È stato il nostro direttore ideale Andrea Barbato, il migliore in decenni passati al Tg2. È morto proprio vent’anni fa, a soli 62 anni, e ne sono passati quaranta da quando siamo stati con lui alla nascita del Tg2 il 15 marzo 1976. Ne era diventato direttore con la prima, grande riforma Rai. Furono settimane affannose, tutto doveva essere diverso. Nell’elefantiaca mamma Rai doveva soprattutto cambiare il nostro modo di fare informazione. Per noi giornalisti fu una rivoluzione: il Tg2 di Barbato aveva il compito di rompere il monopolio dell’unico telegiornale Rai di allora, ingessato e paludato, portavoce del governo, dominato dalle censure e dalle cautele del partito democristiano.
Barbato era socialista per scelta ideale, ma non era uomo di partito. Aveva imparato il mestiere a 22 anni alla BBC, era stato inviato speciale in Africa, in America, in Estremo Oriente, era vicedirettore di un quotidiano nato da pochi mesi, la Repubblica. Aveva una solida esperienza sul teleschermo, le lunghe dirette per l’assassinio del presidente Kennedy e lo sbarco sulla Luna. Era colto e popolare insieme, raccontava agli italiani i grandi fatti del mondo.
La sua dote speciale era la capacità di “tenere” il video. In onda parlava con facilità, sempre a braccio, senza leggere nulla, con la sua voce pacata, rassicurante come il suo carattere, la sua divertente ironia. Amava il calcio e i cavalli. Più volte lo abbiamo visto giocare a palla con qualche redattore nel largo corridoio davanti alla sua stanza di via Teulada. Quando accettò la sfida della direzione aveva 42 anni e ricordiamo bene il senso delle sue parole alla presentazione del programma editoriale alla redazione del Tg2, ai primi di febbraio del ‘76: aveva ottenuto un telegiornale che durava una intera ora, dalle 19,45 alle 20,45 per poter dare spazio a servizi più lunghi, a una cronaca più completa, alla politica non paludata, alla novità di approfondimenti e inchieste quotidiane. Voleva più immagini, linguaggio stringato, diretto come quello dei grandi settimanali, Panorama e l’Espresso al quale Barbato aveva collaborato. Chiedeva equilibrio, perché la Rai è servizio pubblico, ma senza censure. Bisognava soprattutto conservare grande “indipendenza” da lobby e partiti. Barbato pensava alla BBC. Il nostro Tg2 precedeva di un quarto d’ora il Tg1 il grande concorrente nato 20 anni prima: un anticipo che poteva darci un vantaggio di tempo e di audience. Ma le condizioni di partenza non erano alla pari: avevamo meno giornalisti, meno tecnici, meno mezzi. Il Tg1 era una corazzata, per guadagnare spettatori dovevamo informare meglio, dare notizie che l’altro Tg non dava, inventare spazi di inchiesta.
Dopo qualche mese è nato così Tg2 Dossier, un settimanale di approfondimento e poi nuove rubriche. Abbiamo attraversato con Andrea gli anni duri del terrorismo, in mezzo ai cortei, ai morti, la denuncia del potere mafioso e camorrista (memorabili restano ancora oggi le inchieste del nostro collega Joe Marrazzo) i primi scandali di corruzione politica, l’affare delle tangenti Lockheed e quello dei petroli. Poi la P2 e il rapimento Moro…
La direzione di Andrea Barbato è finita nel 1980 quando la sua indipendenza, la ragione che lo aveva portato alla direzione del Tg2 è diventata il motivo delle sue forzate dimissioni. Troppo scomodo per una Rai ormai totalmente lottizzata. Barbato tornò alla Rai nel 1987, famose le sue “cartoline”. Ancora un successo di pubblico mal digerito alla politica. La sua cacciata definitiva, nel 1994, fu voluta dal governo Berlusconi.
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