Non sei veramente fregato finché hai una buona storia e qualcuno a cui raccontarla

(Alessandro Baricco, Novecento)

Quand’ero ragazzo amavo i cartelloni che annunciavano i film al Supercinema del mio paese nel Tavoliere pugliese: insieme al poster della pellicola, il titolare della sala aggiungeva poche parole chiave: “Amore, avventura, azione, lieto fine: c’è tutto stasera sul grande schermo…”. Come resistere a un invito del genere? Prendo in prestito da quel creativo imprenditore il meccanismo per presentarvi il libro di piacevolissima lettura che da qualche settimana mi fa compagnia: “Giustizia, solidarietà, famiglia, perdono, amore, salvezza, guerra, violenza… C’è tutto nel quinto romanzo della psicoterapeuta e scrittrice di successo Maria Rita Parsi (sopra il titolo), da sempre dalla parte dei bambini e di chi è più degno della nostra umanità”.

Il libro (Stjepan, detto Jesus, il figlio, Salani editore, 104 pagine, euro 13,90) è interessante come un buon film che mantiene la parola. Il protagonista, un figlio della violenza, così si presenta nelle prime righe:

Mi chiamo Stjepan, detto Jesus perché sono nato il 25 dicembre a mezzanotte, nel convento delle suore cristiane di San V. nella città di S.

Pagina dopo pagina, il lettore viene condotto per mano da Stjepan, bambino abbandonato dalla madre che non sapeva come amarlo e non voleva odiarlo, nel suo viaggio verso la salvezza e il perdono perché, come racconta il sottotitolo, i bambini hanno il potere salvifico: vengono al mondo per salvarlo e per salvare i loro genitori.

L’incipit

La prima pagina chiarisce la cornice temporale entro cui va inquadrata la vicenda di Stjepan. Porta la data di martedì 3 settembre 2019, giorno in cui l’ONU ha preso una decisione storica: la Bosnia dovrà risarcire le donne vittime degli stupri di massa durante la guerra nei Balcani. Scrive la Parsi, che ha creato la Fondazione Movimento Bambino Onlus e, come personaggio di spicco del nostro Paese, ha rappresentato l’Italia nel Comitato delle Nazioni Unite per i diritti del Fanciullo:

“Questa decisione è destinata a fare la storia. L’ONU ha ordinato alla Bosnia di compensare una donna che fu rapita e violentata ripetutamente da un soldato durante la guerra negli anni Novanta. Un caso che farà da apripista a un piano attualmente in via di elaborazione su richiesta della Commissione delle Nazioni Unite contro la tortura. I fatti al centro della vicenda riguardano un soldato serbo che nel 1993 a Sarajevo abusò di una ragazza (la cui identità resta protetta) mettendola incinta. La testimonianza sulla sequenza dei fatti è stata così dettagliata da non lasciare ombra di dubbio. La compensazione per i danni morali e materiali subiti ammonterebbe a 15.000 euro, anche se il soldato serbo ha dichiarato di non poterli pagare perché nullatenente. I funzionari dell’ONU hanno stabilito che occorre arrivare a uno schema di risarcimenti più ampio, applicabile ad altre vittime, in base alla convenzione contro la tortura. Si calcola che durante la guerra nei Balcani circa 20.000 donne siano state violentate da soldati: lo stupro veniva utilizzato come arma di distruzione di massa. I morti accertati a seguito del conflittto sono 100.000”.

Sotto l’ala della bisnonna

Stjepan, cresciuto sotto l’ala protettiva della forte e allegra bisnonna Anja, a nove anni decide di partire alla ricerca della mamma, accompagnato solo dalla sua tartaruga, dal suo cane e dalla sua inseparabile macchina fotografica (tipografici click fanno scattare idealmente immagini evocate durante il racconto). Un viaggio che lo condurrà all’incontro con la madre Mariaka, in fuga da sé stessa, che cambiava un lavoro dopo l’altro: la conoscerà e la perdonerà (incontro che segna la fine della prima parte del libro).

Ma Stjepan ha ancora un desiderio: andare a trovare in carcere suo padre biologico, Zlasko, condannato a 30 anni di galera per quello stupro, per dimostrargli, con una lettera finale, che la sua esistenza di bambino è la risposta umana alla disumana violenza di lui, padre. E che la sua sola vendetta sarà non diventare come lui.

Attraverso la storia di Stjepan, la Parsi riapre un capitolo dimenticato della nostra storia recente, quello degli stupri “etnici” da parte di soldati dello schieramento opposto. Lo fa con una scrittura sapiente e lieve: il bambino non fa gravare la tragedia che l’ha colpito. Ha voluto dar fiducia all’umanità: tutte le persone che Stjepan incontra (a cominciare dal compagno Gabriele che lo protegge e gli indica cosa fare) gli dimostrano solidarietà, lo rispettano, gli vogliono bene, non lo perseguitano. Rispetto, mescolanza di etnie e religioni, attenzione agli “ultimi” si mescolano positivamente pagina dopo pagina.

