Chi l’ha detto che apprendere bene un mestiere è un ripiego per ragazzi svogliati? A smontare questo pregiudizio che ha accompagnato fino a oggi la formazione professionale, sarà la scuola “Oliver Twist” di Como che da questo anno scolastico darà il via al primo liceo artigianale, una sorta di liceo delle scienze applicate con l’alternanza scuola-lavoro come prassi quotidiana. La “filosofia” della legge 107, la cosiddetta “Buona Scuola”, verrà declinata in questa realtà nata nel 2009 grazie all’omonima fondazione.

Il ritorno dell’artigianato

Siamo di fronte a un percorso del tutto innovativo, capace di coniugare il lavoro e la sapienza artigianale, il locale e l’internazionale. Il liceo artigianale sarà il primo indirizzo che affiancherà al diploma liceale il raggiungimento di competenze lavorative certificate in uno di questi tre settori: arti della cucina e dell’accoglienza; arti dell’arredo ligneo e del tessile. Da lì usciranno giovani formati a 360 gradi. Basta vedere le materie di studio per capire: i ragazzi dovranno prendere in mano libri di italiano, lingua straniera, matematica, informatica, fisica, scienze naturali, storia dell’arte per tutti i cinque anni, e nel biennio anche storia e geografia. Ma non solo. Il primo anno avranno 210 ore di laboratorio artigianale mentre a partire dal secondo anno una settimana al mese i ragazzi svolgeranno un’attività lavorativa in un’azienda.

Inglese in primo piano

Un approccio alla professionalizzazione che partirà dalle aule: ogni classe sarà dotata di lavagna interattiva e ciascun studente utilizzerà il notebook come strumento di studio. Oltre ai diversi software specialistici, i laboratori digitali saranno dotati di stampanti 3D. Particolare attenzione sarà data alla conoscenza della dimensione globale e quindi all’apprendimento della lingua inglese, potenziata anche attraverso la formula del CLIL, l’utilizzo di software specialistici dedicati con il coinvolgimento di insegnanti di madrelingua e di moduli di cultura internazionale svolti da docenti e professionisti stranieri. L’obiettivo per la lingua inglese è almeno la certificazione B1 al termine del primo biennio.

Il collegamento con le aziende

Un percorso davvero capace di offrire ai ragazzi diverse opportunità: tra le attività didattiche sarà favorito lo studio del cinema, della musica, della calligrafia e profilatura ma anche del parlare in pubblico. Il comitato scientifico del primo liceo artigianale composto da Mario Botta, Giuseppe Bertagna, Erasmo Figini, Carlo Ossola e Albino Zgraggen ha già attivato una serie di rapporti con alcune aziende significative: Inditex Spa; Lario Hotel; Lisa Spa; Vodafone; Castiglioni Legnami. L’opportunità offerta dalla scuola “Oliver Twist” apre un dibattito sul valore dei licei che oggi devono sempre più guardare al mondo del lavoro, preparare i ragazzi a entrare nel mercato economico fornendo loro tutti gli attrezzi necessari per affrontare il difficile momento in cui ci troviamo. Studiare un mestiere con la consapevolezza di poter avere una formazione di qualità e globale è sicuramente la strada giusta.

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* Fonte: Alex Corlazzoli collabora con iSchool, la scuola nel futuro, sito: ischool.bg.it

A PROPOSITO / IL BELLO DELLA MEMORIA

Quella volta che Umberto Eco mi mandò la sua proposta: “inventiamo la nuova scuola”

L’articolo del grande scrittore per il numero 1 (ottobre 1984) del mensile da me diretto, “Genius”. Distruggere banchi e quaderni per far posto a schermi e stampanti? Per carità: un’aula telematica sarebbe disastrosa. Eppure un armamentario elettronico, piccolo e poco costoso, può aiutare a imparare meglio molte materie

testo di Umberto Eco

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Umberto Eco (Alessandria, 1932 – Milano, 2016) è stato un semiologo, filosofo e scrittore italiano. Ha lasciato scritto: «Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro».

