Leggere questo libro (Carabinieri per la democrazia. Storie dei caduti dell’Arma nella lotta al terrorismo, Mondadori, euro 19) è stato un po’ ripercorrere 25 anni di mia carriera: le storie raccontate infatti in un modo o nell’altro hanno segnato alcuni passaggi, da nord a sud, dei miei anni di servizio nell’Arma dei carabinieri. Dalla strage di Peteano a firma di Ordine nuovo (Gorizia, 31 maggio 1972, nella quale perdono la vita tre carabinieri: Antonio Ferraro, Donato Poveromo e Franco Dongiovanni), passando al sacrificio del maresciallo Oreste Leonardi, capo della scorta e amico di Aldo Moro, per finire al ricordo di Felice Maritano. Ha suscitato in me una profonda commozione rivivere quelle emozioni.

Carabinieri per la democrazia - Mondadori

«Carabinieri per la democrazia» (prefazione di Paolo Mieli, introduzione del generale Tullio Del Sette, Mondadori, pp. 159, euro 19). Nella foto d’apertura: Roma, 16 marzo 1978; in via Fani dopo l’agguato in cui fu rapito Aldo Moro e uccisi i cinque agenti della sua scorta, tra i quali due uomini dell’Arma, Oreste Leonardi e Domenico Ricci (Ansa).

Ecco perché consiglio di leggere questo interessante libro-antologia che (introdotto dal generale Tullio Del Sette, comandante generale dell’Arma dal 2014 al 2017, e prefazione di Paolo Mieli) raccoglie i contributi di grandi firme: Giovanni Bianconi, Piero Colaprico, Andrea Galli, Carlo Lucarelli, Massimo Lugli, Roberto Riccardi, Valerio Varesi. In queste 159 pagine viene scolpito l’elogio alla semplicità dell’eroismo. Le diverse storie raccontate, alcune delle quali ormai dimenticate come quelle delle bombe ai tralicci in Alto Adige già negli anni Sessanta) vedono protagonisti mariti, padri, uomini semplici ma allo stesso tempo straordinari, consapevoli di essere un bersaglio, un “volto di Stato” da dover eliminare. Quando un carabiniere muore in servizio si usa definirlo “umile servitore dello Stato”. In questo libro l’aggettivazione viene consacrata nell’accezione più alta, servire lo Stato e quindi “donarsi” per il bene pubblico.

Di particolare interesse è la storia del maresciallo maggiore Felice Maritano, già eroe della guerra dei Balcani, internato in Germania fino alla fine del conflitto, promosso per meriti di guerra, che alla soglia della pensione si fa aggregare nel Nucleo speciale antiterrorismo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nel 1974, pur colpito da numerosi colpi di arma da fuoco, riesce a trarre in arresto il brigatista Roberto Ognibene. Se fosse il personaggio di un libro Maritano rappresenterebbe l’eroe romantico, che come scritto nella motivazione della medaglia d’oro al valor militare

… immolando in difesa della legge la sua esistenza e lasciando ai posteri un fulgido esempio di elette virtù militari e di esaltante dedizione al dovere.

Nella storia delle formazioni della sinistra eversiva colpisce la storia dei Gruppi armati Barbagia rossa (Gabr) che è forse l’unico caso in Italia di fidelizzazione avvenuta in carcere. Un folto numero di detenuti comuni, di origine sarda, che nelle carceri di Nuoro e dell’Asinara vengono reclutati da detenuti appartenenti alle Brigate Rosse e persuasi a dar vita a un gruppo di ideologia marxista – leninista. Il gruppo opererà per quattro anni nella sola Sardegna dando origine a un fenomeno interessante dal punto di vista socio/criminale precursore del processo di fidelizzazione attuata, 30 anni più tardi, dai terroristi islamici.

Sono da ringraziare gli autori che rendono un grande servizio alla causa della memoria (tra l’altro accendendo lodevolmente i riflettori sui parenti delle vittime, troppo spesso lasciati in secondo piano: vedove la cui vita subì una svolta tragica, orfani segnati per sempre dal trauma). Pochi giovani oggi sono consapevoli di quanta gratitudine dobbiamo a chi ha contrastato con intelligenza e abnegazione i gruppi che volevano abbattere la democrazia e la libertà in Italia.

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Gaetano Gramaglia, da 25 anni Carabiniere, attualmente riveste il grado di Maresciallo Ordinario presso la Tenenza di Cologno Monzese. Laureato in Scienze dell’investigazione, è stato impiegato in operazioni di peacekeeping in Bonia Herzegovina e in Albania. È sposato e ha tre figli.Gaetano Gramaglia, da 25 anni Carabiniere, attualmente riveste il grado di Maresciallo Ordinario presso la Tenenza di Cologno Monzese. Laureato in Scienze dell’investigazione, è stato impiegato in operazioni di peacekeeping in Bonia Herzegovina e in Albania. È sposato e ha tre figli.

A PROPOSITO/ Una pagina di “Carabinieri per la democrazia”

In principio fu Vittorio,

siciliano fucilato

da terroristi in Alto Adige

Il primo caduto, nella sequenza tragica del libro, risale al 3 settembre 1964, quando a Selva dei Molini, in Alto Adige, una fucilata troncò la vita del giovane carabiniere siciliano Vittorio Tiralongo. Il colpevole dell’omicidio non fu mai individuato, ricorda Roberto Riccardi, ma di certo si sa che a colpire furono i terroristi sudtirolesi tedeschi del gruppo Bas, decisi a combattere la presenza italiana, in quanto l’arma del crimine fu ritrovata in una delle loro basi. Con, nel finale, un particolare straziante.

Vittorio Tiralongo con la compagna Franca e la figlia Dina

Vittorio Tiralongo con la compagna Franca e la figlia Dina.

La grande Storia e le piccole. Come quella di Vittorio Tiralongo, venuto alla luce nella cittadina di Noto l’8 ottobre 1940. Cresciuto al sole della Sicilia, fra chiese barocche e imponenti scalinate, si arruolò nei carabinieri a 21 anni e, dopo una parentesi in Toscana, fu destinato a Trento.

In una regione così distante dai suoi affetti conobbe più sedi: si spostò dapprima a Cavalese, quindi nel 1964 fu assegnato alla stazione di Selva dei Molini. E si trovò catapultato in una vicenda più grande di lui.

Non sapeva quanto fosse cattivo, il vento che tirava lassù. Non era brezza di valle o di monte, ma una corrente che risaliva alla guerra. Nemmeno il nome del paese era un dato pacifico: se sulle cartine italiane era Selva dei Molini, per la maggioranza degli abitanti, poco più di un migliaio, si chiamava Muhlvald.

Ciò che si abbatté sul quel ragazzo venuto dalla Sicilia, per faccende lontane dai suoi pensieri quanto la Terra dalla Luna, è una tempesta che non meritava.

L’amore per Franca

La mattina del 3 settembre 1964 Vittorio Tiralongo si sveglia e compie le solite azioni quotidiane: il servizio, la mensa, la pulizia personale e della stanza. Il giorno passa e lui chissà che cosa ha in mente: magari pensa al padre, usciere presso il ministero del Tesoro a Roma, o forse alla madre, la tipica donna di casa in un’Italia che in quegli anni stava vivendo il suo boom economico. Oppure pensa ai tre fratelli maggiori, cui è tanto affezionato, due dei quali indossano uniformi differenti. Il primo, Salvatore, ha sedici anni più di lui ed è agente di custodia in servizio presso il carcere il Ragusa. Il secondo, Croce, è una guardia di pubblica sicurezza e lavora nella capitale.

Quel giorno Vittorio è molto dispiaciuto. Il 29 agosto sua figlia ha compiuto un anno di vita e lui doveva essere a casa per festeggiarla. Aveva pure il permesso firmato, ma all’ultimo momento è saltato tutto. “Motivi di sicurezza” gli ha spiegato il maresciallo. “Appena potrò ti lascerò partire”. Lui ha sbattuto i tacchi e si è subito rassegnato, non è la prima volta.

Non è neppure un viaggio lungo, 150 chilometri, dalla caserma che ospita la stazione dei carabinieri fino a casa della ragazza che ama e che gli ha dato una bambina.

Lo assale un moto di nostalgia.

Si ferma a ricordare con tenerezza il giorno in cui si sono conosciuti, due anni prima, a Trento, dove lui è stato trasferito e lei, per pagarsi il corso di stenodattilografia, lavora in un bar nei pressi della caserma.

Come racconta Franca Cornella, la ragazza di allora,

È stato un colpo di fulmine per entrambi. Abbiamo iniziato a guardarci da lontano, poi finalmente lui si è deciso. Doveva aver studiato a lungo la scusa per avvicinarsi, io non vedevo l’ora che lo facesse. Mi ha rivolto una battuta spiritosa e mi ha subito conquistata. Era un tipo allegro, sempre ottimista.

Dicono che il sorriso sia la strada migliore per raggiungere il cuore di una donna. Se si tratta di una regola, non è certo questa l’eccezione.

A dispetto di tutto il tempo passato, lei conserva del giovane siciliano un ricordo molto vivo. “Era il 1962, Vittorio era arrivato in Trentino da poco. Non potevamo sposarci, per regolamento doveva prima compiere 28 anni, sognavamo di farlo appena possibile”.

Lui sceglie di seguire le norme. Comunica la sua relazione al Comando e lo destinano a Selva dei Molini. L’anno successivo nasce la figlia, Dina, che il carabiniere riconosce legalmente.

Si vedono tutte le volte che possono. Per colmare le distanze Vittorio si è comprato una Vespa, quando non riesce a partire ci sono le lettere e il telefono pubblico di San Lorenzo in Banale, il paese in provincia di Trento di cui è originaria Franca, e dove è tornata a vivere con i genitori e con la piccola Dina.

Il pericolo si sente, ci sono stati diversi attentati, ma i due innamorati non sono sfiorati dal pensiero della morte. Vittorio poi è sempre stato rassicurante, ci scherza persino su.

“Avevamo un nostro codice”, spiega la donna. I giorni in cui avvengono le esplosioni lui le dice semplicemente: “I miei amici si sono fatti sentire”. La frase successiva è: “Devo salutarti”. Vittorio è autista, così dopo gli attentati lo impiegano per guidare la camionetta e perlustrare il territorio.

Il destino di un giovane padre si compie intorno alle 21,30. In caserma è solo, quella sera tocca a lui il turno di vigilanza. Il brigadiere Giuseppe Carpinelli e il carabiniere Filippo Sottimano sono in libera uscita. Al collega Francesco Paglianiti, che era rimasto a fargli compagnia, è stato lo stesso Tiralongo a chiedere se poteva andare in paese per una commissione: Vittorio accusa dolori allo stomaco, una bevanda tonica potrà aiutarlo a stare meglio. L’abitato di Selva dei Molini non è distante, giusto un paio di chilometri, ma quel tempo basterà agli assassini per entrare in azione.

Il bagno è collegato agli altri locali della caserma attraverso un ballatoio esterno. Il carabiniere esce per raggiungerlo, ad attenderlo è un colpo di fucile in pieno petto. Uno sparo e tutto si cancella: gli affetti, la gioia, i baci sul volto amato di una bimba che non potrà più conoscere il padre…

Dopo i funerali, Franca fa ritorno al suo paese. Nel petto ha un macigno, la mancanza di Vittorio che non riesce ad accettare. Nella mente la più nera delle preoccupazioni: una ragazza di 21 anni, con una figlia così piccola, quale futuro potrà avere?

Qualche giorno dopo, un nuovo tuffo al cuore. Si presenta il postino, ha una lettera. È di Vittorio, reca la data del 3 settembre. L’ha imbucata poche ore prima di morire.

Franca apre in fretta la busta, inizia a leggere con gli occhi che già le si riempiono di lacrime. Nelle prime righe Vittorio le scrive del pericolo. Ma è solo un accenno, il resto sono frasi d’affetto. Conclude annunciando che verrà presto, appena possibile, e porterà un regalo per la bambina.

A distanza di tanti anni la sofferenza pesa ancora su Franca, che oggi vive a Trento e si è sposata con un carabiniere, hanno avuto tre figli.

Non sono capace di perdonare. Non l’ho fatto allora e non ci riesco neppure adesso. È stata un’azione crudele e vigliacca, lo hanno colpito a tradimento. Lui non c’entrava niente, non aveva fatto nulla di male.

Uno dei figli, Franca, lo ha chiamato Vittorio. Porta un altro cognome ma non importa. Quel nome onora il compagno che le fu rubato in una sera di settembre, più di mezzo secolo fa. Il primo grande amore della sua vita.

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