Dal 2000 al 2010 l’Italia è l’unica nazione europea che non ha incrementato la spesa reale per istruzione. Inoltre, è in prima fila tra le nazioni che, di fronte alla crisi economica, hanno tagliato pesantemente. Questi e altri dati sono riportati nel rapporto “Education budgets under pressure in Member States” della Commissione Europea

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Il 21 marzo scorso, la Commissione Europea ha diffuso un comunicato stampa dal titolo eloquente – Education budgets under pressure in Member States – che annuncia l’uscita di uno studio intitolato “Funding of Education in Europe – The Impact of the Economic Crisis”. Si tratta di un documento che illustra con abbondanza di dati, grafici e tabelle l’andamento e le caratteristiche della spesa per l’istruzione negli Stati membri durante il periodo 2000-2012. Viene posta particolare attenzione al biennio 2011-2012 al fine di evidenziare le diverse reazioni a fronte della grave e generale crisi economica. Il comunicato stampa sintetizza i dati di questo biennio in questo modo.

L’investimento nell’istruzione si è ridotto in 8 dei 25 Stati membri esaminati in uno studio realizzato a cura della Commissione europea sull’impatto che la crisi ha avuto sui bilanci dell’istruzione a partire dal 2010. Tagli superiori al 5% sono stati apportati in Grecia, Ungheria, Italia, Lituania e Portogallo, mentre in Estonia, Polonia, Spagna e Regno Unito (Scozia) si è registrato un calo dall’1 al 5%. Cinque Stati membri però hanno aumentato la loro spesa per l’istruzione di più dell’1%: Austria, Danimarca, Lussemburgo, Malta e Svezia, e anche la regione germanofona del Belgio. La Germania e i Paesi Bassi non hanno fornito dati per il periodo successivo al 2010.

Se scorriamo lo studio concentrando l’attenzione sulla situazione dell’Italia, il dato che ci sembra di maggiore interesse è l’andamento in termini reali della spesa pubblica per l’istruzione nel decennio 2000-2010. La grande maggioranza delle nazioni presenta incrementi anche marcati. L’Italia, invece, è l’unica nazione che nel 2010 si ritrova essenzialmente allo stesso valore di spesa del 2000.

L’intero andamento del decennio, in lampante controtendenza rispetto alle altre nazioni europee, mostra che l’Italia sta rinunciando a investire in formazione. Questa scelta è coerente con l’idea di difendere la competitività comprimendo il costo di una forza lavoro poco qualificata, accantonando la pretesa di essere un paese “di serie A” che compete sul piano dell’innovazione e delle tecnologie avanzate. Una strategia riassunta assai efficacemente dalle parole del senatore Guido Possa (PdL), presidente della commissione cultura nella legislatura appena conclusa, che nel 2011 ebbe a dichiarare: “Noi siamo un paese che ha limiti e bisogna prendere atto di questi limiti. Non possiamo assolutamente più pensare di essere un paese di serie A in tanti settori perché le ricerche sono condotte con mezzi che non possiamo permetterci”.

Fonte: Roars, Return on Academic Research.
 
Link al rapporto completo della Commissione Europea.