Domenico Ghetti rappresenta la terza generazione, mentre il figlio Stefano, maggiore collaboratore ed erede, rappresenta la quarta generazione, quella del futuro, e viene riconosciuto quale colonna portante dell’Azienda agricola di famiglia. Questa si trova nell’area collinare faentina, poco sotto i 300 metri di altitudine, a Marzeno di Brisighella (Ravenna), peraltro famosa per i vini eccellenti della fattoria Zerbina di Cristina Geminiani.

Da oltre 40 anni, a partire dai primi anni ’80 del secolo scorso, Domenico è impegnato nell’incessante e straordinario lavoro di ricerca e di recupero delle varietà fruttifere autoctone tradizionali di tutte le aree romagnole. Si tratta dei cosiddetti “frutti dimenticati”, come li ha voluti evocare pioneristicamente il grande poeta Tonino Guerra, anche e soprattutto di quelli rari in estinzione, anche nell’ambito di un’unica presenza e/o sopravvivenza, comunque rara, di assoluta unicità. Frutti antichi recuperati soprattutto nelle aree collinari e appenniniche, piante sopravvissute nonostante tutto. Alla prova dei fatti si sono rivelate e riconfermate piante forti e longeve, fruttifere quel tanto che basta, quanto gli consente da sempre la loro natura, l’habitat, il microclima, in assenza sistematica di sovrapproduzione senza la peculiare necessità di trattamento e concimazioni di sorta, esprimendo così una biodiversità ante litteram, assolutamente autentica, secolare, naturale, insita nella loro biologia. Tantissime le squallide imitazioni!

Va subito chiarito che non c’entrano per niente, né direttamente né indirettamente tutte le varietà correnti, moderne, anche omonime, anzi soprattutto quelle omonime sbandierate sovente in termini poco trasparenti, dei giorni nostri, prodotte e distribuite nell’ambito di una filiera, che parte dai campi coltivati ai magazzini di lavorazione, alla vendita soprattutto nella cosiddetta Grande Distribuzione.

Il recupero degli altri prodotti, quelli alternativi da sempre, “antichi e dimenticati”, di vissuto archeologico, recuperati da Ghetti a partire dagli anni ’80, grazie a una perlustrazione personale, in lungo e in largo, soprattutto nell’aree collinari romagnole, rappresenta una straordinaria biodiversità, unicità culturale e produttiva, che non si può confondere con nient’altro! Occorrerebbe fargli un monumento!

Mentre, purtroppo, nelle piane della Romagna tra le tipologie tradizionali solo alcune varietà di pesche arcaiche rappresentano il frutto del recupero operato da Domenico.

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L’orto è stato uno dei luoghi ispiratori della grande poesia di Tonino Guerra (Santarcangelo di Romagna, 1920 – 2012). Una sua prefazione arricchisce il libro di Graziano Pozzetto.

E ora schematicamente e in forzata sintesi, riporto gli elenchi dei frutti recuperati nei 40 anni, suddivisi per categoria. Ma prima ricordiamo che l’individuazione, il recupero e il salvataggio, nonché la perpetuazione varietale dei “frutti dimenticati” è avvenuta attraverso innesti. Era soprattutto a primavera che Domenico, a tempo pieno, saliva e attraversava le colline romagnole, in quanto quelle colline erano state perlopiù abbandonate dai contadini a metà del Novecento, al fine di esaminare, confrontare, classificare e memorizzare dall’alto delle vallate, le fioriture dei frutti sopravissuti. Nel contempo cercava le case dei contadini di competenza, legati all’habitat dei medesimi frutti, al fine di raccogliere le informazioni sui medesimi. Successivamente e periodicamente rivisitava con insistenza quei frutti, soprattutto nella successiva fase di maturazione, sia che fossero precoci, estivi o tardivi, allo scopo di recuperare, esaminare, classificare, codificare dalle piante i relativi frutti maturi e comunque caratterizzati. Nel contempo, nella stagione più adatta, recuperare gli innesti delle singole piante, di qualsiasi varietà e tipologia presenti o esistenti all’epoca.

Domenico confessa che è stato un lavoro impegnativo, faticoso, oneroso, ma anche molto bello, facendo crescere e consolidare via via il grande mosaico dei “frutti dimenticati”, che venivano sistematicamente piantati, fatti crescere e fruttificare nella sua Azienda, predisponendo adeguatamente terreni, difese, sostegni, combinazioni, adattamenti, moltiplicazioni delle varietà, comunque chiaramente vocate all’habitat aziendale, sulla collina a 300 metri di altitudine.

  • Pesche. Le varietà recuperate sono la Bella di Cesena, la S. Anna, l’Hale, il Buco incavato, la Sanguinella, la Poppa di Venere (che dal nome doveva offrire sapori di altissimo profilo); ma anche altre varietà come ad esempio il Pesco piangente, pianta da giardino, capace di fruttificare e offrire pesche bianche, abbastanza buone, ancor più apprezzate nella loro bellezza, come la loro pianta, stupenda, somigliante al Salice piangente, da cui il nome, e invece è un’antica pianta di pesco; ma anche la Pesca piatta, piccolina la prima varietà di pesca antica che Domenico è riuscito a salvare, a pasta bianca.
  • Mele. Vanno distinte le varietà precoci di inizio estate, attorno alle settimane del mese di giugno. Cominciamo dalla Mela giugno (legata all’omonimo mese); Mela piatlaza (appiattita); Mela musabò (a muso di bue, di colore rosso verde); Mela rugginosa (dal colore della ruggine e nel contempo ruvida al tatto). Poi la grande famiglia delle Mele renette, come la Renetta Valder; Renetta Canadà; Renetta rugginosa; Renetta campagne (piccolina, grossa come un pomodoro, costoluta come quest’ultimo). Poi le altre mele della categoria tardive: Mela Decio; Mela durella (non perché sia di consistenza dura ma perché è longeva nel tempo, l’ultima a essere raccolta); Mela della Rosa; Mela Abbondanza, di varietà antica da non confondere con quella corrente dei giorni nostri, sia nella versione bianca che rossa; Mela Imperatore (sia nella versione autoctona, rara, antica, buonissima, assai contesa dai cultori, che fruttifica con molta difficoltà, quindi scarsa ma assolutamente superba; che nella versione corrente commerciale, altra cosa); Mela Commercio, che negli anni Sessanta ha fatto la fortuna di tanti frutticoltori di pianura; Mela Rambur Franc, che un tempo veniva coltivata tra i filari delle viti; Mela musona, di colore giallo; Mela Montecchia, il cui nome è legato alla piccola località di provenienza, nell’area brisighellese.
  • Pere. Fiorivano in anticipo rispetto alle mele. Pera mora; Pera scipiona, che veniva conservata a trecce lunghe, da appendere al fine di meglio selezionare quelle mature, durante l’inverno; Pera volpina; Pera volpona, più grossa rispetto alla precedente; Pera spadona, agostana, validissima per le marmellate; Pera broccolina, tipica delle colline brisighellesi, buona sia cruda che cotta al forno: eccezionale! Pera covata, che una volta raccolta e per maturare, deve assolutamente essere collocata a … covare sulla paglia; Pera favorita, che assomiglia alla William, ma non lo è, buonissima da mangiare, per cui un tempo era molto contesa e amata, di raccolta estiva; Pera rugginosa, buona sia cruda che cotta al forno; Pera butirra Hardy; Pera butirra Gifar, più tardiva rispetto alla precedente; Pera briaca, che corrisponde alla famosa Pera Cocomerina tipica del Verghereto, ma che a Marzeno c’è da sempre, nell’ambito di pochissime piante, già dai tempi del nonno di Domenico, prima storica generazione dei Ghetti, pera chiamata anche ubriaca; Pera senza nome, assomiglia alla Pera Mora ma non lo è, squisita, rarissima, tanto è vero che l’ultima pianta superstite è privilegio dei Ghetti!
