Il Corriere della Sera (8 maggio 2012) dedica una pagina intera alla scomparsa di Margie Profet, una scienziata geniale sparita da Harvard dal 2002. Margie, classe 1958, era una studiosa osannata (e criticata) per le ricerche sulle allergie come autodifesa del corpo umano. Il grande risalto dato al mistero d’oltreatlantico fa risaltare ancor di più una ricorrenza ignorata in casa nostra: la scomparsa di Federico Caffè, un economista contro, che 25 anni fa sparì nel nulla. Un’indifferenza generale, rotta sola da un pezzo sul mensile telematico Il Galileo, da una timida notizia apparsa per qualche ora su Televideo Rai e da RaiStoria, con una bella trasmissione purtroppo andata in onda alle due di notte, sicché pochi insonni e tiratardi l’avranno vista.
Al personaggio Caffè mi accosta in queste ore la lettura di un bel libro appena edito dalla romana Castelvecchi: Federico Caffè. Le riflessioni della stanza rossa, scritto da Bruno Amoroso, suo allievo e grande amico, che riesce a far rivivere attraverso 180 pagine, un album fotografico e la rielaborazione di lettere e colloqui avuti nel corso di vent’anni, l’intimità intellettuale e affettiva che lo legava a Federico Caffè. Caffè scomparve dalla sua casa di Roma il 15 aprile 1987. Sul comodino, vicino al letto, solo un paio di occhiali e i documenti. Polizia e carabinieri, affiancati dai suoi studenti e assistenti, setacciarono inutilmente Roma. Il professor Caffè è svanito senza lasciare traccia: un’uscita di scena che, per certi versi, ricorda quella del fisico Ettore Majorana nel 1938.
Caffè era una figura alquanto scomoda nel panorama politico-economico del suo tempo. Oggi lo si considererebbe un pericoloso bolscevico perché era un forte sostenitore della tradizione keynesiana e difensore dello Stato sociale. Lui era convinto (il suo pensiero guida ancora importanti scuole economiche internazionali e le sue parole sono impresse nella memoria dei tanti eredi che oggi rivestono prestigiose cariche internazionali) che l’economia abbia il dovere di migliorare le condizioni di vita dei più deboli, favorendo la diminuzione delle diseguaglianze. La sua era una visione socialista, sì, ma soprattutto progressista della società contro le tendenze arretrate e reazionarie messe in atto dai poteri economici forti, non solo in Italia. Sul retro della copertina del libro c’è un brano che esemplifica il pensiero di Caffè: “Da tempo sono convinto che la sovrastruttura finanziario-borsistica con le caratteristiche che presenta nei Paesi capitalisticamente avanzati favorisca non già il vigore competitivo, ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio, che opera sistematicamente a danno dei risparmiatori”. Uno sguardo profetico, visto che poco dopo cominciarono gli scandali dei bond fasulli, sponsorizzati da molte banche, che lasciarono i risparmiatori al verde e con una “paccata” di carta straccia in mano.
Bruno Amoroso, che i lettori del mio libro Voglia di cambiare (Chiarelettere, 2008) conoscono in quanto autorevole testimonial incontrato nella cornice di quella storica università di Roskilde in Danimarca dove lui ha insegnato per tanti anni, riesce a dare con questo suo libro non solo un omaggio al maestro perduto, ma anche a condurci sui sentieri di una memoria fatta di piccole attività quotidiane: passeggiare, ascoltare musica, bere una tazza di tè arricchiscono la conoscenza di un uomo e delle sue teorie destinate altrimenti al dimenticatoio. Proprio durante una passeggiata Caffè riprese con Bruno il tema degli Indiani vecchi che si lasciano morire, come facevano gli antichi eschimesi in Groenlandia, dove gli anziani, giunti al punto in cui non potevano più contribuire alla comunità, si facevano preparare una sacca e si allontanavano poi verso nord, scomparendo tra i ghiacci.