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Kim Ki-Duk, regista del film “Pietà” premiato col Leone d’Oro al 69esimo Festival del Cinema di Venezia

Nel giorno in cui la Mostra del cinema di Venezia innalza sul podio del vincitore il coreano Kim Ki-Duc, classe 1960, e la sua “Pietà”, atto d’accusa contro il capitalismo, mi affiorano alla mente Federico Caffè e le sue scomode teorie economiche di cui parliamo in un testo a parte (Venticinque anni fa spariva un economista contro, Federico Caffè. Il bel libro di un suo allievo, Bruno Amoroso, ce lo fa rivivere, 8 maggio 2012). In quel libro edito dalla romana Castelvecchi c’è una pagina che fotografa, in piccolo, quello che i mercati finanziari e molte banche stanno facendo da tempo su grande scala. Napoli, 1973: Caffè e Amoroso (poi diventato docente all’università danese di Roskilde, presso Copenhagen, dove l’ìho incontrato) incuriositi dal libro di Federico De Roberto I Viceré e dal film omonimo su quella antica casata siciliana e sui poteri nelle società meridionali, vanno a visitare i vecchi quartieri del centro storico. Trovano alloggio in un albergo dal quale escono per lunghe escursioni nei vicoli e nelle piazze della città.

Un mattino, mentre Caffè rileggeva alcune pagine dei Viceré, Bruno uscì per andare a comprare i giornali. “Bruno ritornò dopo non molto con i giornali sotto braccio e leggermente affaticato. Raccontò di aver attraversato la piazzetta del vicolo in cui abitavamo, dove, come al solito, molte persone occupavano i tavolini del bar giocando a carte e discutendo, mentre il resto della piazzetta era popolato da gente a passeggio e venditori ambulanti. Al ritorno dal giornalaio ci fu un trambusto nel bar, con urla e tafferugli, rovesciamento di tavoli e di sedie e un’ondata di spintoni si trasmise su tutta la piazzetta. Anche lui, come tutti, ricevette qualche spintone, ma poi, rapidamente, le persone al bar sollevarono tavole e sedie riprendendo i loro giuochi e la lettura dei giornali, e anche sulla piazza ritornò la calma dalla quale i più si allontanarono frettolosamente”.

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L’economista Federico Caffè
(Pescara, 6 gennaio 1914 – Roma, 15 aprile 1987)

Dopo il racconto, Bruno chiede un giudizio sull’accaduto al maestro Caffè, pensando che questo possa consentire spiegazioni profonde sul comportamento dei napoletani, la loro cultura, il senso della socialità e il conflitto. Riprendiamo con le parole di Caffè: “Bruno rimase lì a guardarmi in attesa di risposta, convinto che io avrei richiamato chissà che quali testi o autori a lui sconosciuti che potessero dar conto di quegli eventi. Richiusi lentamente il libro che stavo leggendo e assaporando il piacere della previsione che stavo per fare gli dissi, con bonario rimprovero: ‘TI SEI FATTO RUBARE IL PORTAFOGLIO’.

La sua immediata verifica dimostrò che avevo ragione e questo accorciò di molto il bisogno di ulteriori spiegazioni. Per non deluderlo troppo, tuttavia, gli ricordai che la ben nota ‘strategia della tensione’ non sempre assume forme violente, ma anche quelle più sottili sebbene altrettanto dolorose, dell’ ‘allarmismo economico’. Diversi studi di autori statunitensi avevano segnalato già agli inizi degli anni Settanta il prodursi di fenomeni di concentrazione finanziaria e di potenti lobby in grado di manipolare a loro vantaggio il funzionamento dei mercati e della politica. Il capitalismo di rapina nasce da questo, conclusi in modo asciutto. E la conclusione finale è che i cittadini si ritrovano sempre più poveri”.