Se oggi milioni di adulti e di ragazzi in tutto il mondo imparano, giocano e si divertono con i calcolatori da tavolo; se stanno avanzando le intelligenze artificiali; se sta arrivando l’era impressionante dei robot che ragionano e se è possibile fare previsioni fantastiche su quello che l’elettronica più sofisticata prepara per l’immediato futuro, tutto questo si deve in buona parte all’opera di un genio italiano trapiantato in California da 16 anni. In particolare, si deve alla comparsa e agli sviluppi di una sua invenzione: il chip, o microprocessore, cioè quel marchingegno grande quanto una capocchia di fiammifero che svolge le funzioni di calcolo e di elaborazione logica delle informazioni per le quali, appena pochi anni fa, occorrevano macchine che occupavano lo spazio di una stanza. Questo italiano si chiama Federico Faggin, ha 43 anni, capelli imperlati di grigio e occhiali cerchiati d’oro. E questa è la sua storia, una moderna favola ricostruita attraverso il suo minuzioso racconto.
C’era una volta, a Vicenza, una coppia felice: lui, Giuseppe Faggin, insegnava filosofia al liceo classico Pigafetta, ed era uno di quei prodigiosi professori dei licei di un tempo che, oltre ai misteri del pensiero di Aristotele e Kant, insegnavano ai ragazzi i valori della vita e dell’opera umana dando loro la capacità di critica oltre che di studio; lei, Emma, univa alle qualità di brava insegnante di scuola elementare quelle di brava casalinga. La nascita del figlio Federico, nel 1941, coincise con una dura scelta: abbandonare la casa di Vicenza, danneggiata dai bombardamenti, e trasferirsi per precauzione in un paese più tranquillo, Isola Vicentina.
Primi passi all’Olivetti
Sicuramente Federico trasse dal padre la curiosità e l’amore per la speculazione scientifica, che è poi alla base di ogni ricerca, ma vi aggiunse la sua straordinaria capacità sperimentale. Attratto dai prodigi dell’elettronica piuttosto che dalle astrazioni della filosofia, si diplomò all’istituto tecnico industriale Alessandro Rossi a Vicenza, poi entrò a lavorare nel 1960 come tecnico nel laboratorio elettronico della Olivetti a Borgo Lombardo (Milano).
Non dice se allora era sua intenzione di proseguire per quella strada o compiere soltanto un’esperienza di qualche periodo per poi tornare nelle aule scolastiche e concludere la sua formazione teorica; fatto sta che la realtà operativa di un laboratorio di ricerca industriale dette al giovane la consapevolezza che, se voleva scalare le vette dell’elettronica, doveva formarsi, con un corso regolare di laurea, una solida base di cultura scientifica.
Nel 1961 entra nell’ateneo di Padova e quattro anni dopo ne esce dottore in fisica, con una tesi sperimentale (oggetto: un dispositivo ottico ed elettronico per leggere fotogrammi di macchine collegate a sperimentazioni nucleari) che gli valse il massimo dei voti e la “summa cum laude”. Faggin sentiva di avere gli strumenti che gli consentivano di riprendere l’opera in un laboratorio di elettronica con ben più ampie prospettive rispetto a quelle di un semplice tecnico. Per alcuni mesi accettò il lavoro di assistente universitario che uno dei suoi professori gli aveva offerto il giorno stesso in cui aveva discusso la tesi. Ma il mondo di Federico era un altro: era quello dell’industria dove si creano e si sviluppano le apparecchiature, le macchine, i sistemi destinati all’immediata utilizzazione.
All’epoca sorse a Milano una piccola azienda, la Ceres, e Faggin vi si mise al lavoro con entusiasmo. Erano gli anni dei primi calcolatori, macchine di enorme ingombro e costo. “Per intenderci, il computer di una banca italiana occupava una superficie di almeno 300 metri quadrati, richiedendo condizioni ambientali (come la temperatura e l’umidità costanti) tali da comportare una gestione molto costosa”, ricorda il fisico veneto.
Nel 1966 Faggin sviluppa i primi circuiti elettronici “a film sottili”, antenati degli attuali sofisticati chip.
