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Fabrizio Carbone con in mano un luì piccolo.

Vorrei insegnare geografia. Lo vorrei fare anche se non sono uno scienziato, un ricercatore, un laureato o un professore di questa materia, abolita nelle ultime classi dei licei senza motivo di sorta. O meglio: abolita per far dimenticare alle generazioni contemporanee l’odore del suolo della Terra, su cui poggiamo le nostre scarpe riempiendole di fango. Vorrei insegnare geografia ma non posso farlo, prima di tutto perché sono semplicemente un giornalista in pensione e un pittore marginale che ama vivere in direzione ostinata e contraria, come cantava Fabrizio De André. Sono solo innamorato della neve e del freddo e di quello che comunemente viene definito Grande Nord.

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Fabrizio spala la neve davanti alla sua casa finlandese.

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Aurora Boreale: disegno di Fabrizio Carbone.

Se la studiassimo, la geografia ci accompagnerebbe per mano in questo mondo artico pressoché ignoto, ritenuto lontano e pericolosamente difficile da vivere. Non voglio rivolgermi a chi avrà la bontà di leggere questo libro con fare saccente e altezzoso, quello di chi sa tutto e guarda gli altri dall’alto in basso. Al contrario, proprio perché so poco e ho baratri di vuoto dentro di me, voglio raccontare tante piccole storie che sottendono al mio grande amore per la Natura, quella con la N maiuscola, che è cosa diversa dall’«incontaminato» del villaggio vacanze.

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Uno degli ermellini della casa dei Due cieli.

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Gallo cedrone in parata.

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Astore ha predato una gazza in giardino: acquerello di Fabrizio Carbone.

La Natura come la intendono i grandi tra noi umani che ne hanno scritto la storia, da Carl Nilson Linnaeus a Charles Darwin, da Wilhelm Steller a John Muir, da Henry David Thoreau a Konrad Lorenz e a Jared Diamond. La Natura è laddove l’uomo è solo occasionalmente presente: vi entra sapendo che quello non è il suo regno, percorrendo un cammino da attento osservatore. I padroni di quello spazio, di quell’ecosistema, sono gli animali e le piante, la terra e l’acqua, da cui tutto nasce e ritorna. Vorrei che tutti noi aprissimo un atlante e lo sfogliassimo con attenzione, entrando nei particolari della Geografia, la scrittura della Terra: i fiumi, i mari, le penisole, le pianure, le montagne. Con calma, senza fretta. Questo vorrei fare oggi, esattamente come facevo da ragazzo, sognando sulla carta il modo di arrivare a toccare gli spazi aperti, lontani: percorrevo l’Africa equatoriale, con le sue foreste e savane a perdita d’occhio, e l’Amazzonia, immenso dedalo di fiumi. Ma poi andavo inesorabilmente in alto, verso la foresta dei bisonti a Bialowieza, in Polonia. E ancora più a Nord, nella Siberia sconfinata dove cadevano meteoriti ed erano sepolti i mammuth. Segnavo i luoghi con il dito: il grande lago degli Schiavi e il fiume Yellowknife nei Territori canadesi, il ghiacciaio Kangia in Groenlandia, il monte Saana nella Lapponia finlandese, sacro al popolo dei Sami.

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L’arrivo dei cigni selvatici a primavera: 4 adulti e un giovane di un anno.

Ero attratto dal bianco e dai luoghi che nelle carte geografiche non riportavano nomi di città popolose e note, ma settlements, bellissima parola inglese che significa avamposti. Arrivato al giornalismo per puro caso nel 1968, dopo aver anche partecipato, tre anni prima, a una missione archeologica in Egitto, iniziai peregrinazioni che mi portarono da New York al Vietnam, dal Botswana all’Amazzonia più selvaggia, quella del rio Manu, in Perù. La svolta, per trovare il luogo da sempre desiderato e in cui mettere radici che non avevo mai avuto, capitò per caso, come spesso accade. Erano i primi mesi del 1987. Lavoravo alla redazione romana del settimanale «Panorama», rivista che allora era di proprietà degli eredi di Arnoldo Mondadori, editori da sempre, illuminati al punto di regalare ai dipendenti giornalisti due mesi di sabbatico retribuito ogni cinque anni di anzianità aziendale. Allora mi trovai anch’io nella possibilità di usufruire di quel bonus, da usare come aggiornamento professionale. Combinazione volle che a quel tempo lavorasse a Roma, presso l’ambasciata di Finlandia di via Lisbona, Mikko Pyhala, diplomatico illustre oggi in pensione, che conoscevo soprattutto perché grande birdwatcher e massimo esperto di ornitologia. Con Mikko parlavamo di protezione e conservazione della Natura e di Finlandia, e di gravi calamità ambientali. Un anno prima, il 26 aprile 1986, era infatti esploso in piena notte il reattore 4 della centrale di Chernobyl, allora in Unione Sovietica, oggi in Ucraina. Si trattava del più grave disastro nucleare mai accaduto al mondo (poi seguì quello altrettanto drammatico della centrale giapponese di Fukushima). La nube tossica aveva fatto un bel giro per l’Europa, salendo e scendendo a seconda dei venti sciroccali o di tramontana. Dove era piovuto, il fallout aveva depositato scorie di radioattività pesantissime. In Svezia erano state abbattute migliaia e migliaia di renne, contaminate da iodio 132, cesio 134 e 137.

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Francolino di monte in giardino.

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Orso bruno europeo, fine settembre prima di andare in letargo.

E in Finlandia? Fu Mikko a spiegarmi che tutta la fascia su cui era passata la nube era stata monitorata e che esisteva una mappa in cui erano segnati i confini della radioattività. Fu sempre lui a propormi di visitare il suo paese, di cui sapevo cose mirabili. «Senza starci due mesi interi: basteranno quarantacinque giorni per capire la sostanza di una civiltà diversa dalla vostra e per ammirare una vita naturale particolarmente importante», mi disse. Ci volle poco per convincermi. Tramite il ministero degli Esteri finlandese, Mikko mi organizzò un Grand Tour di antica memoria, ma alla rovescia. Trovò una formula inedita: far risalire a Nord un viaggiatore mediterraneo, e condurlo per mano nei grandi spazi di una regione sconosciuta ai più, soprattutto tra coloro che la identificavano, così come molti fanno ancora, in un luogo sperduto, poco abitato freddo e buio. Nel giro di poche settimane ricevetti una lista di persone da incontrare e intervistare. Dovevo solo fissare le date. Presentai il mio «aggiornamento» all’allora direttore di «Panorama», Carlo Rognoni, divenuto in seguito vice presidente della Camera dei Deputati. Lui lo controfirmò senza obiezioni. Oltretutto sua moglie, Pirkko Peltonen, anche lei giornalista, era ed è una finlandese doc. Cominciai a far mente locale su quello che conoscevo della Finlandia: certamente l’architetto Alvar Aalto, il musicista Jean Sibelius e i designer Tapio Wirkkala e Timo Serpaneva, che spesso esponevano le loro creazioni alla Biennale di Milano. Poi i piloti di Formula Uno e di rally, i mitici atleti olimpionici di maratona e di lancio del giavellotto, e poco altro.

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Il fotografo Hannu Hautala, il più famoso della Finlandia, mostra la copertina del libro Kuusamon Taika (La magia di Kuusamo), opera collettiva dei 15 artisti di Ars et Natura, coordinati da Fabrizio Carbone, quale omaggio ai cento anni dell’indipendenza della Finlandia. Il nuovo libro di Fabrizio, in inglese e finlandese, 194 pagine illustrate, euro 35, può essere richiesto all’autore: f.carbone@libero.it

Molto invece sapevo della wilderness finnica: le alci, le renne semidomestiche (e le poche selvatiche), i grandi orsi bruni, i lupi, i misteriosi ghiottoni. L’elenco delle specie degli uccelli, negli anni seguenti, avrebbe riempito pagine e pagine di appunti. Sapevo dei tanti laghi e delle foreste che coprivano la maggior parte del territorio. Il Paese era tagliato dal Circolo polare artico: un terzo sopra e due terzi sotto. D’inverno il mare intorno a Helsinki ghiacciava e le temperature potevano raggiungere numeri impietosi, soprattutto al nord. 1987, dunque: quasi trent’anni fa. Decisi la data di partenza: primo maggio. È importante ricordare che allora esisteva ancora la CEE, la Comunità economica europea, alla quale avevano da poco aderito la Spagna e il Portogallo, portando a dodici il numero dei Paesi membri. La Finlandia ne era fuori e batteva una sua moneta: il marco. Nel biglietto verde da 100 splendevano, incisi su carta, due cigni selvatici in volo, il simbolo del Paese. Nella moneta da 5 spiccava un gallo cedrone in parata. Due viatici di tutto rispetto per chi sognava di incontrare, tra le altre, proprio quelle specie.

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La copertina de “La coda delle volpi”, il libro di Fabrizio Carbone dal quale è tratto questo testo.

Nei primi mesi di quell’anno erano accaduti fatti di cui ci siamo dimenticati e che in parte fanno ancora discutere: la Corte di Cassazione aveva definitivamente assolto per insufficienza di prove tutti gli imputati per la strage di Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969; la magistratura romana aveva spiccato mandato di cattura nei confronti dell’arcivescovo Paul Marcinkus, allora direttore dello IOR, che aveva evitato l’arresto restando chiuso nella Città del Vaticano; i turchi bombardavano i curdi, e un grave attentato dell’Eta aveva provocato morti a Barcellona. Ma io per un mese e mezzo avrei accantonato tutto questo, insieme al mio lavoro di redattore di «Panorama». Andavo a visitare quello che tutti hanno sempre chiamato il Grande Nord. Quel viaggio avrebbe cambiato la mia vita in modo sostanziale.

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Parco Nazionale di Riisitunturi: febbraio -30, gli alberi della taiga ricoperti dalla galaverna.

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Maschio di picchio nero.

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Patrizia Chiozza, moglie di Fabrizio e autrice delle fotografie.

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La casa rossa dei due cieli a fine inverno.

Fabrizio Carbone (Viterbo, 1942) vive tra Roma e Kuusamo. Giornalista oggi in pensione, ha lavorato al Resto del Carlino, alla Stampa e a Panorama. Protagonista dell’ambientalismo italiano, ha partecipato alla nascita del WWF, è stato consigliere nazionale di Legambiente, Lipu e WWF ed è tuttora responsabile di Greenpeace news. Documentarista televisivo, ha prodotto molti video di natura per la Rai Geo&Geo e Stella del Sud. Ha scritto libri di divulgazione scientifica, racconti, novelle. Ha vinto molti premi. Dipinge da sempre, è tra i fondatori del progetto Ars et Natura. Nel 2006 è stato nominato Cavaliere della Rosa Bianca di Finlandia. I suoi blog: “Il nostro Nord del mondo” e fabrizio-carbone.blogspot.com

A PROPOSITO

La geografia nel cuore: la Finlandia di Fabrizio

Navigo. Con il mio amico fotografo Nils Sunberg intorno all’Arkipelago, il più grande agglomerato di isole al mondo: 80 mila, minuscole come scogli di granito rosa e grandi come l’Elba.

Esploro. Con il mio amico Juha Taskinen l’immensità del Lago Saimaa, che ha uno sviluppo costiero pari al doppio delle coste italiane, in cerca degli esemplari che sopravvivono della foca degli anelli (Phoca hispida saimensis).

Discendo. In canoa, con mia moglie Patrizia e con tutti coloro che vogliono provare questa emozione, i 26 chilometri del fiume Oulanka che portano al confine russo.

Risalgo. I sentieri del parco nazionale di Riisitunturi per incontrare, con 25 gradi sottozero, i maghi e le streghe del Nord che nascondono le forme degli alberi della taiga artica e la rivestono di miliardi di cristalli di ghiaccio.

Osservo. Dal giardino della casa rossa dei Due Cieli, di fronte al grande lago Kitka, il formarsi delle scie luminose della Revontulet, la coda delle volpi, quella che noi chiamiamo Aurora Boreale.

Aspetto. Nascosto in un capannino mimetico del mio amico Tuomo Pirttimaa, alle pendici delle colline di Kumpuvaara, l’arrivo dell’orso bruno europeo, del ghiottone e, forse, del lupo, i mitici mammiferi del Grande Nord.

Dipingo. Dalle finestre della casa rossa dei Due Cieli, le meravigliose lepri variabili che, bianche come la neve fino alla fine dell’inverno artico, si avvicinano tranquille per mangiare i semi di aveva, predisposti per l’uso.

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ANCORA UN MOMENTO, PREGO/ LA FINLANDIA IN “VOGLIA DI CAMBIARE” (CHIARELETTERE, 2008)

Presidenti della Repubblica, ma senza le auto blu. Una pagina del mio diario attraverso l’Europa da imitare

testo di Salvatore Giannella

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“Voglia di cambiare: seguiamo l’esempio degli altri paesi europei” di Salvatore Giannella (Chiarelettere, 2008), pag. 222, euro 13,60. È possibile richiederlo all’autore tramite la mail salvatoregiannella@yahoo.it

Prima di ripartire per l’Italia, chiamo al telefono uno dei due bravi colleghi italiani che hanno nella Finlandia la loro seconda patria: Fabrizio Carbone (l’altro è Dino Satriano, già vicedirettore di «Oggi», pendolare tra la calura mediterranea della sua Basilicata e il freddo nordico del paese d’origine di sua moglie Ursula). Fabrizio è un giornalista romano attento alla natura e all’umanità, che si innamorò definitivamente della Finlandia quando lo inviai laggiù per scrivere un numero speciale di «Airone»: da allora vi torna frequentemente e vi trascorre lunghi periodi di ozio e studio. Lo rintraccio al Nord, più vicino al Circolo polare artico che al mio albergo a Helsinki. Gli racconto del mio viaggio e della mia ricerca. Dice che vuol contribuire al mosaico della «meglio Europa» con una sua piccola tessera. Sul video del mio computer portatile trovo il suo contributo. Eccolo.

Caro Salvatore, è la sera del 29 settembre. Domattina all’alba Patrizia e io partiamo dalla “casa rossa dei due cieli”, per tornare a Roma in macchina, insieme al nostro vecchio Mac (che non se la passa bene). Eravamo arrivati qui il 14 agosto. Il tempo come sempre è volato. Ed è stato fantastico poter vivere in questo luogo magico ancora una volta e per così tanto tempo. Ancora stasera, prima del buio, a due passi da casa c’erano due folti gruppi di galli forcelli giovani, quasi tutti maschi, che se ne volavano di betulla in betulla davanti alla nostra Kangoo. Ma non è di questo che ti volevo parlare, per una volta non di natura, non di animali. Volevo parlarti di democrazia, di senso di responsabilità collettivo, di civiltà, di società civile, di vita che ha valori e che ti spinge a far meglio, a vivere bene con gli altri e con te stesso. Volevo parlarti di Finlandia, per spiegarvi con un esempio semplicissimo il motivo di fondo della nostra scelta di trascorrere qui una buona parte dell’anno.

Sabato 24 settembre eravamo a Helsinki per festeggiare il sessantesimo compleanno del nostro amico ambasciatore Mikko Phyhala, amico da più di vent’anni, grande ornitologo, grande ambientalista doc. A parte il fatto che siamo stati ospiti in casa sua e che ci ha ceduto la camera da letto (la moglie, ha dormito in cucina dopo che erano tre giorni che cucinava per l’occasione), siamo andati insieme alla festa, organizzata a pagamento, nella vecchia sala delle riunioni del sindacato operaio di Helsinki degli anni Trenta (nel quartiere delle case di legno). Un luogo vasto e semplicissimo che si può affittare per ricevimenti. Erano presenti centoventi persone e tra queste due presidenti della Repubblica finlandese, compresa la signora Tarja Halonen, attualmente in carica. Bene, non c’era nessuna “auto blu”, nessuna macchina della polizia, nessuna scorta blindata, nessun controllo, nessuna lista di invitati da rispettare, nessun invito scritto (perché Mikko ha detto che era sbagliato consumare carta) ma solo telefonico o email.

Mikko mi ha presentato alla signora Halonen che mi ha calorosamente abbracciato (lei mi aveva insignito mesi fa del cavalierato della Rosa bianca di Finlandia) facendomi restare di sasso perché sapeva tutto di me… Ma ancora: erano presenti alti funzionari di governo e di Stato, professori universitari, musicisti, artisti, giornalisti di radio e televisione. Si è cantato e suonato: molti, così come vuole la tradizione scandinava, hanno parlato del festeggiato raccontando gli aneddoti più divertenti. Accanto a me il responsabile dei problemi ambientali del ministero degli Esteri, mi ha praticamente tradotto tutti gli interventi. La cena era a buffet e tutti in fila, presidenti compresi, abbiamo assaggiato i piatti cucinati dalla signora Phyhala che, nella vita, viaggia per il mondo per verificare il grado di democraticità delle elezioni che si svolgono in paesi chiamiamoli “in bilico”. Alla fine, il ricevimento si è concluso con calorose strette di mano e, io che non bevo, ho guidato l’auto di Mikko insieme alla moglie, a Patrizia e a un ospite di eccezione: Pak Sum Low, commissario dell’Onu a Bangkok per le questioni economiche e sociali di tutta l’Asia e il Pacifico e autore di Climate Change and Africa. Certo i finlandesi bevono, ma il punto è che dopo non guidano. Ogni auto ha il suo autista astemio o “astemio” per quella sera.

Dimenticavo: i due presidenti se ne sono tornati con la loro auto privata. Solo la signora Halonen aveva una guardia del corpo che, per tutta la festa, si è discretamente defilata in cucina. Tutti noi abbiamo partecipato allo sgombero della sala da tutto quello che era stato consumato e che, naturalmente, è stato diviso tra vetro, plastica, carta e resti di cibo per il compost. Noi che siamo tornati a casa di Mikko abbiamo caricato e scaricato tutti gli avanzi, le posate e i piatti, insomma tutto. Pak è stato forse tra i più attivi. Patrizia e io pensavamo di sognare e ne abbiamo parlato poi con Mikko, Pia (la moglie) e Pak, facendo le ore piccole. Abbiamo parlato di Democrazia reale, quella con la D maiuscola, quella che noi non sappiamo neppure da dove comincia”.

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