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La scrittrice e psicoterapeuta Maria Rita Parsi di Lodrone (Roma, 1947), nota al grande pubblico per le sue numerose pubblicazioni di tipo scientifico e divulgativo. Nel 1986 è stata insignita del titolo di
Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.

Stjepan, detto Jesus, il figlio - Maria Rita Parsi

Maria Rita Parsi, Stjepan, detto Jesus, il figlio, Salani editore, 104 pagine, euro 13,90

Altri giganti

Questo libro-denuncia contro lo stupro e la guerra fa affiorare alla mia mente episodi e personaggi che a quei temi e a quelle terre sono collegati. Mi limiterò a ricordare un uomo e una donna: in primis l’editore Ico Mutevelic, fuggito da Mostar allo scoppio della guerra nella ex Jugoslavia con la valigia piena dei suoi amati libri e persino dei caratteri tipografici, legato da una fertile amico con il pittore Giulio Turci e Santarcangelo di Romagna.

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L’editore Ico Mutevelic con la sposa-musa di Giulio Turci, Terza, custode fino al 2017 della casa-museo della memoria del pittore Giulio Turci in via Don Minzoni 49 a Santarcangelo di Romagna. A febbraio 2021 le sorelle Miresa e Vilma Turci hanno donato all’Amministrazione comunale un carboncino realizzato dal padre, “donazione importante che arricchisce
il prestigio delle collezioni pubbliche del Comune romagnolo” (sindaco Alice Parma).

La seconda immagine personale mi riporta al gennaio 2006, all’incontro a Percoto, il borgo friulano sede dell’annuale assegnazione del Premio Nonino, con una piccola ma indomita donna argentina: Evel Aztarbe de Petrini, segretaria dell’associazione delle Madri Coraggio di Plaza de Mayo.

Evel Aztarbe de Petrini

Evel Aztarbe de Petrini, onorata a Percoto nel 2006 con il Premio Nonino per il suo impegno nella ricerca dei figli dei desaparacidos argentini.

In quell’occasione Evel raccontò ai presenti, ammutoliti e commossi, la storia dei 10mila bambini comprati o dati in adozione senza alcuna pratica ufficiale, sottratti a genitori desaparecidos vittime della dittatura di Videla tra il 1976 e il 1983: uno scandalo scoperto grazie alle ostinate e coraggiose nonne di Plaza de Mayo, a una banca dati genetici (il Banco Nacional de datos Geneticos, diretta da Mariana Herrera “perché la memoria non si disperda”) e a cacciatori di Dna da loro attivati. Tramite questa iniziativa sono stati individuati oltre 130 dei bambini rubati.

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A PROPOSITO/ La mia intervista per “Sette - Corriere della Sera”, febbraio 2014

Quando la Parsi mi illuminò il suo spirito guida: Giovanni Bollea, esploratore delle menti bambine

Giovanni Bollea - ritratto digitale Streamcolors

Giovanni Bollea (Cigliano Vercellese, 1913 – Roma, 2011), padre della neuropsichiatria infantile. Ha scritto, per Feltrinelli: Le madri non sbagliano mai e Genitori grandi maestri di felicità. Per lui lo scopo dell’educazione è “la gioia di vivere insieme”.

Cara Maria Rita, un sondaggio fatto da ricercatori di Cambridge indica che noi italiani ce la passiamo male in vari settori ma primeggiamo per la solidità della famiglia. Siamo infelici socialmente, ma soddisfatti in casa.

“A parole. Nella realtà la sofferenza dell’istituzione familiare è enorme. E chi paga il prezzo più alto sono i bambini. Mai si è registrato un picco così forte di sofferenza, disagio, depressione dei bambini. Viviamo in una società che non li prevede. Si sente la mancanza di quella rete terapeutica di sostegno alla famiglia che auspicava il mio spirito guida, Giovanni Bollea, fondatore della neuropsichiatria infantile”.

Bollea ha creato anche l’istituto di via dei Sabelli a Roma, eccellenza della sanità pubblica, con i ragazzini in cura immortalati dal film Il grande cocomero di Francesca Archibugi.

“Un centro che rischia da anni per tagli indiscriminati. E queste difficoltà simboleggiano bene la fatica che fa ad affermarsi in Italia la rete terapeutica sognata da Bollea, un servizio offerto a famiglia e scuola da una squadra interdisciplinare di genitori, insegnanti, psicologi, assistenti sociali, divulgatori”.