Nel mondo dell’elettronica, le notizie sulle capacità di chi vi opera corrono rapide. I dirigenti della SGS di Agrate Brianza (oggi l’azienda di punta del gruppo Iri nel settore dei circuiti integrati) chiamano il giovane fisico vicentino e gli offrono un posto di ricercatore. Le idee e le capacità sperimentali di Federico lo portano in breve alla testa di un gruppo di giovani che crea i primi circuiti integrati a Mos (da: Metallic Oxide Semiconductors), semiconduttori che sfruttavano un nuovo principio per il loro funzionamento.
Agli inizi, 12 dollari a trasferta
Ed ecco l’invito a Faggin a trapiantarsi, almeno per un certo periodo, nel cuore operativo dell’azienda nell’area tra San Francisco e San José, in California, la mitica Silicon Valley.
“Arrivai a Silicon Valley con mia moglie”, rievoca Faggin, “e dovevamo riuscire a vivere con una trasferta giornaliera di appena 12 dollari. Dopo poche settimane dovemmo chiedere un prestito a un amico per poter tirare avanti”. Ma, in compenso, se mancavano i soldi, abbondavano le idee: “Proprio in quel periodo sviluppai una nuova tecnologia per la fabbricazione di circuiti integrati a Mos, di prestazioni enormemente superiori a quelli precedenti. Questa tecnologia è stata più tardi adottata da tutte le multinazionali dell’elettronica. Fu chiamata Silicon Gate Technology. Permetteva di aumentare sia la velocità sia la quantità di dispositivi integrati, qualità che sono alla base dei moderni microprocessori”.
Siamo nel 1970: nella Silicon Valley, com’era avvenuto in Italia, la fama di questo ricercatore si diffonde rapidamente e un’altra azienda californiana, la Intel, offre a Federico condizioni migliori (“No, niente aumento di stipendio, ma una piccola percentuale delle azioni dell’azienda: mille su 2 milioni”) e il fisico cambia laboratorio. Da questa nuova officina esce il 4004, il primo microprocessore a “parole” di quattro bit (il bit, che può assumere la forma di zero o di uno, è l’elemento fondamentale dell’informazione che viene manipolata). Elaborare “parole” di quattro bit, significa essere 16 volte (16 è uguale a due alla quarta potenza) più veloci rispetto a un sistema capace di lavorare solo un bit alla volta.
Dal ’70 al ’74, Faggin, con il gruppo di lavoro da lui diretto (comprende americani, ma anche giapponesi e cinesi), progetta e realizza oltre 30 tipi di circuiti integrati Mos a grande livello di integrazione, dai microprocessori alle nuove micromemorie che oggi operano in ogni calcolatore da tavolo.
Amarezze e delusioni
Ma, come in ogni favola, non mancano gli aspetti meno felici: anche Federico Faggin ebbe la sua dose di amarezza e delusione. Per caso scoprì che uno dei suoi capi (per giunta proclamatosi sempre suo amico sincero) si era appropriato di una buona parte delle sue idee e delle sue metodologie sperimentali originali e aveva brevettato il tutto. Faggin ovviamente ne soffri: più per la delusione del tradimento di un amico che per il valore concreto del danno subito. Ma non ricorse né a tribunali, né ad avvocati. Aveva altro per la testa: voleva un’azienda sua, per dare il meglio di quello che sentiva dentro.
Ecco un’altra caratteristica formidabile di questo veneto, la capacità imprenditoriale:
Nasce cosi la prima industria di Faggin. Lui la battezza con un nome apparentemente misterioso e fantastico, Zilog, che però ha un significato preciso: l’ultimo grido nel settore elettronico, perché la Z è la lettera finale dell’alfabeto latino, la I sta per Integrated e log sta per logica. Con la Zilog, Faggin crea il più famoso dei microprocessori, lo Z80. Il successo dell’impresa è tale che in appena sei anni l’azienda giunge a contare 1.400 dipendenti e un volume di vendite di oltre 70 miliardi di lire. Siamo arrivati al 1980. Tutto va a gonfie vele. La comparsa e gli sviluppi dei microprocessori creano l’attuale boom dell’elettronica diffusa e dei prodigi di quella più sofisticata. Lo Z80 è la prima delle numerose realizzazioni che hanno aperto la strada alla nuova elettronica indicata dagli addetti ai lavori con la sigla di Vlsi (Very Large Scale Integration, integrazione a grandissima densità). Un esempio per tutti: oggi si possono addensare in un solo microprocessore alcune centinaia di migliaia di componenti attivi e passivi; le previsioni sono di arrivare a un milione e mezzo di componenti entro il 1988.