L’anno scorso l’architetto Ugo la Pietra aveva realizzato per la Triennale di Milano una casa telematica. Un’utopia, certo, ma un’utopia possibile. E, come tutte le utopie, al limite dell’invivibilità. La casa telematica cercava di introdurre calcolatori elettronici e schermi televisivi ovunque si potesse: non solo la cucina assomigliava alla cabina di comando di un’astronave (dove il computer controllava persino il punto di ebollizione dell’acqua per l’uovo sodo), ma la camera da letto ostentava due televisori ai piedi delle due metà di un letto matrimoniale, così che i due coniugi, specie se alla vigilia di un divorzio, potessero addormentarsi guardando ciascuno la propria videocassetta. Invivibile, si è detto: ben venga la telematica, ma sia rigorosamente limitata a certi angoli della casa, e per il resto è ancora così bello fare le cose a mano, a occhio, a orecchio. Non esageriamo.

Da parecchi mesi, anche da noi in Italia, convegni, congressi, esperimenti incoraggiati dal ministero della Pubblica istruzione insistono invece sulla “scuola telematica”. E qui l’idea è meno peregrina: sarà costosa, ma non è bizzarra. Si tratta, da un lato, di introdurre nella scuola (a cominciare dalle elementari) tutti quei congegni che possono rivoluzionare la didattica, e dall’altro di addestrare sin da piccoli i ragazzi a muoversi in un universo in cui l’utensileria telematica sarà preponderante. A pensarci bene, l’idea è semplicemente ragionevole: si insegnava ai ragazzi a scrivere con il pennino e l’inchiostro perché da grandi, in ufficio, avrebbero dovuto usare pennino e inchiostro; e c’era il laboratorio di falegnameria, e il piccolo tornio, per quelli che sarebbero finiti in fabbrica. Oggi, sia l’operaio sia l’ingegnere avranno sempre più a che fare con schermi e tastiere, e dunque è giusto che la società preveda queste situazioni lavorative.

La scuola telematica non è impossibile: è solo questione di denaro e di preparare una docenza capace di usarla come strumento didattico globale. Il che vuol dire che il problema non comincia dalle elementari, ma dall’università. Tuttavia non credo che esso debba porsi subito in termini tecnologici “galattici” (come realizzarla, come svilupparla al massimo). Esso deve porsi dapprima in termini pedagogici teorici (serve o fa male?) e poi in termini molto empirici: voglio dire che, una volta compreso a che cosa serve e perché serve, si può inventare una scuola telematica di primo livello, meno fantascientifica di quello che si pensa, realizzabile a costi ragionevoli. A tal punto che, una volta che si sia capaci di concepire e far funzionare questo nuovo tipo di scuola, ci si accorgerà che non è affatto necessario pensare al modello “galattico”.

Cerchiamo di ragionare con i piedi per terra (e senza computer): discutiamo il problema pedagogico, divertiamoci quindi a immaginare il modello ideale “galattico”, e finalmente usiamolo come stimolo intellettuale per immaginare il modello di primo livello, a dimensioni umane. Per ragionare coi piedi per terra, bisogna dapprima dire che il computer come strumento che risolve i problemi senza far ragionare troppo non riguarda la scuola. Non la riguarda perché nella scuola bisogna imparare a ragionare, e non la riguarda perché, per usare un computer come strumento che risolve i problemi, bastano poche settimane di addestramento e quindi non c’è bisogno della scuola: la piccola vittima, da grande, potrà imparare queste cose per conto proprio. I giovanotti e le signorine che manovrano terminale alle porte d’imbarco delle compagnie aeree hanno imparato facilmente a porre le domande allo schermo e a capire le sue risposte. Il problema che ci interessa è che il computer può essere usato “per imparare a ragionare”. Facciamo un esempio semplicissimo: è possibile programmare un computer in modo che, battendo sulla tastiera 6×6, esso ci risponda 36. Se il computer servisse solo a questo, primo potrebbe essere sostituito da una minuscola calcolatrice da tasca, secondo sarebbe diseducativo perché sarebbe meglio che queste cose il ragazzo le impari a memoria, terzo sia computer sia calcolatrice tascabile sarebbero dei cannoni che servono ad ammazzare una mosca.

Ma anche un ragazzo può imparare a scrivere un programma in Basic che abilita il computer a risolvere le tabelline. Salvo che, per costruire questo programma di tavola pitagorica, il ragazzo deve ragionare, e dopo aver imparato come si fa conoscerà meglio l’ “essenza” della tavola pitagorica. Questo è il modo in cui il computer può essere usato a scuola.

Gli esempi un poco più complessi sono infiniti. Tutti sappiamo che ogni curva può essere rappresentata da un’equazione, ma a scuola non si mai imparato bene perché quell’equazione esprime quella curva. Si mandano a memoria due schemi, uno fatto di numeri e di lettere alfabetiche, l’altro fatto di linee, e poi si dimenticano. Con un computer di prezzo ragionevole invece si impara a costruire la curva fornendo istruzioni (che poi sono un’equazione). Si può anche non conoscere l’equazione e giocare a tentare. Alla fine dovrebbe apparire la curva sullo schermo. Come diceva Giambattista Vico, “verum ipsum factum” e, come traduciamo noi alla buona, si ricorderanno e capiranno meglio quelle cose che, invece di trovarcele davanti belle e fatte, abbiamo imparato a costruire da noi, magari scoprendo le regole di costruzione passo dopo passo.

Ancora, immaginate come si apprenderebbero meglio le grandi leggi astronomiche se imparassimo a programmare visivamente un sistema di pianeti in movimento intorno al Sole. O immaginate come si capirebbero meglio le leggi della prospettiva in un dipinto rinascimentale se un programma apposito ci facesse vedere come il pittore ha costruito la prospettiva, e come l’effetto complessivo del quadro cambierebbe se la prospettiva (come schema geometrico di base9 fosse diversa.

C’è in circolazione un programma bellissimo, che dovrebbe essere visto in tutte le scuole medie, in cui non solo il computer costruisce lo schema prospettico del Cenacolo di Leonardo, ma poi mostra la prospettiva della sala da cui lo guardiamo ricostruendola dal punto di vista degli occhi del Cristo. E, meraviglia delle meraviglie, il computer ci dice che il Gesù del quadro dovrebbe vedere la sala “vera” dove stiamo noi come costruzione simmetrica rispetto alla sala in cui siede e che l’affresco ha costruito.

Oppure (ed è un esperimento che è stato fatto al Laboratorio del Loggiato di Brera, a Milano, con la collaborazione dei ragazzi, e senza computer): rendete un quadro con una madonna su fondo oro, e uno con una madonna di epoca più tarda sullo sfondo di un paesaggio; mettete il paesaggio al posto del fondo oro e il fondo oro al posto del paesaggio, e capirete molte cose sulla differenza tra due diverse concezioni del sacro, della natura e tra due epoche pittoriche. Ho detto che si può fare senza computer, a mano: un computer lo farebbe meglio e più in fretta, ma insisto sulla possibilità di farlo a mano perché, come vedremo, il nostro modello di scuola telematica non “galattica” non richiede che si usino sempre strumenti elettronici.

Potremmo andare avanti con gli esempi. Si può costruire un programmino abbastanza facile per dire al computer come identificare le declinazioni latine (sì, “rosa-rosae”). Il bello è che, quando si è imparato a “insegnarle” al computer, non si dimenticano più. Oppure, noi sappiamo che tra la prima e la seconda stesura del suo romanzo Alessandro Manzoni ha cambiato molte parole, e ne abbiamo la lista. E allora, usando un computer con un programma di video-scrittura (“word-processor” in inglese) si scrivono due o tre paginette manzoniane secondo la prima stesura, poi si comanda alla macchina di sostituire le parole. Il risultato sarà la pagina che troviamo sui Promessi sposi in commercio, ma il ragazzo che fa questo lavoro, se è assistito da un insegnante intelligente, potrà ragionare sul perché Manzoni abbia deciso quella particolare sostituzione e perché l’effetto finale sia così diverso dalla pagina iniziale.

E infine, se è sciocco usare un programma “fatto” che permetta al computer di costruire storie elementari, è meno sciocco inventare tutti insieme un programma per fargli costruire storie, magari basandosi sulle fiabe di Grimm o sulle novelle trecentesche come modello. O ancora utilizzare il computer per classificare piante e fiori raccolti il giorno prima.

I programmi ministeriali raccomandano l’analisi della stampa quotidiana. È un lavoro che si può fare avendo di fronte i giornali e una matita rossa e blu, per cercare le parole difficili, i costrutti sintattici ambigui, le differenze di trattamento della notizia tra due giornali diversi, l’uso di parole chiave nei titoli. Ma “trattando” questo materiale con un sistema di video-scrittura possono venire fuori interessanti osservazioni.

Se si è accettata l’idea che l’armamentario elettronico non riduce l’esercizio mentale ma lo incoraggia, si potrebbe subito delineare (e molti lo hanno fatto) il modello ideale, “galattico”, di scuola telematica. Non più il banco, ma un posto da operatore, con tastiera e piccolo schermo, e poi il grande schermo centrale, e il generatore di frequenze per fare musica, e i ragazzi che addirittura dialogano con l’insegnante comunicandogli le risposte via schermo, o che ingannano l’insegnante facendosi, tra banchi distanti, appassionanti partite di “battaglia navale” mentre è in corso una lezione sulle leggi di gravitazione universale (messe in chiaro da uno schermo centrale a colori). Una classe da cui insomma sarebbero definitivamente scomparsi i libri (sostituiti da cassette o dischetti) e la penna, e la matita, e i fogli di carta.

Questo modello “galattico” è sconsigliabile. Anzitutto perché la civiltà informatica non eliminerà mai carta e matita; poi perché la cosa sarebbe costosa; e infine perché passare tutte le ore di scuola davanti allo schermo del computer farebbe malissimo ai bambini, come fa malissimo agli adulti. Ci sono le malattie da computer: dopo alcune ore passate davanti allo schermo sorgono disturbi alla vista (e gli operatori dei terminali usano sovente lenti polaroid per filtrare i segnali luminosi troppo intensi che provengono dal video), ai disturbi della vista si aggiungono quelli della colonna vertebrale, che non sopporta una posizione eretta e tesa, e infine ci sono i disturbi nervosi, le frustrazioni per i programmi che non funzionano, la tensione, la concentrazione su puntini di luce che attraversano di continuo il nostro campo visivo, come accade per i giochetti fantascientifici dei bar, così che dopo ore e ore di gioco, quando si va a dormire, si hanno degli incubi e si sognano proiettili traccianti e astronavi disintegrate, oppure diaboliche rane che sbagliano il salto e cascano nella palude anziché piombare in groppa al tronco d’albero che passa velocissimo.

Insomma, se ci fosse già, la scuola “galattica” bisognerebbe disinventarla e restituire ai ragazzi un buon sillabario, riga e compasso, e gomma. Ma si può concepire un’aula a livello umano. Purché siano anatomicamente adatti, lasciate pure sedili e banchi di legno. Tanto per cominciare, quest’aula avrebbe vicino alla cattedra un televisore, un televisore normale, salvo che è raccomandabile che lo schermo sia molto ampio. Se è giusto che si impari la grammatica, la geografia, l’economia e molte altre cose leggendo i giornali, a maggior ragione si possono imparare le stesse cose guardando dei programmi televisivi.

Non dico dei buoni programmi culturali: il peggior programma di una televisione privata di quart’ordine serve benissimo. Pensate quanta buona grammatica si può imparare analizzando il linguaggio di quegli squallidi signori che animano le aste! E siccome queste trasmissioni vanno in onda di sera, ecco che il televisore sarà accompagnato da un videoregistratore. I ragazzi si impegnano a registrare un dato programma, poi a scuola lo si segue arrestando il nastro quando serve, tornando indietro, bloccando un fotogramma. E nello stesso modo in cui si esamina il cattivo linguaggio di un presentatore, si potranno comparare il modo in cui sono fatte le inquadrature in un filmaccio di repertorio e come sono fatte in un grande capolavoro. Per queste cose, come per le eventuali videocassette didattiche (ce ne sono di buonissime in circolazione), non è necessario che una scuola abbia una nastroteca immensa: i nastri possono circolare tra classe e classe, basta mettersi d’accordo. Per leggere insieme un giornale, ma anche per esaminare un quadro, o analizzare una pagina a fumetti dal punto di vista del linguaggio, del disegno, dei colori, della logica narrativa, non è necessario lo schermo televisivo. Un buon epidiascopio (ma che sia un apparecchio buono), per proiettare diapositive e stampe, può bastare. Così come una buona e tradizionale lavagna luminosa potrebbe sostituire la lavagna d’ardesia e al limite ogni ragazzo potrebbe avere la propria, proiettando dal proprio posto, su uno schermo bianco centrale, risposte, formule, frasi, disegni. Finirebbe la tortura della posizione eretta di fronte alla lavagna vuota, sotto gli occhi di tutta la classe, e si stabilirebbero delle interazioni multiple, col compagno che interviene a correggere la formula sbagliata, o il ragazzo stesso che pone direttamente un quesito visivo all’insegnante.