Questa rete che sembra utopia in Italia dove si è realizzata?

“In Finlandia, e tu conosci bene quella situazione in quanto ne hai parlato nel tuo libro Voglia di cambiare, edito da Chiarelettere. Lì hanno investito molto sul capitale umano più importante per il paese: i bambini, appunto”.

Quando hai incontrato Bollea per la prima volta?

“Era il 1987, lui aveva appena fondato l’Alvi (Alberi per la vita) con lo scopo di rimboscare il territorio italiano, creando nuove aree verdi o restaurando boschi degradati. Sì, perché un aspetto meno noto dello psichiatra è l’essere stato un fervido ambientalista, impegnato in battaglie per dare parchi e luoghi di gioco per i bambini. Sollecitava le famiglie a rinunciare a qualche gioiellino per poter donare al neonato il suo bagaglio di ossigeno. Fu uno dei padri di una legge bella e poetica ma pressoché ignorata, la n. 113/1992 cosiddetta ‘Rutelli’, che impone di piantare un albero per ogni bimbo che nasce. Prima di andarsene, tre anni fa, l’ho sentito raccontare ai bambini: ‘Ho incontrato un albero grande e grosso. Ci siamo guardati e lui mi ha detto: siamo entrambi alla fine’ “.

Quale sarebbe il modo migliorare per onorare la memoria di questo esploratore di menti bambine?

“Piantare alberi per dare più ossigeno ai polmoni dei bambini. Far crescere la rete interdisciplinare per le famiglie e formare i formatori per dare più ossigeno ai loro neuroni”.

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L’albero dei gioielli librari

targato Parsi, da rileggere

I titoli forti della psicoterapeuta e scrittrice

  • Il più attuale: Manifesto contro il potere distruttivo (Chiarelettere, 2019; ristampato da Curcio 2013). Perché analizza, partendo dall’angoscia di morte, madre di tutte le angosce umane, i meccanismi difensivi che alimentano, tra gli altri, anche i comportamenti “distruttivi”, a danno di sé stessi, degli altri, della Natura. E, dunque, il potere distruttivo (guerre, sfruttamento, violenze, abusi, maltrattamenti, criminalità). E, propone, anche un “Decalogo del potere costruttivo” a cui individui e collettività possono fare riferimento come a un autentico percorso di crescita personale, familiare, sociale, educativo, spirituale, culturale, economico, governativo.Maria Rita Parsi e Salvatore Giannella
  • Il più profetico: Generazione H (Piemme, 2017). Indagine sui ragazzi, dai Millennials in poi, esposti fin dalla più tenera età alla seduzione del web e sperduti tra Hikikomori, Blue Whale e sexting. Pagine utili per gli “adulti autorevoli”, genitori, educatori, legislatori, scienziati, artisti, governanti non.Generazione H - Maria Rita Parsi
  • Il più corrosivo: Ingrati. La sindrome rancorosa del beneficato (Mondadori 2011, 2013). Perché analizza la peggiore delle umane vergogne: l’ingratitudine laddove l’invidia non diventa emulazione, rispetto, ammirazione ma, al contrario, desiderio di svalutare, negare, denigrare, danneggiare e, perfino, eliminare il benefattore.Ingrati. La sindrome rancorosa del beneficato - Maria Rita Parsi
  • Il più coraggioso: I quaderni delle bambine (Mondadori, 1990, 1992). Perché, in Italia, è la prima, aperta, effettiva denuncia degli abusi incestuosi e pedofili subiti dalle bambine: in famiglia, da parte di parenti ma anche di educatori, guide spirituali, adulti irresponsabili.I quaderni delle bambine - Maria Rita Parsi
  • Il più scientificamente spirituale: Doni. Miracoli quotidiani di gente comune (Mondadori, 2012). Perché analizza i vissuti transpersonali alla luce della primaria esperienza del nascere alla vita che, poi, finirà con la morte e affronta “l’evento miracoloso” come quotidiana, quantistica, sincronica esperienza che ogni uomo può fare della miracolosa possibilità di sciogliere nodi, presagire eventi, curare mali estremi , risolvere e rinascere.Doni. Miracoli quotidiani di gente comune - Maria Rita Parsi
  • Il più “femminista”: Single per sempre. Storie di donne libere e felici (Mondadori, 2007, 2009). Perché affronta, attraverso testimonianze e percorsi, il profondo cambiamento che le donne stanno determinando nel nostro Paese, e, ovunque, nel mondo, attraverso l’istruzione, il lavoro, la libertà sessuale intesa come diritto oltre all’effettivo raggiungimento della parità in ogni settore della vita pubblica e privata.Single per sempre. Storie di donne libere e felici - Maria Rita Parsi

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