Nel mare di celebrazioni per i cento anni della teoria della relatività (l’equazione più celebre del mondo presentata il 25 novembre 1915 all’Accademia Prussiana delle Scienze) un cronista sempreverde, il genovese Camillo Arcuri, ha il merito di presentarci, in un rigoroso libro-inchiesta (“Il sangue degli Einstein italiani”) edito da Mursia, un capitolo sconosciuto della vita del grande scienziato: la strage dei suoi famigliari avvenuta nell’agosto 1944 a Rignano sull’Arno, il paese di Matteo Renzi. Arricchiscono la recensione due contributi personali sul mancato arrivo di Albert Einstein in Italia come docente universitario, avversato da Mussolini in persona, e, nei prossimi giorni, un epistolario tra il Premio Nobel da Princeton (“Salvi l’Italia”) e Benedetto Croce di stanza a Sorrento. Buona lettura. (s.g.)

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La copertina del libro di Camillo Arcuri Il sangue degli Einstein italiani (Mursia, 156 pagine, euro 14) mostra i coniugi Nina Mazzetti e Robert Einstein (foto, anche in apertura, di Ribes Sappa, © Archivio Mazzetti).

L’armadio della vergogna e Albert Einstein. La vita del genio del ventesimo secolo ha incrociato uno dei capitoli più neri della storia italiana. È la cronaca di un eccidio rimasto senza giustizia, coperto da insabbiamenti raccontati in un libro: “Il sangue degli Einstein italiani” di Camillo Arcuri (Mursia). Un episodio avvenuto a Rignano, il paese di strong>Matteo Renzi, proprio in una notte di inizio agosto, come queste.

Settantuno anni fa, abbastanza per dimenticare. O, finalmente, per ricordare. La famiglia di Robert Einstein, certo, ma anche quelle vittime del nazifascismo che, come svela Arcuri, furono lasciate senza giustizia per non umiliare la Germania e per coprire i criminali che poi passarono a servire gli alleati.

Per raccontare questa storia si può partire da uno degli ultimi capitoli. Il carteggio desecretato e riportato da Arcuri tra il ministro degli Esteri di allora, Gaetano Martino, e il ministro della Difesa, Paolo Emilio Taviani: “Le prove raccolte già a partire dall’autunno 1944 dalle autorità militari americane e inglesi – scrivevano testualmente, si era tra il 1953 e il 1954 – non sono state prese in considerazione dalle Autorità di Roma per un riguardo politico nei confronti della Germania, entrata nella Nato nel 1955”. Insabbiamento, nella migliore tradizione italiana. Dopo l’apertura “dell’armadio della vergogna” molti processi furono celebrati, ma restarono senza verità decine di stragi compiute dai tedeschi, soprattutto all’estero. Cefalonia, prima di tutte.

Così nessuno saprà mai chi ha ucciso la moglie e le figlie del cugino di Einstein. Punite per compiere la vendetta di Hitler contro il genio che oltre a intuire i segreti della relatività e dell’atomo aveva anche capito in tempo la crudeltà del nazismo.

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Albert Einstein (Ulm, Germania 1879 – Princeton, Stati Uniti, 1955). Premio Nobel per la fisica nel 1921.

Albert Einstein ha vissuto in Italia, tra Pavia e Milano. Suo padre e il fratello erano soci. Poi la piaga dell’antisemitismo contagiò l’Italia. E le sorti di Albert e di suo cugino Robert si separarono. Albert non trovò posto in Italia, addirittura si narra del suo tentativo di diventare ricercatore universitario bocciato da Benito Mussolini in persona (la ricostruzione di quella pagina di biografia è nel mio testo che segue, Ndr).

Fu la salvezza. Ma Robert rimase. Si dedicò a un podere, l’unica attività concessa agli ebrei; si rifugiò nel paese alle porte di Firenze dove condivideva la sua villa con un comando tedesco.

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Camillo Arcuri, giornalista, dopo aver lavorato in alcuni quotidiani genovesi, tra cui il Corriere Mercantile e il Secolo XIX, è stato inviato speciale a Il Giorno e al Corriere della Sera. È stato a lungo collaboratore dell’Espresso. Tra i suoi libri: La trasparenza invisibile, Colpo di Stato e Sragione di Stato e, con l’editore Mursia, L’altro fronte del porto.

Era l’inizio di agosto 1944. Gli anglo-americani stavano risalendo la penisola, i tedeschi si erano ritirati da poche ore. Ma Robert capì che non poteva ritenersi ancora al sicuro: si rifugiò nei boschi, sperando così di mettere al sicuro se stesso, ma soprattutto la moglie Nina (56 anni) e le figlie Luce (26) e Ciccì (18). Non avevano motivo di temere, non erano ebree, ma valdesi.

Ma la colpa degli Einstein era un’altra: essere parenti dell’odiatissimo genio. Per ossequio al Fuhrer dovevano essere uccisi. Il 3 agosto a Rignano si respirava un’aria sospesa tra terrore e speranza: i tedeschi erano partiti, gli alleati ancora non c’erano. In quel silenzio nella villa della famiglia piombò un manipolo di nazisti. SS, Gestapo o carristi, non lo sapremo mai. “Qui famiglia Einstein?”, fu la prima domanda. Poi la rabbia esplose con la scoperta che il capofamiglia era fuggito. Ma non poteva essere lontano. Nina, la moglie, fu condotta dietro la casa, fu costretta a urlare, a chiamare il marito per farlo uscire dai boschi. Robert sentiva tutto, cercò di arrendersi, ma fu trattenuto a forza da altri fuggitivi che temevano di essere scoperti.

Così i nazisti si sfogarono su tutto quello che portava il nome di Einstein: la moglie, le figlie, tutte uccise a colpi di mitra. Poi la casa, devastata, data alle fiamme. Non rimase niente, nemmeno la pietà: il parroco si rifiutò di benedire le salme delle vittime.

Il mattino dopo Robert uscì dal bosco, impazzito dal dolore: “Sono io Einstein, uccidete me”, urlava agli ultimi tedeschi che se ne andavano. Ma non trovò nessuno che lo uccidesse. Si suicidò un anno dopo: il 13 luglio del 1945, il suo anniversario di matrimonio. Si era accorto che nessuno avrebbe pagato per quel massacro.

Aveva ragione. Poi, come ricostruisce Arcuri nel suo importante libro, arrivarono l’armadio della vergogna, la commissione parlamentare. Fino al 2008 quando la Procura militare della Spezia tentò un processo, anche con la collaborazione di Valdo Spini. Impossibile trovare risposte. L’unica cosa che si sa è che i colpevoli avevano una divisa nera, come le truppe scelte di Hitler.

Archiviazione “essendo rimasti ignoti gli autori dell’omicidio plurimo” è scritto oggi sul fascicolo. Per “riguardo” alla Germania. È accaduto per l’eccidio della famiglia Einstein e per altri episodi che nulla avevano a che fare con la guerra. Settantuno anni fa, una notte come queste.

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* Ferruccio Sansa è nato nel 1968 e vive a Genova. Dopo gli esordi con Airone ha lavorato per il Messaggero, Repubblica, Il Secolo XIX e La Stampa. Oggi è inviato del Fatto Quotidiano (ha curato per anni l’edizione del lunedì), sulle cui pagine ha pubblicato la recensione. Ha collaborato con Micromega, Geo e The Guardian. Con Luigi Offeddu, per la Rizzoli, ha pubblicato i volumi di inchiesta Ragazzi di Satana e Milano da morire. Con Marco Preve e altri colleghi ha scritto per Chiarelettere Il partito del cemento e La colata. Con Claudio Gatti è autore de Il sottobosco (Chiarelettere). È autore del libro di racconti Se ci fossimo parlati (De Ferrari Editore, premio Teramo 2001) e di un racconto apparso nell’antologia Undici scrittori per Genova (Einaudi).