  • Albicocche. Rarissime le varietà antiche come la Albicocca reale di Imola, a pasta gialla; e la varietà Albicocca a pasta bianca, recuperata nei pressi del Monte Battaglia di Casola Valsenio, pianta unica al mondo, trovata in occasione di una fortunata escursione di Domenico, la cui pianta appartiene alle Albicocche anche se assomiglia a una pesca. Albicocca senza nome, frutto a punta, privo del fiore alla sua base, ma è appuntito in fuori, unica varietà rara ed assai contesa dagli amatori dei “frutti dimenticati”. Biricoccolo è una piccola albicocchina, zuccherina, deliziosa pallina di zucchero, di colore rossastro.
  • Susine. Quelle antiche sono poche davvero, solo alcune di colore giallo o viola, peraltro non classificate né classificabili, anche se una di loro è ottima per il liquore, mentre il mercato è pieno di susine e prugne correnti, non “dimenticate”!
  • Ciliegie. Di antica varietà vi era solamente la Ciliegia Marciana, tipo Durona, l’unica autoctona, tutte le altre sono varietà correnti.
  • Uve. Il lavoro di ricerca svolto da Domenico è stato realizzato in collaborazione con il Centro di Tebano, in tutto le varietà autoctone assommano a una settantina, i cui nomi sono appannaggio dell’archivio del Centro medesimo. Tuttavia tra le varietà di uve antiche, tipiche e autoctone, ricordiamo l’Uva Morta, da vino, a bacca bianca, dal colore spento e … “morto”, recuperata presso la chiesa di San Biagio di Faenza. Uva famosa, a bacca bianca, da vino. Uva sultanina, a bacca bianca, con acini piccolini, privi di semini, recuperata presso il Convento di Casola Valsenio, da una vite secolare, uva da tavola. Uva fragola, a bacca bianca (sic!) dal tipico profumo, rara per il suo colore. Uva Clinton, non derivante dalla vitis vinifera e quindi di varietà selvatica con i tipici sentori volpini. Uva aleatica; Uva Bertinora, un privilegio esclusivo della famiglia Ghetti, che la coltivano da tre generazioni, così denominata dai medesimi. Altre, e tante, le varietà antiche e autoctone. Da altre fonti segnalo l’Uva alionza, l’Uva balsamina, l’Uva bianchina, l’Uva canina, l’Uva ciliegiola, l’Uva lugliatica, l’Uva maligia, l’Uva moscatella, l’Uva negretto, l’Uva paradisa, l’Uva raffona, l’Uva ribola, l’Uva russiola, e altre, segnalate dagli studiosi Giovanni Manzoni (La vite, l’uva e il vino dei nostri vecchi, Grafiche Galeati, Imola, 1977) e Gianfranco Bolognesi (I vini del sole, Romagna, Ed. del Sole, Milano, garante Luigi Veronelli).
  • Cachi. Domenico ha ritrovato solamente una varietà antica, caratterizzata al suo interno dai semini, presso la Chiesa della Badia nella Valle di Tredozio.
  • Sorbe. Due le tipologie, a mela, a pera, tardive e precoci.
  • Nespole. Due le tipologie, la prima precoce a forma di fiasco o pera, l’altra tardiva a forma rotonda come una mela.
  • Azzeruolo. O pomo reale, sia nella versione rossa che gialla.
  • Corniola. Varietà unica, inconfondibile.
  • Giuggiola. Una sola la varietà antica, reperita nel Convento di Camaldoli.
  • Melagrane. La varietà antica romagnola non raggiunge grosse calibrature, rispetto alle odierne produzioni decisamente più dolci, e mantiene quindi un sapore più asprettino.
  • Cocomero. Quello autoctono romagnolo è piccolo e di buccia sottile.

