Roberto Bolle ha voluto regalare uno show “antisovranista” (OnDance, dal 26 maggio al 2 giugno) a Milano, sua città d’adozione, quella dove è diventato ciò che voleva essere, ovvero il ballerino più famoso al mondo. Quella città capace di accogliere e far crescere personaggi come quegli uomini e donne che gli hanno fatto da corona sul palco in Piazza Duomo, presentati da Geppi Cucciari: e cioé Roberto Vecchioni, insegnante di liceo, figlio di napoletani, e Mahmood, figlio di una sarda e di un egiziano, vittorioso a Sanremo e secondo all’Eurofestival.

Di Bolle mi piace ricordare le parole consegnatemi nell’autunno del 2015 in un colloquio avuto con lui per Sette (n. 46), lo storico magazine del Corriere della Sera.

Roberto Bolle

Roberto Bolle (Casale Monferrato, 1975), autore di “Viaggio nella bellezza”, Rizzoli, 2015.

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Caro Bolle, ho visto la tua agenda fitta di impegni, in Italia e all’estero. Un tempo pieno di nuove sfide.

“E anche pieno di ansia e di paure, compagne motrici del mio lavoro. E in questa situazioni mi viene in soccorso il pensiero di Adam, un bambino-soldato africano alle prese con una sfida ancor più grande delle mie. Perché lui, che era stato oggetto di un mercato di morte, ha avuto la forza di sostituire il fucile con il libro”.

Quando l’hai incontrato?

“Nel 2006, durante uno dei miei viaggi nel Sud Sudan come ambasciatore dell’Unicef. All’epoca Adam aveva tredici anni ed era stato da poco liberato dopo essere stato per quattro anni nelle mani delle milizie antigovernative. Lo avevano rapito a nove anni. Giocava a calcio in strada alla fine delle lezioni. Così era finito in una retata da parte di miliziani che reclutavano bambini in quel territorio ambìto da predatori d’ogni genere perché ricco di risorse naturali. Per quattro anni era stato costretto a vivere nei campi di addestramento, a imbracciare il fucile, ha dovuto imparare a sparare e uccidere, gli è stata rubata l’adolescenza, ha subìto violenze terribili. Poi ha avuto la fortuna di essere liberato. Era rimasto indietro durante una marcia. Scoperto dai soldati dell’esercito regolare, era stato preso a fucilate in quanto armato. Lo hanno ferito a una gamba, poi avendo visto che si trattava di un bambino, lo hanno soccorso, portato in un campo Unicef dove è rimasto sotto protezione per un periodo di riabilitazione fisica e psicologica. Quando l’ho incontrato, non aveva ancora visto la sua famiglia. Gli ho chiesto qual era il suo sogno. Tornare a scuola, studiare, diventare un medico e aiutare persone sofferenti. Mi aveva colpito la sua forza e la sua storia di un bambino insieme vittima e carnefice che oggi, tornato in famiglia, ha ripreso il suo cammino a scuola, con altri quattrocentomila coetanei”.

Adam, il soldato bambino del Sud Sudan

Adam (Sud Sudan, 1993) era uno dei 9.000 bambini-soldati coinvolti nel 2014 nella guerra civile in Sud Sudan (fonte: Alto commissariato Onu per i diritti umani).

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Ho visto che nel gennaio scorso sono stati liberati ben tremila bambini-soldato. Una cifra che illumina la vastità di quel terribile fenomeno.

“È un fenomeno di massa, ormai sono 250 mila i minori usati da eserciti e gruppi armati durante i conflitti nel mondo (cito un dato del segretario generale delle Nazioni Unite). Per questo lancio un appello a favore di Unicef e di altre organizzazioni non governative (come Action Aid, Save the children, Medici senza frontiere, Emergency…) i cui volontari mettono a rischio la loro vita, non solo per la guerra ma anche per la malaria e il colera, per aiutare le vite di altri. Sono rimasto molto colpito dal loro importantissimo lavoro. Mi ha cambiato la scala dei valori. Ti rendi conto dei privilegi e delle fortune che abbiamo noi in questa parte di mondo. E del dovere che abbiamo di aiutare il prossimo: come quei miei giovani eroi che ho incontrato in Africa”.

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“In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” (Minerva) raccoglie le prime 68 interviste delle 220 fatte in cinque anni da Salvatore Giannella per Sette/Corriere della Sera.

VITAMINE PER LA MENTE

Consigli e idee di Bolle

Roberto Bolle
Non basta avere un sogno, bisogna essere fortemente determinati per raggiungerlo e saper lottare, fare sacrifici.
Se avessi avuto un’infanzia più comoda, non avrei avuto questa disciplina e determinazione che poi mi sono serviti per affrontare le difficoltà, perché diventare primo ballerino a 21 anni, a 22 esibirmi a Londra nel Lago dei cigni davanti alla famiglia reale e l’anno dopo in Romeo e Giulietta, fu un esordio importantissimo. Certo, mi capitò, perché il primo cast si era infortunato. Segno che le cose hanno un destino, ma il destino ti mette di fronte alle prove, poi sei tu che devi essere pronto e saperle superare.
Mangio da atleta. Punto su un’alimentazione molto varia e attenta alla qualità. Il cibo è il carburante di questa macchina che poi in palcoscenico si muove, fa i salti… Ricerco cibi sani e digeribili, non troppo elaborati, alcune volte bio ma non necessariamente. Sicuramente non troppo grassi, evito fritture ad esempio, e mangio poca carne, semmai tanto pesce, verdure, uova… e parecchio riso, dopotutto sono piemontese.
I ragazzi soffrono se non fanno quello che amano. Credo che nella vita non fare quello che dà gioia sia la causa più forte di infelicità.
Tra le persone che mi piacciono di più ci sono quelle che aiutano gli altri. Quelle che per aiutare riescono a dare una parte di sé, della loro vita. Provo grande ammirazione per persone che sanno dare qualcosa di loro senza veramente avere niente indietro. Soprattutto in un mondo dove tutti pensano a sé stessi.
Amo la notte perché è un momento particolare, di riflessione, in cui mi sono trovato molte volte dopo gli spettacoli. Durante la notte mi piace passeggiare in solitudine. Mi stacco da tutto e mi immergo nell’energia delle città.
Tra i miei posti preferiti metto Times Square a New York e l’incrocio di Shibuya a Tokyo, con le luci, i ledwall, le immagini: sono super carichi di energia.
Uno degli aspetti che meno mi ha toccato nella carriera è quello di rivalità e gelosia. Non dico che non esistano, però io sono stato fortunato e non ho provato questi sentimenti.
L’offesa che più mi ferisce è quando dicono che la danza è noia. Noia! Hai presente quando ti senti ribollire il sangue? Anche per questo ho accettato di portare la danza in televisione.
La danza è un punto di vista sul mondo, sulla realtà. È lo sguardo dei bambini su quello che li circonda, ed è uno sguardo potente perché autentico: solo i bambini guardano il mondo per davvero, e non sé stessi nel mondo.
Mi manca avere poco tempo libero, non stare con gli amici, non uscire, non andare al cinema. Devo sempre dire, “mi spiace non posso”.
Chi preferisco tra Milan e Inter? Vado a simpatia, in base alle stagioni. I nerazzurri sono messi talmente male, poverini, che questa volta tifo per loro.

(Fonte: Cinquantamila.it)

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog che vuole essere una bussola verso nuovi orizzonti per il futuro, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” e, a quattro mani con Maria Rita Parsi, “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).

Dalla collana “Il mio eroe”: