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E se provassimo davvero a investire sulla cultura? Senza chiacchiere, senza la melassa retorica della cultura che è il nostro petrolio e che Paese straordinario è l’Italia e bla-bla-bla. Ripartendo dai fondamentali, musei archivi biblioteche e teatri funzionanti da quei basici servizi pubblici che sono, ma mettendo sul piatto un po’ di risorse, e magari usandole bene. Perché il problema italiano non è che mancano solo i soldi: mancano soprattutto le idee.
Due vicende di questi giorni nella Pianura Padana profonda danno ampia materia di riflessione. Uno è il gran successo della mostra, a Ferrara, per i cinquecento anni dell’Orlando furioso, questo capolavoro dei capolavori che ha portato davvero la fantasia al potere e l’uomo sulla Luna molto prima dei sessantottini e dell’Apollo 11. La mostra su quello che vedeva Ludovico Ariosto quando scriveva il gran poema, i quadri gli arazzi e le armi e le carte geografiche del Rinascimento più chic, risulta affascinante, non troppi pezzi ma tutti di gusto squisito almeno quanto il locale pasticcio di maccheroni (piatto del resto rinascimentale, quindi del tutto compatibile). Successo clamoroso, con code per entrare anche adesso, più di 80 mila visite già prima di Natale e la chiusura prorogata a furor di botteghino di tre settimane, dall’8 al 29 gennaio.
Poi uno fa un po’ di strada (ferrata, e qui magari c’è ancora del lavoro da fare) e si sposta dall’altra parte del trattino, dall’Emilia alla Romagna, a Lugo, provincia di Ravenna, 32 mila abitanti. Dove un sindaco giovane, Davide Ranalli, ha fatto quello che sarebbe logico fare fosse fatto in tutta Italia e invece non si fa: ha raddoppiato il bilancio per la cultura. E, fra le altre cose, si è inventato un festival di musica barocca, Purtimiro (non è un rebus, è l’incipit del duetto finale dell’Incoronazione di Poppea di Monteverdi, o di chi per lui, tuttora dopo 374 anni il brano musicale più erotico mai scritto), partendo dal presupposto che se attualmente il barocco strapiace in tutto il mondo non si capisce perché non debba piacere in Italia. Non è che abbia spostato delle folle da concerto rock, ma un po’ di gente sì, e probabilmente con disponibilità di spesa maggiore. E forse chi prima non sapeva neanche che Lugo esistesse o non l’avrebbe saputa collocare su una carta geografica adesso l’ha scoperta (è anche una cittadina carica, per inciso).
Sono due esempi, non a caso entrambi di provincia. Ma proprio la provincia italiana dovrebbe essere la prima a scommettere sulla sua storia, le sue bellezze, l’incredibile varietà e ricchezza della sua architettura, della sua musica, della sua arte, del suo artigianato, del suo cibo, dei suoi musei. L’Italia è un paese di piccole capitali una più incredibile dell’altra, un paradosso vivente fatta di città da niente dove si è fatta la storia culturale del mondo. Pensate a Ferrara, appunto, oppure Urbino o Mantova o Siena o a quel che vi pare, l’elenco è lunghissimo. Non si tratta di spendere o di spandere, ma di investire. Con ritorni garantiti: nel presente, di un maggior indotto turistico; nel futuro, di un maggior indotto di civiltà. Gli Este di certo non ci avranno mai pensato, ma se oggi la gente si mette in fila fiori da Palazzo dei Diamanti è perché loro compravano i quadri giusti e passavano uno stipendio a messer Ludovico. Non ci vuole Einstein per capirlo. Da sempre, la cultura è l’affare migliore che esista. •
Cosa vedeva Ariosto, chiudendo gli occhi, quando si accingeva a raccontare una battaglia, un duello di cavalieri o il compimento di un prodigioso incantesimo? Quali libri e quali opere d’arte furono le muse del suo immaginario?
Dall’universo delle battaglie all’evocazione di un’elegante vita cortese, dalla fascinazione per i viaggi alle immagini di condottieri reali e leggendari, oltre ottanta opere, tra cui diversi capolavori del Rinascimento, sono riunite a Palazzo dei Diamanti, fino al 29 gennaio 2017, per dare vita ad un appuntamento irripetibile che rievoca il fantastico mondo cavalleresco di Orlando e dei paladini.