R come Rubbettino: la casa editrice fondata 50 anni fa da Rosario (foto) e Rosa amanti dei libri e della Calabria con il borgo di Soverìa Mannelli che, primo informatizzato in Italia, aspirava all’universalità
Festeggia il primo mezzo secolo di attività un’azienda creativa che volle dedicarsi alla comunità dei “restanti” nella regione tra i mari Jonio e Tirreno e che è diventato essa stessa simbolo virtuoso di “restanza”
W la Biblio-diversità
testo di Aurora Adorno¹ per Giannella Channel
R come Rubbettino: la casa editrice fondata 50 anni fa da Rosario (foto) e Rosa amanti dei libri e della Calabria con il borgo di Soverìa Mannelli che, primo informatizzato in Italia, aspirava all’universalità
Festeggia il primo mezzo secolo di attività un’azienda creativa che volle dedicarsi alla comunità dei “restanti” nella regione tra i mari Jonio e Tirreno e che è diventato essa stessa simbolo virtuoso di “restanza”
W la Biblio-diversità
testo di Aurora Adorno¹ per Giannella Channel
Alla fine degli anni’50 c’erano poche occasioni per un ragazzo intraprendente, soprattutto in un paese arroccato tra le nuvole serene del Mezzogiorno, ma lui non volle andarsene, «anzi», pensò, «perché non creare a Soveria le opportunità che mancano?»; figlio di un cantoniere dell’Anas e di una casalinga, divenne il direttore del giornalino della scuola e dopo la maturità iniziò subito a lavorare come segretario presso la scuola media. Vicino a lui da quando erano poco più che bambini, c’era sua moglie Rosa.
Emozionata racconta del suo Rosario, di quel giovane che un giorno, con la promessa di una gita romantica, la portò con sé proprio in una tipografia. Lei era nel fiore degli anni, era innamorata, e sperava che lui volesse sorprenderla ordinando le partecipazioni per il matrimonio, ma così non fu; rimase delusa, si arrabbiò un po’, fino a quando comprese che Rosario voleva condividere con lei il suo sogno: fondare una casa editrice.
Lei tirava il marito per la giacchetta, aveva paura, c’erano i figli, le responsabilità, ma lui non volle sentire ragioni, il profumo della carta stampata era un richiamo innato che nessuno gli aveva impartito, faceva parte della sua storia e ormai gli era entrato nel sangue. Fu così che Rosa si arrese davanti a tanta passione e si lasciò andare alla nuova avventura.
Ricorda ancora la frase che suo marito amava ripetere di sovente: «Si deve sempre puntare al sole di mezzogiorno».
E quel sole di mezzogiorno illuminò davvero la loro impresa alla quale però non mancarono le difficoltà: le macchine si rompevano e loro dovevano mandarle a Milano per farle aggiustare. Era difficile mantenere una puntualità nelle consegne perché le vie di comunicazione che portano al paese presentano dei tornanti; Rosario allora tracciò di suo pugno delle cartine per aiutare i furgoni che andavano e venivano da Soveria.
Il paese, nel tempo, divenne un comune modello, il primo informatizzato d’Italia, in cui imprese ed eccellenze fiorirono insieme alla casa editrice.
Oggi l’impresa offre servizi di stampa a molte altre case editrici italiane, mentre la produzione è diventata sempre più intensa e qualificata fino a riuscire a imporsi come punto di riferimento culturale.
L'ingresso della Rubbettino a Soveria Mannelli, tremila abitanti in provincia di Catanzaro. Oggi l'azienda offre anche servizi di stampa a molte altre case editrici italiane.
Rubbettino diventa così la voce di autori lontani dal grande circuito, di testi che riabilitano la libertà e il mercato e che riportano alla luce patrimoni della cultura a lungo dimenticati.
Nel 2000 Rosario Rubbettino viene a mancare prematuramente, ma la sua visione non subisce arresti: i figli Florindo (laureato in scienze politiche all’Università Luiss di Roma con una tesi in Teoria e Tecnica delle comunicazioni di massa intitolata “L’editoria libraria nel Mezzogiorno dall’800 a oggi”), Marco (una laurea in economia) e la moglie Rosa portano avanti il suo sogno e i suoi valori: mettere al centro la cultura, valorizzare il territorio e creare impresa.
Nel 2001 alla famiglia Rubbettino si aggiunge anche Luigi Franco che, dopo una laurea in lettere, entra in Rubbettino con uno stage e col tempo ne diventa il dinamico direttore editoriale. Iniziare dal basso gli ha permesso di comprendere come funziona una casa editrice e la passione è cresciuta di pari passo con la sua esperienza.
Luigi Franco (a destra), direttore editoriale della casa editrice Rubbettino, con lo scrittore albanese Fatos Kongoli al Festival della letteratura di Mantova. Del grande scrittore albanese è di prossima uscita il romanzo Piccoli bugiardi, dove con acuta ironia, e una prosa seducente, dispiega magistralmente un quadro della contrastante e spesso selvaggia realtà di oggi, non solo albanese.
Continuiamo la nostra conversazione parlando dello spirito di resilienza che portò Rosario a riscoprire la propria cultura e il territorio, e di come, inevitabilmente, la sua strada a un certo punto si sia incrociata con quella di un grande scrittore italiano che, proprio come lui, non abbandonò mai la sua terra: Leonardo Sciascia.
Lo scrittore che prima di sedersi per scrivere i suoi capolavori raccoglieva i gelsomini e li sistemava vicino alla sua scrivania per godere delle fragranze inebrianti della sua Sicilia, non seguì mai la fuga di intellettuali che caratterizzò gli anni della sua prolifera produzione, e con la voce roca che lo contraddistingueva diede voce al Mezzogiorno.
I due si incontrarono, parlarono, condivisero un’epoca e una visione che illuminò il Meridione di speranza.
Quella recensione, poi raccolta nel libro di Sciascia A futura memoria, adesso è anche parte integrante della nuova edizione (2007) del libro di Duggan.
Rosario è fiero anche di aver pubblicato Leonida Repaci, saggista, drammaturgo e poeta italiano che alla casa editrice affida la sua opera omnia.
Chiedo a Luigi Franco se c’è qualche scrittore che gli è sfuggito, qualche opera che la casa editrice Rubbettino si pente di non aver pubblicato.
«Non ci sono libri di cui abbiamo grandi rimpianti, salvo il fatto che è capitato che autori scoperti da noi, al loro secondo, terzo o quarto libro ci sono stati sottratti da editori che potevano offrire lauti anticipi e una capacità distributiva maggiore. Ma questo è il limite e il bello di una casa editrice indipendente come la nostra, di cui andiamo orgogliosi e a cui non intendiamo rinunciare»,. risponde, e poi mi illustra i propositi futuri della casa editrice: rafforzare un progetto di narrativa attraverso lo scouting di autori italiani e stranieri contemporanei, spesso non convenzionali o messi ai margini dai circuiti dominanti. Parliamo ancora di Sciascia e degli autori meridionali.
Florindo Rubbettino (Cosenza, 1971), da vent'anni alla guida della casa editrice fondata dal padre Rosario. Si è laureato nel '95 in scienze politiche alla Luiss con una tesi sull'editoria libraria nel Mezzogiorno dall'800 a oggi.
Le ultime parole accorate Rosario le dedicò a sua moglie, alla sua Rosa: «Niente di ciò che ho fatto sarebbe stato possibile senza di lei», sospirò a un amico.
La vita va avanti e a Rosa manca quella luce sempre accesa sul comodino che suo marito usava per consumare gialli e romanzi fino a tarda notte; i nipoti crescono e lei si chiede se un giorno anche loro, presto o tardi, seguiranno le orme del suo caro Rosario.
Info e contatti
- Indirizzo: viale Rosario Rubbettino, 10 – 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)
- Centralino. 0968.6664201
- Fax 0968.662055
- Segreteria 0968.6664255
- Ufficio stampa 0968.6664210
- Web e Contatti: store.rubbettinoeditore.it/contatti
SUL COMODINO DI… Antonio Cavallaro²
La montagna calabrese, monumentale libro-bussola per riguardare economia e storia, natura e umanità delle aree interne della regione, dal Pollino alla Sila, dalle Serre all’Aspromonte
C’è un’immagine che mi accompagna sin da bambino. È un bozzetto disegnato dal grande pittore naif Francesco Maiolo per il gonfalone (mai realizzato, per lo meno in queste forme) del Comune di Nardodipace. Ritrae un uomo che, con uno sforzo titanico, trattiene una montagna terrazzata. Me lo fece vedere per la prima volta, incorniciato su una parete del palazzo comunale, Salvatore Tassone, storico sindaco di quella comunità.
È un rapporto antico quello dei calabresi con la montagna, un rapporto che affonda le sue radici nella notte dei tempi. E non potrebbe che essere così per una regione che ha meno del 10% di territorio pianeggiante e che per il resto si sviluppa lungo le pendici dell’Appennino che la attraversava da nord a sud.
