Circondato da carte, libri, fotografie, pipe e foglie di the, nel suo ufficio di via Solferino 28 Pier Luigi Vercesi ci aveva raccontato la storia di Ralph, Raffaele Minichiello, in anteprima. Ancora in fase di scrittura, Il marine stava prendendo forma durante il (poco) tempo libero dell’allora direttore di Sette (lo storico magazine del Corriere della Sera) dopo che un servizio di copertina sui quarant’anni dalla fine della guerra in Vietnam, firmato da me e dalla collega Lucia Esther Maruzzelli dall’Asia*, aveva attirato l’attenzione del protagonista di una delle vicende di cronaca internazionale più incredibile degli ultimi 50 anni. “Piacere, mi chiamo Raffaele Minichiello, lei mi conosce?”, si era presentato a Vercesi l’oggi sessantenne Minichiello durante un convegno a Roma. Era l’inizio.
Fuggito dall’Irpinia terremotata
È solo l’inizio di una storia che, nel giro di un paio di battute d’agenzia, il 31 ottobre 1969 si fece rapidamente Storia: il giovane soldato immigrato che sfida l’istituzione militare, il governo degli Stati Uniti e l’FBI guidata da John E. Hoover in persona. Da solo, senza un vero piano, con la sua carabina che puzza ancora di Vietnam, di morte scampata per un nulla e di promesse mancate. Un ragazzo di vent’anni, nato in Irpinia e fuggito dalla miseria del dopo terremoto troppo tardi per diventare del tutto americano, troppo presto per considerarsi ancora italiano, passa nel giro di poche ore da essere un simbolo dell’eroismo di guerra a portare alta grazie ai media – e suo malgrado – la bandiera di tutte le rivoluzioni in corso in quegli anni nel mondo occidentale.
La regola del “meno è di più”
Con la sostanza di cui sono fatti i sogni infranti, Vercesi riplasma l’avventura di Minichiello in un libro da divorare fino alla fine, tra colpi di scena e sentimenti interrotti. La scrittura de Il marine è pulita, leggera, da soggetto cinematografico. Applicando la regola del less is more, Vercesi non si preoccupa di ornare le circostanze di cronaca e si comporta da perfetto inviato nella storia. Con una sola eccezione: i dialoghi. I dialoghi tra Minichiello, il capitano Cook del volo dirottato Tracey, la hostess che sceglie di rimanere a bordo fino alla fine, hanno la grazia e la precisione di una nave in bottiglia. Trasmettono senza sforzo il senso di utopia, depressurizzato dentro la carlinga del TWA otto-cinque, che attraversava in quegli anni le rivolte studentesche. Insieme al bisogno di dialogo con la generazione precedente, quella dei padri, piegata alla propaganda nazionalistica e ai sacrifici della ricostruzione economica.
Assolutamente da leggere. Possibilmente in volo.
A PROPOSITO
Curatevi con i libri
“Ci sono volumi che ti cambiano la vita”, dicono
i “biblioterapeuti” della School of life di Londra
testo di Martín Caparrós / Internazionale.it*
La cifra mi è arrivata in testa e mi ha fatto quasi male: il mondo produce un nuovo libro – un nuovo titolo, migliaia di copie per ogni nuovo titolo – ogni quindici secondi. Sono più di due milioni di titoli all’anno: se immaginiamo una tiratura media di duemila copie, sono quattro miliardi di volumi che inondano ogni anno il pianeta, alberi che cadono a cascata, una pioggia di libri peggiore del peggiore dei diluvi, uno tsunami di libri. Era ovviamente una ragione più che sufficiente per convincermi a non scrivere mai più. Eppure.
Tutti cadiamo nella trappola-libro: il libro è un marchio prestigioso. Pur essendo così tanti e diversi, la categoria libro ha la stessa reputazione per tutti: pensiamo al libro e pensiamo a un oggetto rispettabile, depositario dei saperi di cui il mondo ha bisogno.
Le categorie sono scaltre: pensiamo al libro e diamo a tutti il prestigio che meritano in pochi. Cadiamo facilmente nella tentazione di supporre che il primo Don Chisciotte e l’ultimo Masterchef abbiano qualcosa in comune, perché entrambi macchiano un fascio di fogli uniti da una costa.
E chi li produce, ci mancherebbe altro, fa leva su questa confusione: chiede condizioni speciali, tasse più basse, privilegi che sarebbero giustificati dal prestigio dell’oggetto libro. Rivendicano l’importanza culturale delle elucubrazioni di Mariló Montero o Paulo Coelho, difendono il peso sociale dell’Orticoltore autosufficiente o del Manuale pratico per parlare con i morti.
Ma ci sono libri che ti cambiano la vita. Almeno così dicono i “biblioterapeuti” della School of life, un’istituzione diretta a Londra dal filosofante autore di best seller Alain de Botton. Dice la sua presentazione:
Loro vogliono guidarti e per cominciare ti spiegano i vantaggi dei libri. Per me, che non ho mai saputo perché leggevo o scrivevo, è stata una rivelazione dietro l’altra, o quasi.
Leggere sembra una perdita di tempo, ma in realtà è un enorme risparmio, perché ti presenta un ventaglio di fatti ed emozioni che impiegheresti anni o secoli a vivere.
Leggere è come entrare in un simulatore di vita che ti porta a testare senza correre rischi ogni tipo di situazione, per poi decidere cosa ti conviene di più.
Leggere ti fa capire magicamente come vedono le cose gli altri e ti mostra le conseguenze delle tue azioni, rendendoti, dicono loro, una persona migliore.
Leggere ti fa sentire meno solo, perché ti fa capire che quei tuoi strani pensieri li hanno avuti anche altri, che hanno saputo metterli per iscritto con parole che ti descrivono ancora meglio di quanto tu riusciresti a fare.
Leggere ti prepara a ciò che la crudeltà del mondo moderno definisce “fallimento”, mostrandoti la falsità e la banalità di ciò che questo mondo chiama “successo”. Perciò, dicono, non bisogna trattare la lettura come un intrattenimento, un passatempo da spiaggia, ma come uno strumento per vivere e morire con più senso e più saggezza. Insomma: una terapia.
La biblioterapia, la loro creazione, consiste nell’intervistare il “paziente”, ascoltare i suoi problemi, i suoi gusti, le sue esperienze di lettura e consigliargli i tre o quattro libri che possono aiutarlo di più. Ogni appuntamento costa solo 110 dollari, cinque o sei tomi. Non ci sono ancora studi sull’efficacia della terapia: per adesso si sa che l’invenzione è arrivata fino in Francia, e minaccia di oltrepassare i Pirenei.
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