Il fisico-inventore-tecnologo e imprenditore italiano toccato dal successo aveva di che riposarsi sugli allori e di che godersi il frutto della sua intelligenza e del suo lavoro. Ma c’era, e c’è, qualcosa nella personalità di Faggin che lo spinge verso il nuovo, verso le frontiere da esplorare.
Un amore per la California
La Exxon, che aveva consentito la nascita della Zilog di cui Faggin era presidente e responsabile per la ricerca e le applicazioni, è un mastodonte che non ha tutta la flessibilità di cui Faggin ha bisogno.
Cosi, nel 1981, rinunciando ai meritatissimi onori e quattrini, Faggin lascia Zilog e, mentre i suoi compagni di scuola a Vicenza lo invitavano a cene in cui l’argomento principale era la pensione, con gruppo di amici fonda un’altra industria: più piccola, più agile, ma non meno agguerrita della prima. Anche questa volta per la sua azienda (e per la targa personalizzata della sua auto, una Mercedes coupé), Faggin sceglie un nome curioso e fantastico: Cygnet Technologies (le tecnologie del piccolo cigno). In meno di due anni sforna un nuovo sistema di telecomunicazioni grafiche e vocali via computer che sta riscuotendo un enorme successo. All’ultima mostra internazionale dei nuovi prodotti dell’elettronica a San Francisco, la nuova creatura di Faggin ha vinto il premio per la migliore realizzazione elettronica dell’anno.
Si tratta della prima applicazione di un’idea dello stesso Faggin: nel giro di poco tempo potrebbe rivoluzionare gli attuali metodi di comunicazione e i sistemi interattivi, impiegati per lo scambio e l’elaborazione delle informazioni tanto nei rapporti di lavoro, quanto nei sistemi di collegamento personali. Questo prodigio elettronico è il frutto dell’accoppiamento logico di un calcolatore da tavolo (che qui funge anche da terminale) e di una “scheda” elettronica farcita di microprocessori e collegata a una normale apparecchiatura telefonica. Il tutto consente di compiere con grande efficienza operazioni come la semplice quanto rapida rubricazione dei numeri telefonici; loro chiamata nell’istante desiderato e memorizzato giorni o mesi prima; la trasmissione in tempo reale (o dilazionata a piacere) nello schermo ricevente delle informazioni con parole, grafici, numeri e con la voce (poiché, fra l’altro, il sistema offre possibilità di contemporaneamente in rete) in modo da poter discutere e commentare i dati scritti su schermo o prodotti su carta da stampante accoppiata. In altre parole i vari interlocutori operano come se fossero seduti allo stesso tavolo, indipendentemente dal fatto che si trovino nella stanza accanto o in un altro continente. È la “teleconferenza da scrivania a scrivania”.
Inoltre il “telefono intelligente” Faggin, collegato al computer, realizza il sogno di molti dirigenti e tecnologi di aziende industriali e di imprese commerciali: la possibilità di evitare perdite di tempo per gli spostamenti e persino l’incomodo di interrompere il proprio lavoro per rispendere a una telefonata, di rinunciare a una comunicazione che pure può essere interessante. Ma il nuovo sistema fa ancora dell’altro. Consente la posta elettronica, da utente a utente, con possibilità di trasmettere e ricevere comunicazioni nelle ore in cui l’occupazione delle linee costa di meno.
C’è anche un calendario elettronico che può fissare e disdire appuntamenti in modo automatico. I numeri chiamabili in modo automatico dal computer sono 400; in più è possibile comunicare con qualunque banca dati.
In sostanza, siamo quasi alla segretaria automatica capace di svolgere quello che una brava impiegata in carne e ossa potrebbe fare solo a patto di restare in servizio 24 ore al giorno.
Grazie anche a quest’ultima creazione, Federico Faggin vive felice in una splendida casa con piscina a Los Altos, una delle zone residenziali più esclusive della valle dei computer, con vicini di casa che si chiamano Hewlett e Packard, fondatori dell’omonima azienda.