 

A PROPOSITO

Quando Mussolini mise il veto a Einstein professore in Italia

testo di Salvatore Giannella

1921, Bologna: il matematico Federigo Enriques, fondatore della scuola italiana di geometria algebrica e docente all’Università di Bologna, scopre di avere in banca 300 lire. È il resto di un fondo utilizzato dieci anni prima per un congresso di filosofi. Che farne? Gli viene un’idea: invitare a Bologna Albert Einstein, già famoso per la sua teoria della relatività presentata sei anni prima, per un ciclo di conferenze. Einstein accetta ben volentieri: ha trascorso molti anni della sua adolescenza in Italia (a Milano, Pavia, Genova e nel Veneto) e tiene i suoi interventi il 19, 20 e 21 ottobre all’Archiginnasio. Lo accompagna il figlio Edward, di 15 anni.

Le conferenze sono un successo: Einstein parla in italiano, anche se non perfettamente (per esempio esordisce con un “grazie per il vostro accoglio” invece di accoglienza), ma quanto basta per essere compreso. Nasce una grande amicizia tra Einstein ed Enriques. Due anni dopo, quando il vento dell’antisemitismo comincia a soffiare in Germania, Enriques (anch’egli ebreo) invita Einstein, per lettera, a venire a insegnare in Italia. Ma la risposta non è positiva:

… con profondo sentimento di riconoscenza e simpatia per Lei e per l’Italia profondamente amata, oggi non mi è consentito di accettare la Sua amichevole proposta. Tuttavia, se per un aggravarsi della situazione io dovessi essere costretto in futuro ad abbandonare il mio attuale nido, senz’altro con gioia e fiducia mi rivolgerei a Voi.

Questa ricostruzione (supportata da documenti) è stata possibile grazie alla testimonianza da me raccolta tempo fa dalla viva voce della figlia di Enriques, Adriana, zia a sua volta di Lorenzo e Federico, attuali editori della Zanichelli.

Passano gli anni, arriva il 1933 e il vento dell’antisemitismo è ormai diventato una bufera. Einstein, additato come simbolo della “fisica giudaica”, è costretto a lasciare la Germania di Hitler. Enriques è in ansia per il suo celebre amico. Ripensa all’offerta di una cattedra al premio Nobel. Ma il Duce dice no: Einstein è un sionista (cioè sogna la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina).

Einstein, sfumata la via dell’amata Italia, emigra in America, all’Università di Princeton: dice

Fintanto che avrò la possibilità di scegliere, vivrò soltanto nei Paesi dove le libertà civiche, la tolleranza e l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge sono rispettate.

In America diventa simbolo dell’opposizione al nazismo. Ama ripetere:

Hitler? Vive sulla pancia vuota della Germania. Non appena le condizioni del Paese miglioreranno, Hitler finirà di essere un personaggio importante.

In questo quadro si inserisce il finale tragico di Rignano sull’Arno, con il massacro dei parenti dello scienziato da parte dei nazisti, all’epoca sintetizzato in un mio articolo per Oggi del 23.6.2000 (“Il Duce non volle Einstein, Hitler gli massacrò i parenti” *) e magistralmente ricostruito da Arcuri, uno dei giganti sulle cui spalle mi sono inerpicato per scrutare il mio futuro di giornalista, nel libro prima presentato. Io chiudevo: “Come reagì Einstein di fronte a queste atrocità naziste e allo sgarbo del Duce italiano? Per la prima domanda parla da sé l’adesione di un pacifista come lui all’uso della bomba atomica per sconfiggere la dittatura di un Hitler che già proclamava che il Terzo Reich avrebbe conosciuto il millennio trionfale: “Tra due mali, la bomba e il nazismo che stava per conquistare il mondo, bisogna scegliere il male minore”, disse.

Per la seconda, fa luce una lettera indirizzata da Einstein a un’amica di famiglia, Ernestina Marangoni. È datata 16 agosto 1946. La guerra è finita da poco:

Cara Ernestina,

fui felice di vedere dopo tanti anni una lettera Sua e che anni! Sono anche felice di sentire che tutti gli amici Casteggiani siano incolumi.

Il caro Mussolini, come onestamente meritato…

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Mai, nella sua vita, Albert Einstein, l’uomo più conciliante del mondo, è stato così pungente.

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PS: In quello stesso numero di Oggi arricchivo la mia inchiesta con un riquadro dedicato a un importante epistolario riportato a galla E Albert Einstein scriveva a Benedetto Croce: “Salvi l’Italia”.

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato documentari per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).