che aveva scelto per questo suo film, L’altro mare, che apre la porta su un’altra realtà, diversa, che forse potrebbe indicare una qualche via d’uscita…
“Lui era convinto che i nostri anni sono il «requiem della speranza» però lasciava aperto un piccolo spiraglio: «Nonostante tutto c’è sempre un angolo nascosto di speranza, non ho il diritto di non sperare. Era lo sguardo di chi, attraversato un mare, riesce già forse a intravvederne un altro»”.
Il suo sguardo era rabbuiato dalle drammatiche condizioni economiche della Grecia.
“Angelopoulos non si faceva illusioni, non si nascondeva la difficoltà di vivere nel presente, nella decadenza del presente. In una delle ultime interviste aveva denunciato: «Non ci sono soldi per il cinema, per il teatro, le casse sono chiuse. Le sovvenzioni per l’arte, la cultura sono finite. La maggior parte delle persone che lavora nei teatri lavora senza essere pagata, come dilettanti, pur avendo una lunga esperienza sulle spalle. Ci sono teatri storici che chiudono. Il Centro del cinema non esiste praticamente più. Non si sa se l’anno prossimo si potrà fare il festival di Salonicco. Anche diversi musei chiudono. Quello che è terribile è che ogni volta che c’è un problema economico, è la cultura che paga. Oggi la Grecia non è più in grado di finanziare i miei film e dal momento che la situazione economica è difficile in tutta l’Europa, le sovvenzioni per i film sono molto ridotte»”.
Per la produzione del suo ultimo film aveva realizzato quello che auspicava nella politica, la cooperazione e l’unione.
“Considerate le difficoltà, tutti gli attori del film, a eccezione di Toni Servillo che era pagato dalla produzione italiana, hanno partecipato alla produzione del film come una cooperativa. Anche i tecnici. La Direzione del Porto di Pireo, dove la maggior parte del film è girato, ha collaborato con loro a organizzare gli arredi. È molto importante. È la reazione della società nei confronti della situazione che si è andata creando. Quello che abbiamo in Grecia, lo abbiamo grazie alla cultura, ma nonostante tutto la cultura non viene affrontata con la serietà che sarebbe doveroso avere. Dare importanza alla cultura vuol dire dare importanza al domani e al volto che la Grecia mostrerà all’estero. Solo la cultura può aiutare il nostro paese a ritrovare se stessa e la propria dignità. C’è bisogno di un movimento, una vera “offensiva culturale” in tutte le sue forme. È quello che è accaduto nel periodo della dittatura dei colonnelli e che ha unito alcuni in una sotterranea ma viva e vitale resistenza e altri in una lotta pagata spesso con carcere e torture»”.
I principali destinatari della sua rabbia erano i politici greci…
“È vero, diceva: «Sono profondamente arrabbiato con i politici che hanno la responsabilità di quello che ci sta accadendo. Guardano soltanto ai loro interessi di partito, non si preoccupano della salvezza della Grecia. Tutti i Greci oggi pensano così. Si deve trovare una soluzione. […] L’Europa non è quello che avevamo sognato e in cui avevamo creduto, ma è la nostra strada. Bisogna parlare, esprimere la propria opinione. È questa la politica. Poiché loro sono là, devono cercare una soluzione, discutere, proporre, trovare una soluzione radicale. Non sono riusciti ancora a trovarla ma devono trovarla. Non quella che propone l’uno o l’altro partito. Si devono mettere tutti intorno a un tavolo e decidere. […] Ogni partito crede di avere la verità assoluta ma non è vero. A dispetto dei danni che hanno portato, non smettono di parlare. Hanno distrutto il paese e continuano a parlare. E la gente è completamente disperata… Per questo io credo che la situazione attuale in Grecia andrà sempre più peggiorando e non solo in Grecia. La malattia non è solo greca, è europea, è mondiale. In gravi difficoltà economiche ci sono anche l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna e anche voi in Italia siete messi male. Forse è l’Europa che ha fallito. Forse è la società occidentale che è entrata in crisi. Dovremmo reinventare un modello di sviluppo ma non abbiamo idea di come farlo. Gli economisti, i cosiddetti operatori dei mercati non sono sensibili a questa disperazione. Gli artisti sono coscienti di quello che avviene. Non se ne esce con sistemi economici. Forse c’è bisogno di qualcosa di nuovo. Ogni volta che arriva un periodo oscuro si pensa che poi finirà. C’è un vecchio poeta greco, Kostìs Palamàs, che ha scritto che bisogna discendere le scale del male fino in fondo per far nascere di nuovo, per ritrovare le nostre ali capaci ancora di sollevarci. Nessuno sa come siamo arrivati a questo punto, ci aiuterebbe però capirlo. Se non capiamo che ci troviamo in una situazione talmente critica che il domani potrebbe essere ancora più buio dell’oggi, allora ognuno ne sarà responsabile. La crisi non è economica, è politica, è crisi dei valori, è crisi di costume. Non ci sarebbe una crisi economica se non ci fosse una crisi di valori»”.
La spirale della storia e’ stata molto dura per la Grecia. L’ultimo secolo ha rappresentato un secolo di sofferenze troppo grandi, due guerre mondiali, una guerra civile sanguinosissima, la dittatura di Metaxàs prima e poi quella dei colonnelli hanno segnato profondamente l’anima greca e influenzato la vita dei Greci di oggi. La vita di Angelopoulos, come la vita di ogni greco della sua generazione, è stata scandita da questi dolorosi avvenimenti…
“Lui stesso ha ricostruito il suo cammino personale all’interno del XX secolo: «Quando avevo appena cinque anni, è cominciata la seconda guerra mondiale, c’è stata la guerra tra Italia e Grecia, poi l’invasione tedesca. Quando avevo sei anni, nell’aprile del 1941, proprio nel quartiere in cui abitavo, è entrato l’esercito tedesco. Quando avevo nove anni, è scoppiata la guerra civile ad Atene tra comunisti e non comunisti e gli inglesi dall’altra parte. Anche le famiglie si sono divise tra comunisti e non; è stato così anche per la mia famiglia. Mio padre è stato arrestato da suo cugino e dovevano giustiziarlo: mio cugino era comunista e credeva che mio padre fosse… Alla fine è riuscito a sfuggire all’esecuzione e non è stato ucciso. Tutto questo nonostante fosse una persona di famiglia. Sono stati anni molto duri.
La mia vita è passata dentro la Storia, impossibile non collegarla alla politica. […] La storia non procede in maniera lineare verso il futuro, ma è una spirale con periodi di alta e di bassa. Oggi ci troviamo nella parte bassa della spirale, in una sala d’aspetto, la porta è in fondo e a un certo punto si aprirà. Ma non possiamo sapere su cosa si aprirà, certamente non sul già vissuto.
E insisto nel dire che non ha tanta importanza se abbiamo più o meno soldi, quello che ha importanza è se abbiamo trovato un equilibrio tra noi e il mondo che ci circonda»”.
La storia più recente si e’ snodata sotto i suoi occhi, nel centro di Atene.
“Il suo studio era nel quartiere di Exarchia: «Questo vuol dire che io vivo una quotidianità che è in ogni momento al centro del problema. Davanti alle mie finestre dormono due senza tetto. Nella strada un po’ più in basso e a destra del Politecnico si ritrovano giovani drogati. Penso a un’immagine che per me rappresenta il problema. Io non sono un politico, non posso proporre soluzioni. Penso a una giovane di nemmeno vent’anni, molto bella, che camminava per la strada con una sigaretta in mano e tremava, aveva appena preso la sua dose. E io vedevo i piccoli passi incerti di questa ragazza, giovane e bella, e mi dicevo che questo problema non riesce a risolverlo nessuna politica. Lo risolve solo la decisione di intervenire in questa società in un altro modo. Bisogna trovare un altro modo, un modo nuovo. Bisogna cambiare le nostre abitudini. C’è una corruzione totale in tutta l’Europa e in tutto il mondo. Per questo siamo arrivati dove siamo. Bisogna diventare più seri, pensare al mondo e alla gente, non pensare a come sfruttare la gente. Questo vuol dire ritrovare l’umanesimo che solo può migliorare il mondo, vuol dire ritrovare una visione per il futuro»: ecco la ragione dell’altro titolo a cui Angelopoulos pensava per il suo film, Domani”.