A questo punto starebbe nell’aula anche il computer. Ma non è necessario che ve ne sia uno per studente; anzi, si è visto che, quanto meno il ragazzo sta attaccato al video, meglio è. Basta dunque un computer per classe oppure due o tre, in modo che si creino gruppi di quattro o cinque ragazzi per volta, a turno, e mentre un gruppo studia il programma con la vecchia carta e la vecchia matita (con cui si possono fare i famigerati “diagrammi di flusso”, e la logica dei computer sta tutta lì, anche seduti sotto un albero e senza ausili elettronici), l’altro lavora alla tastiera. E siccome si può fare moltissimo, specie a livello scolastico, con un computerino portatile come un M 10 Olivetti, a questo punto di macchinette in aula ce ne potrebbero essere anche una ciascuno, da usare in certi giorni della settimana (e poi le cose di interesse generale possono essere trasferite sullo schermo gigante).

Naturalmente, se il computer centrale (ma si può fare anche con quelli individuali piccoli) è collegato (“interfacciato”) con un centro di documentazione, ecco che i ragazzi possono addestrarsi a fare raccolte dati e a cercare sussidi bibliografici. Così come il televisore dell’aula può essere collegato con un sistema tipo Videotel con cui imparare come raccogliere notizie e come eventualmente rielaborarle: per esempio, via schermo si cerca il notiziario dell’Ansa, la più importante agenzia di notizie italiana, e poi si comparano le notizie schematiche del notiziario coi trattamenti che ne hanno dato i giornali quella mattina.

Non ho parlato naturalmente della stampante, perché ne basta una, anche di poco prezzo, usata a turno da tutti. Si potrebbe parlare invece di uno schermo di computer manipolabile col “mouse”, ovvero con quell’aggeggio che fa apparire e muovere sul video una freccetta, o altera o sposta gli elementi dell’immagine presentata. Ottima idea immaginare lo schermo centrale che proietta una carta geografica e il ragazzo che col “mouse” indica i luoghi, corsi di fiumi, frontiere (per non parlare di programmi più complicati che permetterebbero di integrare i dati schematici di una cartina, allargare o restringere confini, per la lezione di storia, tentare, di uno stesso territorio, proiezioni cartografiche diverse…).

Insomma, questa classe “quasi-telematica” a misura d’uomo (o di ragazzo) non avrebbe nulla di galattico, non farebbe venire in mente il terrificante 1984 previsto da George Orwell, sarebbe molto divertente, lascerebbe molto spazio ai sussidi tradizionali, dal libro al foglio da disegno. È realizzabilissima e costerebbe abbastanza poco (e in qualche modo è già stata realizzata in scuole sperimentali). Costerebbe “molto”, invece, in termini di addestramento universitario degli educatori. In altre parole, per far funzionare bene e in modo umano i “cervelli” elettronici, occorre lavorare molto e bene sui cervelli umani. Ma questo è un altro discorso, diceva lo scrittore inglese Rudyard Kipling.

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LETTERA DI UMBERTO ECO AL SUO NIPOTINO

L’Espresso ha pubblicato nei giorni successivi alla sua scomparsa questa meravigliosa lettera di Umberto Eco al suo nipotino. Ognuno di noi dovrebbe leggerla e prendere esempio, per imparare a sfruttare la memoria e le capacità cognitive che possediamo ma che non sviluppiamo mai a sufficienza.

23 FEBBRAIO 2016, funerali di Umberto Eco. Emanuele, il nipote, spiega “cosa si prova ad avere ad avere un nonno così”: “Caro nonno, volevo fare una lista di tutte le cose che abbiamo fatto insieme in questi 15 anni, ma sarebbe stata troppo lunga”.

Caro nipotino mio,

non vorrei che questa lettera natalizia suonasse troppo deamicisiana, ed esibisse consigli circa l’amore per i nostri simili, per la patria, per il mondo, e cose del genere. Non vi daresti ascolto e, al momento di metterla in pratica (tu adulto e io trapassato) il sistema di valori sarà così cambiato che probabilmente le mie raccomandazioni risulterebbero datate.

Quindi vorrei soffermarmi su una sola raccomandazione, che sarai in grado di mettere in pratica anche ora, mentre navighi sul tuo iPad, né commetterò l’errore di sconsigliartelo, non tanto perché sembrerei un nonno barbogio ma perché lo faccio anch’io. Al massimo posso raccomandarti, se per caso capiti sulle centinaia di siti porno che mostrano il rapporto tra due esseri umani, o tra un essere umano e un animale, in mille modi, cerca di non credere che il sesso sia quello, tra l’altro abbastanza monotono, perché si tratta di una messa in scena per costringerti a non uscire di casa e guardare le vere ragazze. Parto dal principio che tu sia eterosessuale, altrimenti adatta le mie raccomandazioni al tuo caso: ma guarda le ragazze, a scuola o dove vai a giocare, perché sono meglio quelle vere che quelle televisive e un giorno ti daranno soddisfazioni maggiori di quelle on line. Credi a chi ha più esperienza di te (e se avessi guardato solo il sesso al computer tuo padre non sarebbe mai nato, e tu chissà dove saresti, anzi non saresti per nulla).

Ma non è di questo che volevo parlarti, bensì di una malattia che ha colpito la tua generazione e persino quella dei ragazzi più grandi di te, che magari vanno già all’università: la perdita della memoria.

È vero che se ti viene il desiderio di sapere chi fosse Carlo Magno o dove stia Kuala Lumpur non hai che da premere qualche tasto e Internet te lo dice subito. Fallo quando serve, ma dopo che lo hai fatto cerca di ricordare quanto ti è stato detto per non essere obbligato a cercarlo una seconda volta se per caso te ne venisse il bisogno impellente, magari per una ricerca a scuola. Il rischio è che, siccome pensi che il tuo computer te lo possa dire a ogni istante, tu perda il gusto di mettertelo in testa. Sarebbe un poco come se, avendo imparato che per andare da via Tale a via Talaltra, ci sono l’autobus o il metro che ti permettono di spostarti senza fatica (il che è comodissimo e fallo pure ogni volta che hai fretta) tu pensi che così non hai più bisogno di camminare. Ma se non cammini abbastanza diventi poi “diversamente abile”, come si dice oggi per indicare chi è costretto a muoversi in carrozzella. Va bene, lo so che fai dello sport e quindi sai muovere il tuo corpo, ma torniamo al tuo cervello.

La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria.

Quindi ecco la mia dieta. Ogni mattina impara qualche verso, una breve poesia, o come hanno fatto fare a noi, “La Cavallina Storna” o “Il sabato del villaggio”. E magari fai a gara con gli amici per sapere chi ricorda meglio. Se non piace la poesia fallo con le formazioni dei calciatori, ma attento che non devi solo sapere chi sono i giocatori della Roma di oggi, ma anche quelli di altre squadre, e magari di squadre del passato (figurati che io ricordo la formazione del Torino quando il loro aereo si era schiantato a Superga con tutti i giocatori a bordo: Bacigalupo, Ballarin, Maroso eccetera). Fai gare di memoria, magari sui libri che hai letto (chi era a bordo della Hispaniola alla ricerca dell’isola del tesoro? Lord Trelawney, il capitano Smollet, il dottor Livesey, Long John Silver, Jim…) Vedi se i tuoi amici ricorderanno chi erano i domestici dei tre moschettieri e di D’Artagnan (Grimaud, Bazin, Mousqueton e Planchet)… E se non vorrai leggere “I tre moschettieri” (e non sai che cosa avrai perso) fallo, che so, con una delle storie che hai letto.

Sembra un gioco (ed è un gioco) ma vedrai come la tua testa si popolerà di personaggi, storie, ricordi di ogni tipo. Ti sarai chiesto perché i computer si chiamavano un tempo cervelli elettronici: è perché sono stati concepiti sul modello del tuo (del nostro) cervello, ma il nostro cervello ha più connessioni di un computer, è una specie di computer che ti porti dietro e che cresce e s’irrobustisce con l’esercizio, mentre il computer che hai sul tavolo più lo usi e più perde velocità e dopo qualche anno lo devi cambiare. Invece il tuo cervello può oggi durare sino a novant’anni e a novant’anni (se lo avrai tenuto in esercizio) ricorderà più cose di quelle che ricordi adesso. E gratis.

C’è poi la memoria storica, quella che non riguarda i fatti della tua vita o le cose che hai letto, ma quello che è accaduto prima che tu nascessi. Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene – a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove.

Ora la scuola (oltre alle tue letture personali) dovrebbe insegnarti a memorizzare quello che è accaduto prima della tua nascita, ma si vede che non lo fa bene, perché varie inchieste ci dicono che i ragazzi di oggi, anche quelli grandi che vanno già all’università, se sono nati per caso nel 1990 non sanno (e forse non vogliono sapere) che cosa era accaduto nel 1980 (e non parliamo di quello che è accaduto cinquant’anni fa). Ci dicono le statistiche che se chiedi ad alcuni chi era Aldo Moro rispondono che era il capo delle Brigate Rosse – e invece è stato ucciso dalle Brigate Rosse.

Non parliamo delle Brigate Rosse, rimangono qualcosa di misterioso per molti, eppure erano il presente poco più di trent’anni fa. Io sono nato nel 1932, dieci anni dopo l’ascesa al potere del fascismo ma sapevo persino chi era il primo ministro ai tempi dalla Marcia su Roma (che cos’è?). Forse la scuola fascista me lo aveva insegnato per spiegarmi come era stupido e cattivo quel ministro (“l’imbelle Facta”) che i fascisti avevano sostituito. Va bene, ma almeno lo sapevo. E poi, scuola a parte, un ragazzo d’oggi non sa chi erano le attrici del cinema di venti anni fa mentre io sapevo chi era Francesca Bertini, che recitava nei film muti venti anni prima della mia nascita. Forse perché sfogliavo vecchie riviste ammassate nello sgabuzzino di casa nostra, ma appunto ti invito a sfogliare anche vecchie riviste perché è un modo di imparare che cosa accadeva prima che tu nascessi.

Ma perché è così importante sapere che cosa è accaduto prima? Perché molte volte quello che è accaduto prima ti spiega perché certe cose accadono oggi e in ogni caso, come per le formazioni dei calciatori, è un modo di arricchire la nostra memoria.

Bada bene che questo non lo puoi fare solo su libri e riviste, lo si fa benissimo anche su Internet. Che è da usare non solo per chattare con i tuoi amici ma anche per chattare (per così dire) con la storia del mondo. Chi erano gli ittiti? E i camisardi? E come si chiamavano le tre caravelle di Colombo? Quando sono scomparsi i dinosauri? L’arca di Noè poteva avere un timone? Come si chiamava l’antenato del bue? Esistevano più tigri cent’anni fa di oggi? Cos’era l’impero del Mali? E chi invece parlava dell’Impero del Male? Chi è stato il secondo papa della storia? Quando è apparso Topolino?

Potrei continuare all’infinito, e sarebbero tutte belle avventure di ricerca. E tutto da ricordare. Verrà il giorno in cui sarai anziano e ti sentirai come se avessi vissuto mille vite, perché sarà come se tu fossi stato presente alla battaglia di Waterloo, avessi assistito all’assassinio di Giulio Cesare e fossi a poca distanza dal luogo in cui Bertoldo il Nero, mescolando sostanze in un mortaio per trovare il modo di fabbricare l’oro, ha scoperto per sbaglio la polvere da sparo, ed è saltato in aria (e ben gli stava). Altri tuoi amici, che non avranno coltivato la loro memoria, avranno vissuto invece una sola vita, la loro, che dovrebbe essere stata assai malinconica e povera di grandi emozioni.

Coltiva la memoria, dunque, e da domani impara a memoria “La Vispa Teresa”.

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Da “Economia & Sostenibilità”: