Due giornaliste socie del Foreign Correspondents’ Club (mia figlia Valentina e la collega Lucia Maruzzelli) mi invitano in quell’edificio storico nel cuore di Hong Kong, forse il più famoso club per giornalisti del mondo (qui lavorò per anni anche Tiziano Terzani). Una volta aperta la porta del 2 di Lower Albert Road, ti sembra di entrare in un altro secolo: foto storiche e prime pagine di quotidiani alle pareti ti fanno fare un passo indietro nel tempo ed è questa cornice che mi fa affiorare alle mente due ricordi relativi a due bravi colleghi giornalisti recentemente scomparsi senza fare rumore: l’82enne ex direttore del Corriere della Sera Piero Ostellino e il reporter di guerra Mimmo Càndito, 74 anni (del quale parlerò in un prossimo testo).
Ostellino lo incontravo non nella sua cornice abituale per quasi mezzo secolo di via Solferino 28 ma alla tavola rotonda del Cenacolo di Ottavio “Tai” Missoni, all’antico ristorante Boeucc nel cuore di Milano. Serate in cui erano protagonisti i ricordi che “grandi vecchi senza padrone” (copyright dello psicoterapeuta Fulvio Scaparro) consegnavano alle menti di altri commensali, arricchendole. Ci fu un tempo in cui mi capitò di raccogliere, con Missoni e il regista Ermanno Olmi, il ricordo di una notte che lui, Piero, non avrebbe dimenticato mai. Non ho mai pubblicato qualcosa su quei ricordi del Cenacolo ma credo di fare una cosa utile rendere nota quella originale testimonianza, arricchita da un ritaglio del Corriere che lui mi mandò successivamente, e che fece commentare a Olmi:
Pechino, interno notte
All’undicesimo piano del Peking Hotel, due ore dopo la mezzanotte (in Italia, per la differenza del fuso orario, erano le sette di sera) lo squillo del telefono sveglia Ostellino, corrispondente del Corriere. Dall’altro capo del telefono l’Europa si materializza nella voce della Radio della Svizzera italiana. “Il rituale è sempre lo stesso”, raccontò Ostellino.
“Stavi dormendo?”.
“Beh, sì”.
“Vuoi che ti richiamiamo tra mezz’ora?”.
“No, no, per carità, se no mi riaddormento. Facciamolo subito”.
Così io recitavo il mio commento “a braccio” e mi riaddormentavo subito dopo. Ma quella notte, fra il 17 e il 18 febbraio 1979, il commento che mi chiedevano era troppo impegnativo.
“Piero, la Cina ha attaccato il Vietnam. Si teme un intervento dell’Unione Sovietica che, come sai, è legata ad Hanoi da un patto di mutua assistenza”. Naturalmente, io dell’attacco non sapevo niente e, francamente, non me la sentivo di commentare così, “al buio”, era proprio il caso di dire, un fatto del genere. Sarebbe stato meglio sentirci più tardi.
Poi, a chiamare fu Ottavio Di Lorenzo, l’amico Tabo dei tempi dell’università torinese, che stava preparando il Tg1 delle otto. E, subito dopo, toccò al mio giornale. A tutti diedi la stessa risposta, (di)sperando di essere in grado di raccontare loro qualcosa in tempo utile.
A Pechino era difficile scovare una notizia di giorno, figuriamoci alle due di notte. Chiamò, invece, il Ministero degli Esteri cinese: «Le dobbiamo dare un comunicato, venga a prenderlo».
Pechino, esterno notte
Il cielo era terso, limpidissimo, l’aria frizzante. Il tassista puzzava tremendamente d’aglio. E io andavo al Ministero degli Esteri chiedendomi se sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale.
Ovviamente, non avevo la minima idea circa quello che avrei detto agli svizzeri e al Telegiornale italiano e scritto al mio giornale. Anche se qualcosa avrei pur dovuto dirla e scriverla. Ma non me ne preoccupavo più di tanto. Stavano venendo fuori tutti e tre i lati del mio carattere: quello freddo del torinese (di famiglia), quello disincantato del veneziano (per nascita), quello fatalistico del napoletano (dai trascorsi giovanili). Agli altri, di solito, in questi casi, sale la pressione. A me scende. Avrei letto il comunicato e avrei deciso. Di una sola cosa ero certo. Se avessi rivolto loro qualche domanda, i cinesi del ministero avrebbero risposto al solito modo: “Good question”, “buona domanda”. Per chiudersi, subito dopo, nel più assoluto silenzio…
No, l’intervento sovietico contro la Cina, a difesa del Vietnam, non ci sarebbe stato. La terza guerra mondiale era scongiurata. Almeno così a me pareva, leggendo e rileggendo lo scarno comunicato. Lo dissi alla Radio della Svizzera italiana, lo ripetei al Tg1 di “Tabo”, lo scrissi al mio giornale.
Ciò che, in sostanza, dice il governo cinese è questo. Primo: l’intervento militare ha una natura difensiva e un carattere limitato. È più un’azione di polizia che un’azione bellica. Secondo: la Cina non vuole la guerra con il Vietnam, ma vuole arrivare al più presto a una soluzione negoziata della crisi.
L’impressione che se ne ricava, qui a Pechino, è che le autorità cinesi abbiano attentamente valutato e calcolato tutti i rischi di un’azione militare contro il Vietnam e che siano giunte alla conclusione che, se accompagnata da una dichiarazione di principio in favore di una rapida apertura di negoziati tra le due parti, essa non avrebbe condotto né alla guerra né, quel che sarebbe stato peggio, a un intervento dell’Unione Sovietica. Almeno per il momento, c’è da presumere che il governo cinese abbia fatto bene i suoi conti.
Milano, interno mattina
Franco Di Bella, il direttore del Corriere, doveva essersi alzato presto la mattina dopo e, letti i giornali, doveva aver fatto un salto sulla sedia. “Piero, qui tutti dicono e scrivono che l’intervento sovietico ci sarà. Siamo i soli a dire il contrario. Ti ho sentito anche al telegiornale. O siamo i più furbi, o siamo i più fessi. Sei sicuro di quello che dici?”.
“Franco, sicuri non lo si è mai. A me, comunque, pare di esserlo”.
“Bene, hai intenzione di continuare così?”.
“Beh sì, se le cose non cambiano nei prossimi giorni”.
“Ok, almeno sii più prudente”.
Naturalmente telefonò anche mia moglie, che in quel momento era a Milano. “Piero, se lo dici tu che non ci sarà la guerra, io ti credo. Però qui tutti dicono il contrario. Anche gli amici si sentono rassicurati da quello che dici al Tg e scrivi sul Corriere. Posso stare tranquilla, allora?”.
“Sì, cara, stai tranquilla”. In certe circostanze pare che non si possa contare che sulla fiducia della propria moglie…
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