GIANNELLA: Caro Beha, nella tua multiforme attività di scrittore hai dedicato spesso la tua studiosa curiosità a personaggi tra sport e società. C’è qualcuno, in particolare, che ha conquistato la tua mente e il tuo cuore?

BEHA:Gino Bartali, senza dubbi. Scrivendo un libro su di lui, ho fatto molte scoperte, insieme al ripescaggio delle mie radici fiorentine. La più importante riguarda un campione che per molti italiani è stato l’incarnazione stessa del ciclismo. E invece uno che aveva già vinto Giro d’Italia e Tour de France, che cosa ti combina nell’inverno del 1943, durante la guerra? Corre quasi ogni giorno, ma per non vincere coppe o titoli. Corre per salvare vite umane, vite di antifascisti e di ebrei minacciate dalle leggi razziali di Benito Mussolini. Diventa una staffetta al servizio di una rete clandestina. ‘Se ti scoprono, ti fucilano’, lo avverte il cardinale di Firenze Elia Angelo Dalla Costa nel consegnarli l’incarico con il rabbino Nathan Cassuto. Ma Gino non si ferma. Finge di allenarsi, in realtà trasporta documenti falsi, nascosti nei tubi del sellino e del manubrio. Migliaia di chilometri percorsi avanti e indietro da Firenze ad Assisi, dove funziona una tipografia clandestina che consegna nuovi documenti, nuove identità alle famiglie ricercate da fascisti e nazisti. Sono più di 800 gli ebrei che hanno avuto salva la vita grazie al suo coraggio silenzioso”.

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Oliviero Beha (Firenze, 14 gennaio 1949 – Roma, 13 maggio 2017) è stato un giornalista, scrittore, saggista, conduttore televisivo e radiofonico, poeta. Aveva due lauree: una in Lettere, con una tesi in Storia medievale, conseguita in Italia, e l’altra in Filosofia, presa in Spagna. Autore di un blog che ha aggiornato fino al suo ultimo giorno. I nostri incontri erano scanditi dagli appuntamenti estivi a Cervia per la storica iniziativa La spiaggia ama il libro. Beha lascia la moglie, Rosalia, e tre figli, Germana, Manfredi e Saveria, nata con la sindrome di Down, che era stata protagonista con lui, due mesi fa di una puntata di Nemo, su Rai2, per sfatare luoghi comuni e pregiudizi.
 
(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

In realtà quel cuore in fuga un titolo l’ha vinto, anche se postumo: nel 2005 cinque anni dopo la sua morte, il capo dello Stato Ciampi gli ha conferito la medaglia d’oro al merito civile per quell’Operazione Salvataggio. E nel 2013 è stato dichiarato Giusto tra le nazioni dallo Yad Vashem, riconoscimento per i non-ebrei che hanno rischiato la vita per salvare quella anche di un solo ebreo durante le persecuzioni naziste.

“E qui c’è l’altro motivo di ammirazione per Bartali. Pensa, per oltre mezzo secolo quel cuore si è portato dentro un grande segreto, fino alla tomba. Lui, già famoso, non parla mai della sua straordinaria avventura. Avrebbe potuto uscire allo scoperto, per esempio quando Benigni nel ’97 ha vinto l’Oscar con La vita è bella e dire: ‘Beh, Roberto ci ha fatto un film, ma io l’io fatto davvero…’. Non sente il bisogno di raccontare niente, in questi anni in cui tutti aspirano ad andare in tv anche se non hanno nulla da dire. E questa è la seconda scoperta che ho fatto lavorando su Bartali: noi non parliamo mai di qualcosa di cui abbiamo tanto bisogno, e cioè la genesi del bene. Siamo informatissimi sulle ramificazioni della genesi del male, ma sono rari coloro che ci illuminano sugli aspetti del bene”.

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Gino Bartali (Ponte a Ema, 18 luglio 1914 – Firenze, 5 maggio 2000), ciclista professionista dal 1934 al 1954, vinse tre Giri d’Italia e due Tour de France. La sua vittoria al Tour de France 1948 contribuì ad allentare il clima di tensione sociale in Italia dopo l’attentato a Palmiro Togliatti. Grande avversario di Fausto Coppi. Leggendaria la loro rivalità, che divise l’Italia nell’immediato dopoguerra.
 
(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Concordo. Tanto che io stesso da qualche anno mi sono dedicato a cercare nella cronaca, per dirla con Italo Calvino, “quello che inferno non è e dargli forza”.

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(* Fonte: Sette, lo storico magazine del Corriere della Sera, n. 14/2015)

 

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