LA FRUTTA SECCA

  • Mandorle. Presenti sia nella prediletta versione dolce che amara (in questo caso Domenico ricorda che facevano arrabbiare le azdore di un tempo). Da considerare altresì sia le Noci che le Nocciole Avellane.

Finisce qui la rassegna rappresentativa ed essenziale dei “frutti dimenticati” recuperati, salvati, perpetuati attraverso coltivazione propria dell’Azienda agricola a Marzeno di Brisighella che in altri che hanno ripreso in proprio questa tradizione.

Gli utilizzi più praticati erano quelli del consumo naturale a maturazione oppure in confetture e marmellate, torte e crostate (mele, pere, cachi, ecc.), le pere volpine al vino rosso speziato; le cotture al forno; i liquori con le prugne ma non solo; le sciroppature con le piccole albicocche reali di Imola.

Altri i prodotti peculiari dei Ghetti, come il Carciofo Moretto che viene da essi coltivato da quasi un secolo; i fagioli, tra cui gli scomparsi Verdini, e ovviamente i Borlotti, quelli dell’Occhio, i Cannellini; i Ceci tradizionali riservati ai piatti invernali.

Da Youtube: Incontro con lo scrittore e gastronomo Graziano Pozzetto,
presso la Fattoria biologica sulle colline di Romagna tra i fiumi Rubicone e Savio.

Conclusioni

La testimonianza dei Ghetti potrebbe finire qui, ma necessitano di essere sottolineati i meriti di una quarantennale, ininterrotta ricerca, salvataggio, riproposizione sul campo, divulgazione culturale sui “frutti dimenticati”. Domenico si è generosamente impegnato nel farli conoscere e per farli coltivare, attraverso il ruolo dei vivaisti (del brisighellese Dalmonte in primis) nell’àmbito di una divulgazione reale delle varietà antiche, un ruolo generoso, ecumenico, fondamentale, di straordinaria tutela di una identità romagnola, lavorando sugli originali innesti selvatici, per poi giungere ai frutti di derivazione.

E nel contempo in parallelo l’enorme lavoro di informazione, divulgazione culturale, attraverso le tante mostre, le dimostrazioni, le sperimentazioni, la socializzazione delle esperienze, alle generazioni future, ai tanti appassionati, cultori, consumatori dei “frutti dimenticati” nelle fiere, sagre, mercati popolari di Casola Valsenio, Faenza, Brisighella, e ovunque i Ghetti sono stati coinvolti, come ad esempio recentemente a Casa Artusi di Forlimpopoli con l’Associazione delle Mariette (con mostra e relazione gastronomica da parte del sottoscritto).

Domenico Ghetti si ritiene un battitore libero, un solista, è schivo, disinteressato, altruista, persona semplice e perbene, in quanto vive solamente della sua attività di contadino dei “frutti dimenticati”, nella sua terra in collina, continuando a coltivare tutti i frutti salvati nei decenni e riportati alla vita donando loro il futuro, in relazione a svariate centinaia di piante nelle tante tipologie e varietà. Un patrimonio straordinario, un’eccellenza, una biodiversità assoluta della Romagna. Lo ha caratterizzato una cura sapiente e appassionata, le potature rispettose delle identità, la raccolta dei frutti… I terreni di carattere argilloso necessitano di continue lavorazioni, con la sola naturale pratica del sovescio. La produzione viene tutta venduta al mercato, specialmente a quella “fauna” speciale (detto con simpatia e stima) di appassionati e cultori, che ad esempio, affollano a metà ottobre di ogni anno la grande Sagra dei “Frutti dimenticati” di Casola Valsenio, e nel contempo la Sagra dei “Frutti dimenticati” di Pennabilli in Val Marecchia, patria del pioniere dei “frutti dimenticati”, il grande poeta e profeta Tonino Guerra. Appassionati che si portano a casa l’annuale bottino naturale e autentico al fine di mangiarlo con assoluta tranquillità, e per farne confetture, sciroppature, liquorini, piatti raffinati.

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Graziano Pozzetto ha incontrato Ghetti per raccontarlo nel suo nuovo libro “Le cucine di Romagna. Storia e ricette”, Orme-Tarka Editore, Roma, 2013. I principali capitoli riguardano la grande tradizione dei brodetti di mare delle marinerie romagnole, le minestre tradizionali e povere, i piatti della memoria di Tonino Guerra, le ricordanze di cibo di Tino Babini, il miele e i vini di Romagna tra innovazione, nuove regole, grande tradizione. Pozzetto è giornalista, scrittore, gastronomo, bibliofilo, ricercatore e divulgatore appassionato. Ha ricevuto importanti riconoscimenti. È protagonista di un’enciclopedica codificazione culturale di cibi, vini, prodotti tipici tradizionali ed eccellenti della Romagna e ha narrato (per gli editori Muzzio e Panozzo) il mosaico delle ricchezze enogastronomiche che esprimono la civiltà, la storia del territorio e della sua gente.