L’attuale Pontefice ha annunciato che dal 2 marzo 2020 sarà aperto agli studiosi l’archivio segreto di Pio XII, il papa che durante la Seconda guerra mondiale non pronunciò un pubblico intervento contro lo sterminio degli ebrei. Non lo volle fare o prevalsero altri timori nella sua scelta del silenzio? Questa seconda ipotesi era affiorata nel corso di una mia esclusiva inchiesta fatta a Cracovia per Oggi nel 2000, quando scoprii la verità nascosta dietro i silenzi di Pio XII: il cardinale Sapieha salvò Wojtyla, futuro Giovanni Paolo II, bruciando l’enciclica anti-Hitler. Rileggiamo quel mio testo su quegli storici giorni
Cracovia (Polonia) –
Pio XII, su cui pesa l’accusa di aver taciuto di fronte al nazismo, scrisse, invece, un’enciclica contro gli orrori dell’Olocausto e del regime hitleriano, ma monsignor Adam Stefan Sapieha, allora arcivescovo di Cracovia (occupata dai nazisti), la bruciò.
Sapieha, principe e prelato polacco, agì come una mano divina, in quel terribile 1942: non solo zittì un Papa, per evitare ritorsioni al suo Paese, ma ne scoprì un altro. Fu lui a intuire le doti del giovane attore cattolico Karol Wojtyla, lui a salvarlo dalle retate naziste contro la Resistenza, lui a indurlo a farsi prete e a entrare nel seminario clandestino.
Ed è stata proprio la rivisitazione di questa negletta pagina della biografia di Giovanni Paolo II, che ha portato chi vi scrive, cronista di Oggi, alla scoperta che obbligherà a riscrivere la vicenda del presunto “silenzio” di Pio XII sull’Olocausto.
È un episodio, sconosciuto ai più, che il cardinale ravennate Ersilio Tonini riporta a galla. È lui che, a proposito del comportamento di Pio XII nei confronti delle atrocità naziste (vedasi anche il recente volume I dilemmi e i silenzi di Pio XII, di Giovanni Miccoli, Rizzoli), mi spiega:
Rimproverano a Pio XII di aver taciuto per viltà. Ma non è così. Quando si è trattato di alzare la voce, il Papa non ha avuto paura. Ha condannato l’invasione del Belgio da parte di Hitler, definendola un delitto contro ogni diritto umano e divino. A Roma ha ordinato che tutti gli edifici di proprietà del Vaticano ospitassero quanti più ebrei e perseguitati politici possibile. Ha disposto che le università pontificie accogliessero gli studenti ebrei, cui la legge fascista aveva impedito di proseguire gli studi. Non solo. Pio XII si era occupato anche delle persecuzioni naziste in Polonia.
Durante la Seconda guerra mondiale un sacerdote mio compagno di studi, monsignor Quirino Paganuzzi, fu nominato cappellano del Sovrano Militare Ordine di Malta. Ebbe il compito di accompagnare il treno di aiuti diretti in Polonia. In una di quelle occasioni, Pio XII gli chiese di consegnare un messaggio a monsignor Sapieha. Intendeva infatti denunciare i crimini che si stavano compiendo, e voleva un parere dell’episcopato polacco. Fu Sapieha a scongiurare il Santo Padre di non fare nulla: il popolo polacco avrebbe pagato cara, in termini di ritorsione, quella denuncia così coraggiosa.
Su questo episodio centrale della Seconda guerra mondiale ho rintracciato un’altra, decisiva testimonianza nello scritto di un affermato storico della Chiesa e sacerdote paolino, Rosario F. Esposito, autore del libro Processo al Vicario (Ed. Saie, Torino) e collaboratore del mensile Vita pastorale.
Ecco che cosa racconta don Esposito in quel volume del ’65 e mi conferma oggi nel suo studio romano, presso la Casa generalizia della Società San Paolo nel quartiere Portuense: a Cracovia, nel pomeriggio del 14 agosto del 1942, il cappellano militare sulla piazza di Cracovia, Josef Kaul, arruolato nella Wehrmacht (l’esercito tedesco), prelevò monsignor Quirino Paganuzzi (nato nel 1914 a Varsi, diocesi di Piacenza, compagno di classe e ordinato sacerdote con monsignor Tonini, il 18 aprile 1937, per anni operante nell’ufficio del Maestro di Camera del Pontefice e come ambasciatore per missioni segrete nei Paesi occupati dall’Asse). Dalla stazione di Cracovia, con un’auto militare, Kaul accompagnò l’ospite al palazzo arcivescovile, posto dirimpetto al comando delle SS: “Sei metri separavano i due portoni, e io avevo già sperimentato l’agitarsi di quegli inflessibili uomini davanti alla casa dell’arcivescovo”, scriverà poi monsignor Paganuzzi, in un diario del ’70, quattro anni prima della sua morte, e ripubblicato recentemente da 30 giorni, il mensile diretto da Giulio Andreotti.
Quello che avviene in quei minuti decisivi coincide nel racconto sia di Kaul sia di Paganuzzi. Leggiamo il primo:
Monsignor Paganuzzi conferma per iscritto la sua versione:
Sapieha aprì i plichi, li lesse, li commentò con la sua simpatica voce. Poi aprì lo sportello della stufa murale, appiccò il fuoco e vi gettò quella corrispondenza… Infine, per giustificarsi davanti alla mia faccia attonita, mi disse: ‘Ringrazio tanto il Santo Padre… Caro monsignore, nessuno più di noi polacchi è grato per l’interessamento del Papa per noi. Non occorre però una dimostrazione esterna dell’amore e dell’interessamento del Papa per i nostri guai, quando ciò non serve che ad aumentarli. Questo, monsignore, è proprio il caso’.
“Vuol dire, eccellenza, che sono stato troppo azzardato, incosciente?”, domandai.
“Non lo sarò, però, io, caro monsignore”, rispose Sapieha. “Ma non sa che se io do pubblicità a queste cose e se me le trovano in casa non bastano tutte le teste dei polacchi per la rappresaglia che il gauleiter nazista Franck ordinerà? Via, via, monsignore, meglio non parlarne. Altro che ebrei… Qui ci ammazzano tutti. Con quale utilità andiamo a dire una cosa che tutti sanno? Ma è naturale che il Papa è con noi… ma perché dire il compianto e la condanna del Papa, se serve ad aumentare i nostri guai?”.
L’arcivescovo Sapieha così descrisse poi all’attonito prelato vaticano l’apocalittico spettacolo che il ghetto di Cracovia presentava:
In quello stesso periodo gli efficaci servizi informativi delle SS a Cracovia avevano elaborato la mappa dell’intellighentia cittadina da decapitare, a cominciare proprio da Wojtyla, che doveva essere preso nella sua casa-teatro clandestino in via Tyniecka 10. Io stesso, nell’archivio del teatro Stary di Cracovia, ho scoperto una mappa della Gestapo in cui è segnato quell’appartamento come covo di oppositori e in cui figura il nome di Karol Wojtyla. Ma il futuro Papa, rispondendo alla chiamata di monsignor Sapieha, entra con altri sei seminaristi clandestini nel palazzo dell’arcivescovado, sotto la protezione del potente arcivescovo, e vi rimane sino alla fine della guerra. Consacrandosi definitivamente alla Chiesa. Inutile, oggi, cercare in Vaticano il testo di quell’enciclica. L’archivio relativo a Pio XII sarà consultabile solo tra qualche decina d’anni.
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