Vive insieme a Elvia, la moglie (39 anni vicentina pure lei, una laurea in lettere presa a Padova) e ai figli: Marzia, Marc ed Eric. E intanto matura una nuova idea. Sulla quale forse ricordando il caso dell’amico che gli “soffiò” il brevetto, preferisce per adesso tener la bocca chiusa.
A PROPOSITO/ La carta deontologica varata dall’UGIS
Il “Manifesto di Piacenza” per valorizzare
il giornalismo scientifico, bussola
contro le fake news e le numerose crisi
Questo documento è stato redatto e presentato ufficialmente il 1° dicembre 2018 a Piacenza, in un convegno dell’UGIS (che aveva visto presidente Giovanni Caprara e tra i partecipanti, come socio, anche chi cura questo blog che su queste indicazioni ha basato la sua attività quarantennale) e confermato con il laboratorio di sperimentazione formativa (dicembre 2018-novembre 2020. Un incontro e un documento frutto della riflessione su come vengono affrontate le materie scientifiche e la ricerca nel fare informazione.
Premessa
L’informazione ha assunto – nel corso degli anni – sempre maggiore rilievo per l’opinione pubblica, anche grazie alla facilità di approccio consentita dal web, affrontando e approfondendo tematiche nuove, prima ristrette nella considerazione del prodotto giornalistico.
Il giornalista, nello svolgimento del suo lavoro, fa riferimento costante al deontologico “Testo Unico dei doveri del giornalista” dell’Ordine dei Giornalisti, in particolare per ciò che riguarda la tutela dei soggetti deboli, tema che fa parte dei princìpi generali ai quali ogni giornalista si attiene al fine di svolgere la propria professione con la necessaria correttezza. Nel definire questo documento partiamo dalla constatazione che il giornalismo, quando si occupa della scienza, non è mai stato oggetto di una particolare attenzione deontologica se non per quel filone che si occupa della medicina, con particolare riguardo alla tutela della privacy dell’utente malato e allo sviluppo e approfondimento della bioetica.
Questo testo a carattere deontologico è rivolto a tutti i giornalisti, per offrire alcune indicazioni utili nel momento in cui si trovano a occuparsi di materie scientifiche, nelle tecniche e modalità che usano per la loro attività professionale:
Princìpi
- Formazione dedicata
La scienza (con i suoi aspetti teorici, sperimentali, tecnologici, medico-sanitari e sociali) fa parte della nostra cultura e la sua divulgazione necessita in primis di una formazione dedicata. In tal senso va ribadito l’obbligo alla formazione permanente sempre più qualificata, concetto, peraltro, contenuto nello stesso Statuto dell’UGIS. Il giornalista ha, infatti, l’obiettivo di allargare la propria visione e conoscenza delle problematiche del settore, nella consapevolezza che non si tratta solo di un obbligo di legge, ma di una grande opportunità di crescita professionale, oltre che una necessità di aggiornamento.
- Rapporto con le fonti
Nel corso della propria attività il giornalista ha l’obbligo di ricorrere, soprattutto quando si occupa di materie scientifiche, a fonti qualificate sia di carattere nazionale che internazionale, a enti di ricerca italiani e internazionali. Il rapporto con le fonti, cioè con gli scienziati, deve essere distaccato per poter esercitare la necessaria visione critica, la quale deve essere sostenuta dal costante aggiornamento. Inoltre le fonti di consultazione devono essere molteplici per poter effettuare una valutazione più precisa.
- Processi informativi
Il giornalista deve tener conto dei diversi aspetti della ricerca scientifica i cui risultati diventano talvolta materia economica innescando processi informativi diversi di cui tener conto.
- Dovere Etico / correttezza e veridicità notizia
Occorre esercitare, in questo delicatissimo campo, un dovere etico che si basa sulla verifica e il confronto per certificare la correttezza e veridicità di una notizia al fine di non dare spazio al rilancio di notizie gonfiate e non veritiere. Il tutto nel rispetto delle normative in vigore in materia di privacy ed eventuali e successive modifiche, sia a livello nazionale che europeo.
- Non creare aspettative infondate o allarmi ingiustificati
Tra gli scopi del lavoro del giornalista c’è quello di non creare aspettative infondate da una parte o ingiustificati allarmi dall’altra su novità scientifiche ed eventuali scoperte (soprattutto trattando temi legati alla salute), segnalando anche l’esistenza di necessari e ineludibili tempi di ulteriori ricerche e sperimentazioni che possono durare anche anni, prima che una scoperta scientifica possa arrivare a una applicazione e diffusione nella società.
- Rapportarsi a differenti posizioni e analisi scientifiche
Se non vi è certezza relativamente a un argomento scientifico occorre dar conto delle differenti posizioni in campo e delle diverse analisi.
- Gestione complessiva di una notizia scientifica
Cautela, prudenza ed equilibrio sono tre parole chiave fondamentali nel percorso di gestione di una notizia scientifica attraverso i media e ciò rimanda all’alta qualificazione che deve caratterizzare sempre il lavoro del giornalista quando affronta notizie scientifiche. Senza dimenticare un confronto costante a livello non solo nazionale, ma europeo e internazionale, nell’ambito degli atteggiamenti sia degli organi informativi che della società civile anche nelle sue forme di aggregazione.
- Nelle redazioni: giornalista scientifico mediatore preparato
È necessario sostenere quindi la presenza nei media del giornalista scientifico come mediatore preparato alla specifica informazione. Il suo apporto e ruolo deve essere prioritario nel trattare l’informazione scientifica e deve essere separato dagli interventi dei ricercatori. Questi ultimi possono esercitare soprattutto un ruolo di commentatori come avviene nei media internazionali, diverso, quindi, da quello del giornalista scientifico al quale compete garantire la pienezza dell’informazione.
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- Prada, un secolo portato bene. Storie di donne e di uomini che hanno disegnato il nostro stile nel mondo
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- A Como il primo liceo dell’artigianato, dove i ragazzi imparano anche i mestieri. Oltre alla formazione liceale, la scuola “Oliver Twist” nella città lariana offre l’insegnamento delle arti della cucina e dell’accoglienza, dell’arredo ligneo e del tessile (con un articolo ritrovato su “Inventiamo la nuova scuola” che mi mandò Umberto Eco, NdR)
- Favini, la carta antica che profuma di economia circolare. A volte bisogna cambiare l’immaginario collettivo per orientare la produzione industriale in senso sostenibile. La storia della cartiera Favini di Rossano Veneto (280 anni di attività, oltre 150 milioni di euro di fatturato e 500 dipendenti) ne è un esempio concreto
- Il caffé etico nel mondo? Per il terzo anno parla in italiano e viene da Trieste. Porta la firma di Illy, tra le World’s Most Ethical Companies elencate dall’Istituto Ethisphere che ha premiato l’azienda per la sua attenzione nei confronti dei coltivatori
- In Sardegna le mani sapienti degli artigiani battono l’industria. Nell’isola dove soffrono il tessile, la petrolchimica e altri settori industriali, resistono i telai della tradizione e “il sapere della mano”
- Giovanni Rappazzo, il padre del film sonoro. Nella Giornata mondiale della proprietà intellettuale, a poco più di due decadi dalla scomparsa del geniale inventore messinese che ha dato la parola al cinema muto vogliamo ricordare come, per sfortune economiche e cecità del sistema industriale italiano, si è visto “scippato” dagli americani la sua rivoluzionaria creatura
- Hong Kong, Macao e Cina hanno aperto il ponte dell’unificazione e dei record. Che grazie a Gruppo Trevi parla anche italiano, anzi romagnolo
Ciao Salvatore, una chicca trovata in rete: Federico Faggin fu assunto in Intel per realizzare il primo microprocessore, il 4004 (era il ’71). Questo processore è “ancora in vita”: lo monta la sonda Pioneer 10 che tu hai raccontato in passato e poi sul blog.
Caro lettore, il tuo accenno mi fa rivivere un’emozione intensa: quella della ricostruzione del viaggio della sonda che, per renderla più efficace, raccontai come fosse una favola a mio figlio Giacomo. Invito a rileggerla: Buon viaggio Pioneer 10, portaci tutti nell’infinito.