Un anno fa il capo di governo originario di Firenze e un manager venuto da Bologna, proprio dalle due città idealizzate dai profetici custodi napoletani (“Vertiginoso è il caos e il fracasso nella Reggia del Sud. I custodi napoletani dicono che a Firenze o a Bologna una schifezza del genere non accadrebbe”, scriveva un grande inviato, Aldo Santini, su Oggi, n. 25/1980), promettevano una svolta per la Versailles all’ombra del Vesuvio voluta da Carlo III di Borbone e da sua moglie, Maria Amalia di Sassonia. Quel 16 gennaio il premier Matteo Renzi, affiancato dai ministri dei Beni culturali e del Turismo Dario Franceschini e della Difesa Roberta Pinotti, preannunciò un cambio di rotta per uno dei gioielli più incredibili del patrimonio italiano (nella foto d’apertura, una veduta aerea della Reggia e di parte del Parco): “La Reggia volta pagina, con nuovi spazi, già appartenenti all’Aeronautica, messi a disposizione del circuito museale e della fruizione culturale dei cittadini… L’Europa si salva investendo in cultura: per un centesimo dato alle forze dell’ordine, si deve investire un centesimo in cultura”. E il nuovo direttore, Mauro Felicori, 64 anni, una moglie archivista e due figlie con lauree in architettura e finanza, che era arrivato da tre mesi da Bologna come vincitore del bando internazionale voluto da Franceschini, aveva aggiunto adrenalina nelle orecchie dei 230 dipendenti della Reggia: “Sono un manager chiamato qui per una grande sfida. L’ho accettata. Mi batterò per migliorare l’accoglienza in ogni suo aspetto; per aumentare la manutenzione e le pulizie; per far crescere la quasi inesistente comunicazione e promozione. Insomma, voglio creare un circolo virtuoso in cui la crescita dell’accoglienza determini una crescita culturale e viceversa. E festeggiare come si deve il ventesimo anniversario, che cade nel 2017, dell’inserimento della Reggia nel patrimonio mondiale da parte dell’Unesco”.

Un anno dopo quella giornata storica il cronista arrivato a Caserta nel giorno in cui sono stati tolti i ponteggi e la ministra Stefania Giannini con i passanti ha potuto ammirare i 249 metri della facciata, divisa tra il travertino grigio del piano terra e l’ocra dei mattoni dell’ordine superiore, constata che, sì, la svolta c’è stata, la Reggia sta rinascendo sotto i colpi del tridente accoglienza / manutenzione / comunicazione. È una bussola virtuosa per il Sud, e non è solo merito delle aumentate ore di lavoro del direttore “stakanovista”: “Lavoro dalle 9 per 12 ore”, ammette, sorvolando sul particolare che il suo ritmo di lavoro era stato rimproverato dai sindacati. “Loro erano abituati a cogestire, ma la cogestione ha dato risultati fallimentari e ora, dopo una scossa di assestamento, lavoriamo insieme: quando c’è da concertare, si concerta; su altre cose ci si informa, ma poi decido io”.

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Veduta aerea della Reggia e di parte del Parco.

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Mauro Felicori, 64 anni, direttore della Reggia dopo aver vinto un concorso indetto dal ministro Dario Franceschini. Bolognese, Felicori è laureato in filosofia con Salvatore Veca su Max Weber. Sua moglie, Paola, è responsabile dell’archivio storico del Comune di Bologna. Due le figlie: Matilde, 23, master in finanza a Londra e Bianca, 22, architetta. “Per anni ho lavorato al Comune di Bologna sull’ economia della cultura. Ho lavorato sulla candidatura, vincente, di Bologna capitale europea della cultura. Mi sono occupato anche del cimitero di Bologna, posto meraviglioso: creai un’Associazione dei cimiteri monumentali di cui fui il fondatore e il primo presidente. È un’associazione tuttora vivissima: fui premiato dai Reali di Svezia per aver fatto uscire i cimiteri dal buio. Un mese fa il sottosegretario ai Beni culturali Antimo Cesaro ha firmato una convenzione, primo atto con cui il ministero riconosce i cimiteri come beni culturali di primaria importanza”.

Caro Felicori, l’altro giorno l’impiegato postale del mio paese alle porte di Milano, originario di Caserta, non mi ha più parlato della sua personale Spoon River della Reggia che abita nella sua mente con i re e le regine, i Carlo e i Ferdinando, le Maria Amalia e Maria Carolina, i Vanvitelli, l’architetto paesaggista Graefer, lady Emma Hamilton, i suoi illustri ospiti, Goethe, Cimarosa e Paisiello su tutti. Mi ha detto: “Vada a vedere come lavora il nuovo direttore bolognese. Un campione…”. Ed eccomi qua, in un giorno di festa, con le mani sapienti che hanno riempito le fessure della facciata della Reggia. Come ha fatto a entrare nell’immaginario di tanti italiani, specie nel permaloso Sud?

“Partiamo proprio da quella felice immagine delle mani sapienti che hanno colmato migliaia di fessure per impedire che l’acqua continuasse a entrare, causando lo sgretolamento della pietra. In questi ultimi due anni alla Reggia hanno lavorato 150 persone, quasi tutte campane, fra i 25 e i 40 anni, metà donne e (tranne 5 edili) tutti restauratori di mestiere. Tutti eredi di quegli artigiani artisti che hanno arricchito di bellezza l’interno della Reggia, con i mobili, le tele, i tessuti che impreziosiscono i muri: è nelle loro mani il futuro nella società postindustriale che torna a privilegiare l’estetica. Questo primo cantiere, costato 14.392.806 milioni di euro, è una dimostrazione concreta dell’assunto che i beni culturali possono essere una locomotiva trainante dello sviluppo al Sud, producendo lavoro qualificato. L’arte del restauro vede noi italiani primeggiare nel mondo, e questo primato può accrescere ancor di più la nostra reputazione internazionale di restauratori. Già il solo conservare è un’industria. Il conservare non è uno stato di immobilismo: è dispiegare risorse per custodire questi beni, ripristinarli, valorizzare loro e la comunità che li custodisce”.

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La fontana di Diana e Atteone con cascata. Sono 40 i chilometri dell’acquedotto che alimenta il parco, le fontane e le cascate.

Custodia che costa fatica e talora la morte. Penso a Tommaso Cestrone, la sentinella della vicina reggia di Carditello: un pastore che, come custode volontario di quella meraviglia stuprata da camorra e malapolitica, aveva deciso di difenderla con tutte le sue forze. E’ stato stroncato da un infarto a 66 anni in una notte di Natale.

“La morte di quell’eroe ha segnato l’inizio della riscossa di un monumento che ora ha un futuro. È distante da qui una decina di chilometri ma è un punto fondamentale dei siti borbonici che voglio rilanciare come sistema, facendoli leggere come un unico disegno. In questi siti prediligo quelli che sono nati come progetto industriale e agricolo. Per esempio San Leucio, confinante con noi, che nasce come setificio; Capodimonte come polo per la ceramica, Carditello per l’allevamento dei cavalli di Persano. Aggiungerei al sistema anche Castellamare di Stabia con i suoi cantieri creati per la flotta borbonica; il museo nazionale delle ferrovie a Pietrarsa, alla periferia di Napoli, dove si fabbricavano i primi treni voluti dai Borboni (vi lavoravano, nel 1853, 700 operai che facevano di quell’opificio il primo e più importante nucleo industriale italiano oltre mezzo secolo prima che nascesse la Fiat). Insomma c’è tutto un mosaico di siti borbonici che disegnavano un progetto industriale preilluministico che purtroppo, per diverse ragioni, si spense. Dopo la Reggia, sogno di dare un futuro a Borbonia”.

Pensa di riuscire a fare da perno a questo mosaico virtuoso?

“Sì. Perché la Reggia è il cuore al centro di Borbonia. Lei nasce non per essere la residenza estiva del re di Napoli ma la residenza capitale del Regno delle Due Sicilie. Qui oggi abbiamo la tessera Campania art card che fa entrare nei musei della regione, ho proposto (così per scherzare, per assonanza con la Padania) la Borbonia art card che permette l’accesso a tutti i siti borbonici. Questo è uno dei prossimi brand su cui voglio lavorare”.

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Il COSME (Centro Osservatorio sul Mezzogiorno d’Europa), Centro interdipartimentale della SUN, sta portando avanti, con la Reggia di Caserta un progetto di recupero e digitalizzazione sugli archivi della Corte e dei siti reali borbonici recuperando, in diversi archivi e biblioteche italiane ed europee, la cartografia dei siti stessi. La carta delle Real Cacce di Rizzi Zannone, uno dei principali cartografi italiani, rappresenta il tentativo scientifico più elevato di sintetizzare le funzioni e i legami fra i diversi siti reali (circa 40) alla fine del ‘700, creati da Carlo di Borbone e Ferdinando IV.
 
(Si ringrazia il prof. Giuseppe Cirillo per la collaborazione).

Prossimi brand… ne parla al plurale. Che altro bolle nella sua pentola?

“L’altro progetto su cui voglio lavorare è quello dell’Appia antica. La Reggia è collocata sulla regina delle strade dell’antica Roma, con il territorio costellato da musei, di resti romani importanti e poi c’è quell’unicum che sono le matres, le madri latine, divinità rappresentate con in grembo simboli di abbondanza e fertilità (canestri ricchi di frutta e pani o con tanti bimbi). La strada ci rimanda al tema del paesaggio e dell’acqua, risorsa abbondante che distingue la solare Campania felix rispetto al resto del Sud. Pensi che l’acquedotto voluto da re Carlo e commissionato a Luigi Vanvitelli per fornire l’apporto idrico alla Reggia preleva l’acqua alle falde del monte Taburno, dalle sorgenti del Fizzo, e la trasporta lungo un tracciato che si snoda per 40 chilometri. L’opera richiese 16 anni di lavoro e il supporto dei più bravi studiosi del regno di Napoli destando l’attenzione da parte dell’Europa tanto da essere riconosciuta come una delle opere di maggiore interesse architettonico e ingegneristico del XVIII secolo. Questo acquedotto rifornisce non solo le ‘reali delizie’ costituite dal parco e dalle fontane, ma anche San Leucio, il Carditello e tutti gli agricoltori della zona che da oltre due secoli prendono l’acqua per irrigare i loro campi e ci saldano i bollettini: sono ottimi pagatori, mai avuto un contenzioso”.

A differenza degli inquilini che ha trovato insediati nella Reggia, paganti poco più che simbolici affitti…

“Arrivando qui ho trovato molte situazioni anomale che con il tempo si erano consolidate. La Reggia era stata un po’ dimenticata dall’amministrazione statale e questo ha favorito, per esempio, l’assegnazione delle case ad affitto molto basso ai custodi, i quali lasciavano la casa ai figli, questi ai nipoti o alla moglie separata… e tutti avevano diritto di entrare con la macchina, di giorno e di notte, insomma era come se abitassero al Louvre e avessero le chiavi del Louvre”.

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La Sala del Trono. Solo nel 1845 Gaetano Genovese completò gli allestimenti e la Sala fu aperta per la prima volta in occasione del Congresso internazionale delle Scienze.

Come ha risolto?

“Li ho invitati ad andare a casa loro in città, prima con le buone e gli ultimi con la forza pubblica. In fondo tutti avevano la possibilità di trovare soluzioni alternative. Abbiamo dovuto fare la voce grossa anche per mandare all’esterno gli ambulanti abusivi che piazzavano le loro mercanzie all’interno della Reggia. Con l’aiuto del prefetto, della polizia e anche con il mio esempio: qualcuno l’ho scacciato io personalmente. Adesso anche all’esterno loro hanno un comportamento corretto, non fanno più parte di quella patologia aggressiva che affliggeva soprattutto i visitatori: i quali calavano, anno dopo anno: nel 2013 il Corriere della Sera aveva contato che da 12 anni la Reggia perdeva ogni anno 50 mila visitatori. Eravamo scesi a 410 mila annui, quest’anno chiudiamo con un risultato straordinario. Passiamo dai 490 mila con cui abbiamo chiuso il 2015 (abbiamo fatto un buon finale l’anno scorso grazie al fatto che la riforma Franceschini ha acceso la luce sui musei italiani) a oltre 650 mila: un incremento del 35%, sarà l’aumento più alto di tutti i musei statali italiani”.

Può essere giustamente orgoglioso. Più di 160 mila nuove persone conquistate in un anno.

“Che ci hanno lasciato in cassa, fatturato culturale e sociale a parte, un milione e mezzo in più di quanto avevamo messo a bilancio. Certo, sono contento, ma ogni mattina che mi sveglio ricordo a me stesso che Versailles fa 7 milioni di visitatori e allora mi dico: bravo, però c’è ancora un mare da fare, devi avere coraggio di nuove sfide, io credo di non poter raggiungere l’asticella di Versailles ma per ora mi accontento di riuscire a vincere il derby con la Venaria Reale, Borboni contro Savoia; l’anno scorso loro hanno chiuso a 555.307 visitatori. Insomma, è come in una corsa ciclistica: vediamo (o facciamo vedere) il sellino”.

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Veduta della fontana di Cerere. Sopra la vasca vi è una scultura che raffigura Cerere mentre stringe tra le mani la medaglia della Trinacria. La statua della dea è attorniata da delfini e tritoni sprizzanti getti d’acqua, Nereidi che soffiano dalle bùccine e due statue che rappresentano i fiumi siciliani Simeto e Oreto.

Per ottenere questo brillante risultato ha dovuto operare come un chirurgo…

“È più corretto dire come un agopuntore, noi siamo come un organismo umano con le 230 persone impiegate. Ma se vogliamo usare una metafora, è meglio dire opero come un giardiniere, come ci ricorda il diario del pittore, Joan Mirò: «Lavoro come un giardiniere… Le cose maturano lentamente. Bisogna fare innesti, irrigare come si fa con l’insalata». Va tolta l’erba cattiva, bisogna sistemare le aiuole, potare… È un lavoro di fino, perché le persone non cambiano velocemente, vanno motivate. E poiché la pubblica amministrazione non ha sistemi né premianti né punitivi, bisogna far avanzare i collaboratori motivandoli con esempi. Io do grande importanza al comportamento personale. Se tu chiedi alle persone le fatiche del cambiamento, loro devono vedere che tu sei la prima cavia di te stesso, che tu applichi le nuove idee prima di tutto a te stesso. Così lavoro sodo, ascolto le persone, cerco di correggermi, mi sono messo in piazza su Facebook in modo che ognuno può darmi suggerimenti o critiche. Ho varato i Caserta day, monumenti + sapori e vini del territorio, già festeggiati a Bologna e a Vignola, prossimamente a Torino e Trento. Spero di esportare a San Pietroburgo e a Tokio la nostra mostra permanente Terrae motus, 80 opere commissionate da Lucio Amelio a grandi artisti contemporanei in occasione del terremoto che sconvolse l’Irpinia. Il mio hastag è ‘fiducia a Caserta’, parlo delle cose positive di questa terra, ho bisogno di motivare la parte migliore di Caserta e scoraggiare chi ritiene che non ci sia più niente da fare o gli altri che aspettano la soluzione da parte di qualcun altro, dall’Europa o dalla Merkel. A noi, squadra di 230 lavoratori, è stato dato un bene straordinario e dobbiamo comportarci in maniera straordinaria”.

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vercesi-pierluigi* Fonte: Sette n. 50/2016. Lo storico magazine del Corriere della Sera dal marzo del 2012 è diretto da Pier Luigi Vercesi (nella foto) con brillanti risultati.


Un gioiello in sette immagini

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Lo Scalone d’onore della Reggia di Caserta è un tale capolavoro di architettura e di scenografia, firmato da Luigi Vanvitelli, da essere diventato il modello per tutti i grandi scaloni mondiali. La prima pietra della Reggia fu posta nel 1752, fu completata nel 1845 (sebbene fosse già abitata nel 1780).

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La Sala del Trono. Solo nel 1845 Gaetano Genovese completò gli allestimenti e la Sala fu aperta per la prima volta in occasione del Congresso internazionale delle Scienze.

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La sfarzosa Sala di Marte destinata ai “Titolati, Baroni del Regno, Uffiziali, Militari e Inviati Esteri”. Fu realizzata durante il regno di Murat per sottolineare l’interesse da parte di Gioacchino e della moglie Carolina, che avevano anche stanziato cospicui fondi per migliorare la Reggia.

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La fontana di Diana e Atteone. Quest’ultimo è rappresentato mentre viene mangiato vivo dai suoi stessi cani per essere trasformato in cervo: la colpa di Atteone, che ne causò la tragica fine, fu quella di aver visto la dea Diana completamente nuda.

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Veduta della fontana di Cerere. Sopra la vasca vi è una scultura che raffigura Cerere mentre stringe tra le mani la medaglia della Trinacria. La statua della dea è attorniata da delfini e tritoni sprizzanti getti d’acqua, Nereidi che soffiano dalle bùccine e due statue che rappresentano i fiumi siciliani Simeto e Oreto.

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Giardino inglese e Bagno di Venere. I lavori del giardino sono datati tra il 1778 e fine secolo. Lo volle, con i suoi laghetti e cascatelle, la regina Maria Carolina che ne affidò la cura a Carlo Vanvitelli per le necessità architettoniche e del botanico inglese John Andrew Graefer per la formazione e cura del giardino.

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Haring Keith, Senza titolo, 1983. È una delle opere che costituiscono la bellissima collezione di arte contemporanea “Terrae motus” nata dopo il terremoto che sconvolse l’Irpinia e ospitata nella Reggia, per volere del gallerista napoletano che la volle (Lucio Amelio, 1931-1994).

A PROPOSITO

Capire una Reggia con 15 numeri

  • 650 mila i visitatori nel 2016 (contro i 491 mila del 2015 e i 428.271 del 2014. Versailles ne ha 7 milioni l’anno)
  • 150 i restauratori delle facciate, quasi tutti del territorio campano
  • 14.392.806 il costo in euro del restauro delle facciate, sia esterna che interna
  • 45.000 i metri quadrati occupati dal complesso della Reggia
  • 1.200 le stanze all’interno
  • 1.790 le finestre
  • 34 le scale
  • 12 metri l’altezza dei saloni fino il soffitti
  • 120 gli ettari di parco lungo 3 chilometri (per un confronto: un campo da calcio standard tipo serie A ha una superficie media di circa 0,7 ettari)
  • 40 i chilometri dell’acquedotto che alimenta il parco, le fontane e le cascate
  • 230 i dipendenti della Reggia
  • 70.000 gli euro donati da Tom Cruise, il divo di Hollywood che qui ha girato alcune scene del suo Mission Impossibible 3, per il restauro delle originarie scenografie del teatro di corte (l’ultima diva che da Hollywood è arrivata a illuminare la Reggia è Penelope Cruz, quest’anno testimonial per Carpisa)
  • 80 le opere degli artisti nella mostra permanente Terrae Motus
  • 400 i fogli di disegni della famiglia Vanvitelli, fondatore della dinastia Gaspard, figlio Luigi e il nipote Carlo)
  • 7.201 i volumi della biblioteca, con molte cinquecentine ed edizioni bodoniane

INFO UTILI

ANCORA UN MOMENTO, PREGO

Reggia di Caserta collection:

il monumento ora fa moda

di Lidia Luberto

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Presentazione di una borsa della collezione Reggia di Caserta, firmata Vodivi.

Tra le novità del 2016 ce n’è una che dovrebbe allertare tutti coloro che guardano con fiducia alla crescente economia della bellezza e del Made in Italy. La Reggia di Caserta diventa un marchio per prodotti alla moda: è questo il risultato dell’accordo sottoscritto fra il direttore della Reggia, Mauro Felicori, e Luciano Lauteri, presidente della casa di moda Vodivì srl di Spoleto che sta producendo una collezione di pelletterie ispirata alle ricche e preziose testimonianze artistiche del monumento vanvitelliano. La collezione sarà composta da borse e accessori (portafogli, porta iPad e altri oggetti di interesse) realizzati con materiali ecosostenibili e rispettosi dell’ambiente come pelle conciata al vegetale, canapa, tinture naturali, e metallo nichel free, che riprenderanno la facciata del Palazzo reale o altro elemento caratteristico della Reggia.

Il progetto è stato denominato «Reggia Collection», partendo dal complesso vanvitelliano, potrà estendersi, secondo quanto hanno riferito i promotori dell’iniziativa al quotidiano di Napoli Il Mattino, «ad altri luoghi d’arte per rafforzare il legame tra l’apparato imprenditoriale e produttivo con l’eccezionale tradizione artistica e culturale del Paese, rappresentando, nel contempo, un’occasione di promozione e supporto economico per i grandi musei statali dotati di autonomia finanziaria dalla riforma Franceschini». L’intesa nasce, infatti, per avvicinare la rete museale nazionale a produzioni di artigianato Made in Italy di alta qualità, in grado di raccontare a un pubblico internazionale l’arte e la cultura italiana attraverso accessori di moda. Le borse e i prodotti «Reggia Collection» saranno distribuiti nei gift shop del Museo in un apposito spazio espositivo e dalla rete commerciale (anche on line) di Vodivì che destinerà alla Reggia di Caserta una donazione pari al 5% del venduto.

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