A volte bisogna cambiare l’immaginario collettivo per orientare la produzione industriale in senso sostenibile. La storia della cartiera Favini di Rossano Veneto (280 anni di attività, oltre 150 milioni di euro di fatturato e 500 dipendenti) ne è un esempio concreto. Come quando, nel 1991, rispose all’appello del Comune di Venezia per recuperare le alghe in eccesso dagli ambienti lagunari. Il progetto Favini fu l’unico a funzionare, come ci racconta il Brand manager Michele Posocco: “Fu sviluppato con ENEA e CNR ed è stato l’unico di successo: fu commercializzato in tutto il mondo”. Non tagliarono invece il traguardo quelli relativi alla cosmesi o ai mangimi, perché l’alga puzza e gli animali non la mangiano.

Tutto ebbe inizi con “un’idea geniale e controcorrente” racconta Posocco. “Ricavare cellulosa dalle alghe, come previsto, non era possibile a causa della percentuale troppo bassa di fibra, che nell’alga è sotto il 5%. Non era logico economicamente né ecologicamente, dunque si utilizzò la materia prima integralmente, con un processo meccanico”. Si ottenne così una polvere di alga che si legava bene con le fibre e andava a sostituire, in parte, la cellulosa.

Fare carta con l’eccedenza delle alghe fu dunque un successo tecnologico e “di critica” e spinse il management a studiare nuovi prodotti a base di scarti dell’industria agroalimentare: “Già negli anni ’90 abbiamo messo a punto la tecnologia, ottenuto il brevetto e avviato la produzione con le bucce d’arancia e con il guscio della nocciola. Ma all’epoca non c’era mercato, le aziende non richiedevano materiali ecosostenibili”. “Il successo di Alga Carta fu dettato da fattori emotivi – sottolinea il manager – ma non si creò allora uno spazio commerciale. Dovemmo aspettare fino al 2010, quando le industrie e i consumatori furono pronti per acquistare questi prodotti. Vennero ripresi gli studi e lanciata Crush (vedi video seguente), ora posizionata in 30 paesi al mondo”.

In sostanza, per 20 anni, un capolavoro industriale come la carta ottenuta dagli scarti delle produzioni agricole è rimasta nel cassetto. Mancava il sentiment di mercato per poterla commercializzare: un problema con il quale la green economy deve spesso fare i conti.

Dal 2010, al contrario, si volta pagina e Favini riesce a valorizzare il suo capitale sociale di conoscenze, iniziando a sfornare una serie di prodotti che incontrano il favore del mercato. Stiamo parlando di soli sette anni fa eppure sembra un’altra “era geologica”. Si riparte poi nel 2012 con la nuova gamma di carte ecologiche Crush, realizzate con scarti di lavorazioni agro-industriali di mais, agrumi, kiwi, olive, mandorle, nocciole, caffè, lavanda, ciliegia e uva, che riescono a sostituire fino al 15% della cellulosa proveniente da albero (con gli sviluppi recenti della ricerca si sono scoperti materiali di scarto che arrivano a rimpiazzare fino al 30% della materia prima vegetale). In altri termini si risparmiano piante e lo scarto agro-industriale invece di essere utilizzato come filler in zootecnica, combustibile per la produzione di energia o eliminato in discarica rientra nel circolo produttivo ed economico.

Tra i tanti successi inanellati negli ultimi anni c’è la Carta Crusca – realizzata per Barilla nel 2013 – dove si usa quella non più idonea per il consumo alimentare. Nasce invece oltre i confini nazionali, nel 2015, la collaborazione con la maison dello champagne Veuve Clicquot e si ottiene una carta prodotta grazie ai sottoprodotti del processo di produzione del pregiato vino: dopo la spremitura dei grappoli, la buccia degli acini d’uva viene essiccata e micronizzata per diventare materia prima. Il risparmio è pari al 25% di fibre vergini. Nello stesso anno prende il via la produzione di Remake, una carta composta per il 25% di sottoprodotti della filiera della pelletteria, per il 30% di cellulosa di riciclo post consumo certificata FSC e per il 45% di fibre di cellulosa vergine certificata FSC. Una buona resa dal punto di vista della sostenibilità e dell’immagine per brochure, shopper, cartellini, packaging destinati al mondo della moda e del lusso. Tra le firme conquistate dalla carta Favini ci sono, in questo settore, Benetton, Louis Vuitton e Vivienne Westwood.

Una delle ultime creature è Crush Lenticchia, che consente di risparmiare, per la sua produzione, il 15% di cellulosa proveniente da albero e di diminuire del 20% l’emissione di gas effetto serra. Il prodotto nasce dalla collaborazione con Pedon, azienda vicentina tra i protagonisti mondiali del settore dei cereali, legumi e semi. Interessante il processo produttivo: “Durante la fase del controllo qualità di Pedon – spiegano i tecnici di Favini – le lenticchie non conformi agli standard qualitativi necessari vengono scartate: si tratta, ad esempio, di semi aggrediti da insetti, deteriorati, anneriti o comunque danneggiati. Tutti i semi non più idonei all’alimentazione umana vengono raccolti per essere successivamente purificati, micronizzati e introdotti all’interno del ciclo produttivo della carta, in parziale sostituzione della cellulosa”.

Alla Favini si può dire, senza temere la smentita, che sono stati tra i precursori dell’economia circolare, di cui oggi tanto si parla. Lo hanno capito anche a Bruxelles, dove la cartiera veneta ha ritirato lo European Paper Recycling Awards 2017.

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Da “Economia & Sostenibilità”: