Faccia a faccia con Salgado, il fotografo che porta in mostra l'Amazzonia a Milano
Le parole e gli occhi – Reprint
testo di Salvatore Giannella
Faccia a faccia con Salgado, il fotografo che porta in mostra l'Amazzonia a Milano
Le parole e gli occhi – Reprint
testo di Salvatore Giannella
Dopo Forlì, Milano, Roma, Londra, Rio de Janeiro e Toronto (dove le sue mostre hanno illuminato con 250 immagini di “Genesi”, il patrimonio unico e prezioso del nostro mondo, in bianco e nero) il celebre fotoreporter brasiliano Sebastiao Salgado sbarca nuovamente in Italia, questa volta a Milano, con la sua Amazzonia (dal 12 maggio al 19 novembre 2023, negli spazi della Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4. Altre info: salgadoamazonia.it)
Dopo aver esordito nel 1973 con il primo di una lunghissima serie di reportage (dedicato alla siccità nel Sahel) e lasciato l’agenzia Magnum di Parigi (città dove risiede da anni), Salgado con la moglie Lèila Wanick (foto) ha creato Amazonas Images che nel corso degli anni gli ha consentito di progettare e realizzare lunghi racconti che sono diventati pietre miliari nella storia della fotografia.
Sciamano Yanomami dialoga con gli spiriti prima della salita al monte Pico da Neblina. Stato di Amazonas, Brasile, 2014.
Sebastiao Salgado con Salvatore Giannella, Giornate Internazionali di Studio del Centro Pio Manzù (2000).
Consigli agli aspiranti fotoreporter
“Studiare, leggere moltissimo, almeno due quotidiani al giorno, iscriversi a una scuola, studiare le scienze sociali, se vuole vivere sull’onda della storia, cercare di seguire quello che è significativo nella storia”.
Sediamoci e cerchiamo insieme soluzioni
“Ho osservato molte cose della famiglia umana, per anni e in varie parti del pianeta. Credo di essere una delle rare persone che abbiano veramente visto, perché mi sono mosso, sono andato un po’ dappertutto e l’informazione che ho raccolto è stata un’informazione vissuta, concretizzata poi dall’obiettivo. Non è un’informazione letta e trasmessa. Ho guardato e visto mole cose e in tutta sincerità non posso offrire soluzioni, non so veramente quale sia la soluzione. Se dovessi fare qualcosa personalmente, proporrei di fermare tutto e di sedersi per parlare assieme e cercare di trovare assieme delle soluzioni.
Ho visto molti aiuti di emergenza che arrivavano, persone che soffrivano la fame e che ricevevano da mangiare e poi tutti se ne andavano. Avevano comprato l’eccedenza agricola da noi, pagato la nave e il camion, dato da mangiare e poi basta.
Per trovare una soluzione e per riprendere quanto detto prima credo che occorra iniziare a discutere anche dei nostri problemi da subito; ad esempio, i problemi della rappresentatività in Italia, la questione dell’organizzazione di questa società.
Com’è possibile che una società come questa si comporti in questo modo? Vi faccio un esempio. Io abito in Francia. La Francia, trent’anni fa, quando sono arrivato, aveva un terzo del prodotto nazionale della Francia attuale. La Francia è quindi tre volte più ricca di quanto non lo fosse prima, ma la Francia ha tre milioni di disoccupati. Trenta anni fa la Francia non aveva disoccupati. I problemi quindi non mancano, anzi aumentano in modo incredibile.
Viviamo in una società in cui occorre farsi queste domande.
Penso poi che per risolvere i problemi delle zone arretrate del pianeta dovremmo cominciare a risolvere i nostri problemi, nella nostra realtà. Credo che ne abbiamo il potere. Qualcuno dice di essere solo, isolato, ma non è vero. Chi non abita in una via, in un quartiere? Se ci si organizza politicamente nascerà un potere di quartiere, quindi una via d’uscita esiste. Si possono eleggere delle persone, esigere dalle persone elette; si può cominciare a lavorare in una società in cui si chiedono delle responsabilità ai dirigenti della società in cui si vive. A questo punto si chiederanno responsabilità a tutti i livelli della società”.
Se fossi chiamato alle Nazioni Unite
“Se io fossi Segretario generale dell’ONU, proporrei di fermare tutto, di smettere di lavorare. Abbiamo accumulato talmente tante ricchezze nel mondo che per uno, due o tre anni potremmo smettere e riproporre tutte le domande necessarie. Occorre farlo, e parlare per favorire la redistribuzione di queste ricchezze. …I miei amici italiani di Emergency in dieci anni hanno speso dieci milioni di dollari per curare centomila persone. Si pensi che un aereo da combattimento, uno solo, costa all’incirca 80 milioni di dollari. E, sull’altro versante, abbiamo la spesa per curare centomila persone, in situazione di emergenza. Creare un ospedale costa un milione di dollari, con la manutenzione degli apparati medicali, i farmaci, per un intero anno. Tuttavia, con la spesa di un solo jet, quanti ospedali potremmo costruire? Ottanta ospedali e assicurare loro la manutenzione per un intero anno. Con la spesa di un solo jet da combattimento possiamo comprare diecimila trattori. Questa logica fa acqua.
da vedere. subito
grande fotografo , di una zona del pianeta terra cosi’ trattata male dall’uomo bianco, con un presidente attuale insignito della piu’ nefanda ideologia distruttiva dell’ambiente , quello che piu’ mi rammarica e’ che questo personaggio abbia origini italiane ( rovigotte)