A questo rapporto, a queste storie di erranze e di isolamenti, di fughe e di ritorni, di genti, di monaci, di pellegrini e santi è dedicato il bellissimo quanto importante volume appena edito da Rubbettino dal titolo: “La montagna calabrese” a cura di Giovanna De Sensi Sestito e di Tonino Ceravolo. Diciamolo subito e senza tema di essere smentiti. Il libro è uno di quei “monumenti editoriali” destinati a diventare una delle pietre miliari della bibliografia di questa regione, al pari del volume sulla Calabria della Storia d’Italia Einaudi, a quello di Luciano Gambi, ampiamente citato anche in questo libro, a quello sul barocco in Calabria di Rosa Maria Cagliostro, al “Senso dei luoghi” di Vito Teti… per ricordare solo alcuni tra i più noti. Il volume si compone di 14 saggi cui si aggiungono una densa introduzione dei curatori e un’appendice statistica.
I saggi sono stati affidati ad alcuni tra i più noti studiosi di cose di Calabria: Pasquale Versace per quel che concerne le caratteristiche geomorfologiche della montagna; Francesco Iovino per la silvicoltura; Francesco Bevilacqua per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici e naturalistici; la stessa Giovanna De Sensi Sestito per la storia antica; Francesco Cuteri per quella medievale; Tonino Ceravolo per la storia del monachesimo (che tanta parte ha avuto nella nostra regione); Giuseppe Caridi per l’età moderna; Mario Panarello per l’arte; Gianfrancesco Solferino per l’artigianato; Vittorio Cappelli per l’età contemporanea; Pasquale Lopetrone per l’architettura; Pasquale e Francesca Tuscano per la letteratura; Vito Veti per l’antropologia e Matteo Marini per l’economia.
Basterebbe solo sfogliare il volume e guardare le illustrazioni per trarre subito la conclusione che la montagna non è stata e non è la periferia della regione. La stessa denominazione “aree interne” che spesso si utilizza per definire appunto le zone montuose calabresi porta con sé l’idea di una vasta area eccentrica rispetto al cuore pulsante che sembrerebbe invece stare in un indefinito altrove. Dovremmo forse riprendere la definizione di Manlio Rossi Doria che definiva queste aree montuose come l’osso, la struttura portante attorno alla quale si appoggia la polpa, una polpa che in Calabria appare sempre più sfilacciata ma che – e questa deve essere la consapevolezza di tutti – senza osso non può reggersi in piedi.
Non è certamente un caso che un libro di questo genere e di questa portata sia pubblicato da Rubbettino, un editore di montagna, che dall’alto del Reventino produce libri che intervengono con autorevolezza nel dibattito pubblico nazionale. Un editore – si sa – parla attraverso il suo catalogo, le sue pubblicazioni e la sola pubblicazione di questo volume è il segno eloquente, la parola scagliata, per attirare di nuovo l’attenzione verso un mondo, un “macrocosmo”, parafrasando Claudio Magris, che oramai mostra da anni segni inequivocabili di grande sofferenza. Le idee possono cambiare il mondo e lo fanno molto più spesso di quello che crediamo e, ahimè, i cambiamenti non sono sempre positivi. Come chiarisce efficacemente nel suo saggio Vito Teti, l’immagine di una montagna come luogo di arretratezza e di isolamento oggi così largamente diffusa è ideologica tanto quanto quella di una montagna come luogo dell’abbondanza, come il Paese di Cuccagna che era altrettanto diffusa nel XIX secolo.
Il nostro modo di guardare la realtà finisce spesso per definirla. Allora, ammonisce e consiglia Teti, bisogna “riguardare” la montagna, averne cura, guardandola con occhi nuovi.
È innegabile che in Calabria ci sia oggi una maggiore consapevolezza delle aree interne e tuttavia credo che questa attenzione sia intrisa di un atteggiamento estetizzante che guarda ai borghi che si spopolano in maniera romantica come luoghi dell’anima e non luoghi dove persone in carne e ossa debbano e possano vivere avendo meno accesso a quelli che sono i diritti fondamentali.
L’impressione che se ne trae è che “lo sviluppo delle zone interne” sia sulla carta una priorità per amministratori e politici di ogni colore e, mi si consenta, il topico preferito dei convegni “segue cena” (per citare Ulderico Nisticò), ma nella realtà questi territori, prima che degli abitanti, registrano la fuga e l’abbandono delle istituzioni che tirano i remi in barca chiudendo uffici postali, scuole, ospedali, uffici vari rendendo di fatto impossibile non solo il ritorno di chi se ne è andato via ma anche la permanenza di chi ci abita.
Questo libro diventa allora una sorta di prezioso vademecum per riguardare la montagna. Per conoscere i tesori che custodisce, le potenzialità che nasconde. Il vero “Mediterraneo da scoprire” in Calabria è proprio la montagna che, attenzione non va contrapposta alle marine. È vero che l’osso è la struttura della polpa, ma senza polpa l’osso da solo serve a poco. L’indimenticabile mons. Giancarlo Maria Bregantini (lo ricorda anche Teti nel suo saggio) era solito dire che “se la montagna è verde, il mare è blu”. E mai, come in questi ultimi anni in cui i mari calabresi sono sempre meno blu, è emerso con chiarezza come la manutenzione del territorio montano sia un presupposto necessario per la salute del mare e la salvaguardia delle coste. Esempio plastico di come mare e montagna debbano continuare a rappresentare i due elementi di un binomio indissolubile che continuiamo a chiamare Calabria.
“La montagna calabrese” è quel classico libro che non può mancare in una biblioteca ma non per decorare lo scaffale come talvolta fanno i bei dorsi marrone-oro di tante enciclopedie. È un volume da leggere, studiare e meditare. Quel libro che, politici e amministratori, dovrebbero tenere sul comodino, in bella vista, leggendolo e compulsandolo come farebbero con le pagine della Bibbia (l’immagine vale solo per i credenti, of course).
L’albero dei gioielli
targato Rubbettino
Sette titoli forti della casa editrice calabrese
L’albero dei gioielli targato Rubbettino
Sette titoli forti della casa editrice calabrese
L’albero dei gioielli targato Rubbettino
Sette titoli forti della casa editrice calabrese
- La Storia senza redenzione. Il racconto del Mezzogiorno lungo due secoli di Giuseppe Lupo. Un libro che sta alimentando un acceso dibattito e la cui tesi di fondo è che a eccezione di pochi nomi, gli intellettuali del Sud si sono fermati alla denuncia dei fatti, anziché costruire una cultura progettuale in grado di riscattare o redimere gli umili. Edito nel 2021, pagine 284; prezzo euro 18.
- Liberalismo di Ludwig von Mises. «Il programma del liberalismo potrebbe riassumersi in una sola parola: proprietà». E insieme all’idea di proprietà, il liberalismo mette al primo posto l’idea di libertà e di pace. La pace è «la teoria sociale del liberalismo». Edito nel 2021, pagine 232; prezzo euro 14.
- Il selvaggio di Santa Venere di Saverio Strati. La riscoperta di un grande classico del Novecento, romanzo apicale di Strati, Premio Campiello nel 1977. È in corso la riedizione dell’intera opera dello scrittore. Edito nel 2020, pagine 290. Prezzo euro 16.
- Divario di cittadinanza. Un viaggio nella nuova questione meridionale di Luca Bianchi e Antonio Fraschilla. Un racconto che smentisce la vulgata di un Sud inondato di risorse ma che al tempo stesso evidenzia i disastri della classe dirigente recente e passata. Edito nel 2020, pagine 180. Prezzo euro 14.
- Lettere alla moglie di Hagenbach di Giuseppe Aloe. Il senso di un mondo che precipita. All’incrocio tra realtà, illuminazione e delirio, Aloe continua a indagare a fondo la condizione umana e il labile confine tra normalità e follia. Premio Rhegium Julii 2020 per la narrativa. Presentato al Premio Strega 2021 da Corrado Calabrò. Edito nel 2020, pagine 200. Prezzo euro 15.
- Controvento. La vera storia di Bettino Craxi di Fabio Martini. Dopo decenni di letture contrapposte, il libro vuole raccontare quello che l’autore definisce il “vero” Craxi, leader accentratore e controverso. Edito nel 2020, pagine 204. Prezzo euro 15.
- L’azione umana. Trattato di economia di Ludwig von Mises. È stata scritta negli Stati Uniti d’America, dove l’autore, in fuga dal nazismo, è stato accolto come esule politico. Costituisce il momento culminante di una lunga riflessione, tramite cui viene data risposta ai più rilevanti problemi della vita sociale. Edito nel 2015, pagine 976. Prezzo euro 45.
- Il più venduto: Anime Nere, romanzo d’esordio di Gioacchino Criaco, un noir sulla criminalità aspromontana nelle sue connessioni con il resto d’Italia e del mondo. Opera pluritradotta. Da questo libro il film omonimo di Francesco Munzi in concorso alla 71° mostra del cinema di Venezia vincitore di nove David di Donatello. Edito nel 2008, 230 pagine. Prezzo 14 euro. 30.000 copie vendute.
Leggi anche:
- Cari sindaci lucani, intitolate una via a Teresa De Luca Petrone che ha portato il figlio Rocco dai sassi di Matera ai sassi della Luna. “L’avventura americana dei Petrone, ricostruita con impeccabile precisione da Renato Cantore in Dalla Terra alla Luna. Rocco Petrone, l’italiano dell’Apollo 11 (Rubbettino Editore, 2019), sembrava cominciare nel migliore dei modi. Il lavoro non mancava e la famiglia cresceva: in cinque anni erano arrivati tre figli (…)”.
- Ricostruiamo il nuovo atlante delle piccole case editrici e i loro fiori all’occhiello. Per ringraziarli della grande offerta culturale che ci offrono e per aiutarli in un mercato in crisi.
(via email)
Caro Salvatore, ho aperto il tuo blog ed ho trovato ad attendermi una larga fetta della mia giovinezza. Sono cresciuto a Decollatura, paese limitrofo e rivale di Soveria Mannelli. Quanta nostalgia! Quanta fierezza a fronte delle immagini e dei fatti attuali. A 18 anni insegnavo Educazione fisica presso la Scuola Media di Soveria Mannelli e Rosario Rubbettino ne era il segretario. Anche lui giovanissimo. Andavo a piedi. Impiegavo 40 minuti.
Tagliavo per i campi del Barone Stocco. In quei campi Garibaldi disarmò un grosso contingente dell’esercito borbonico. Si fermò a dormire a Soveria e in suo onore, ancora negli anni 60/70 del secolo scorso, ,esisteva un hotel Garibaldi. Noi di Decollatura chiamavamo “Linari” gli abitanti di Soveria, che chiamavano noi di Decollatura “capichiatti” (ho dimenticato il perché). Dovendo preparare l’esame di letteratura francese, mi accompagnavo a un testo della Gallimard, giunto da Parigi, tramite il mio caro amico Federico, che lì viveva e faceva il “ decoratore”. Fu una nobildonna parigina a portarselo via con lei (Declaravo Chateaubriand). Era bello, Federico, capelli corvini e profilo greco, spesso silenzioso e dal sorriso appena accennato. Morì a Parigi poco dopo e lì è sepolto. Giocai a calcio con la Garibaldina, quando tornai dal servizio militare, fatto anzitempo e prima della maggiore età. Poi ripresi il posto nella Audace di Decollatura, che condussi, da capitano, più volte, in scontri veementi fra schiere di popolo in festa.
Caro Salvatore, non c’erano altri svaghi e tutti vi partecipavano coralmente. I Fratelli Leo, altra prelibatezza di Soveria avevano un ‘industria linaria (da questo il detto “linari”). Dal 1963 per alcuni anni, vi diressi, vicario del preside dell’Istituto Scalfari di Catanzaro, la locale sezione staccata e insegnavo Lettere. La Casa editrice sorse in quegli anni. La mia tesi di laurea in Filosofia teoretica lì fu rilegata, come la seconda in giurisprudenza. Curai le prime pratiche legali proprio per Rosario Rubbettino, che dopo pochi anni morì. L’amico comune Domenico Vircillo, vi pubblicò i suoi scritti di Filosofia su Socrate, Sant’Agostino e sui rapporti fra Filosofia e Sociologia. L’editore Rosario non pretese nulla. Anzi lo incoraggiò. Vircillo era figlio di un venditore di formaggi (“casularu”) aiutava il padre nella raccolta mattutina del latte presso i contadini della zona. Morì giovane anche lui. Ricordo la mia costernazione in quel piccolo obitorio del bellissimo ospedale di Soveria Mannelli, immerso nel verde dell’ubertosa campagna.
Caro Salvatore, la storia sarebbe lunga, bella e, nel contempo, intrisa di nostalgia. Meglio chiudere. A proposito… l’esatta frase in gergo da te citata è “puru sta’ vota simu nesciuti dù mari ghiacciatu”. Così speriamo per il futuro.
Pietro Rizzo fa parte di quella crescente comunità insonne e propositiva che mi onora della sua amicizia epistolare. Nel ringraziarlo, lo indico come modello ad altri iscritti volontariamente alla community del blog per interventi brevi e appropriati sui testi che, da un decennio, pubblico in modo volontario e gratuito. (s.g.)
Caro Salvatore, l’onore è tutto mio. Sono felice di averti conosciuto. Apprezzo la tua semplicità. È il migliore dei condimenti per portare alla conoscenza degli altri la tua profonda conoscenza dei fatti, oggetto della tua attenzione. Per tuo tramite ho potuto mettere a fuoco nelle loro esatte dimensioni i fatti presenti nei tuoi interessantissimi testi.
Un abbraccio. Buon lavoro.