Il 6 ottobre del 1927 segna la data di nascita del primo film parlato della storia del cinema. Quella sera al Warners’ Theatre di New York si proietta in anteprima mondiale Il cantante di jazz diretto da Alan Crosland, un lungometraggio che al di là della sua semplicità rappresenta una pietra miliare nello sviluppo dell’industria cinematografia. Il tutto è reso possibile grazie alla messa a punto del sistema Vitaphone, nato dalla collaborazione tra Western Electric e Warner Bros, un marchingegno in grado di sincronizzare allo scorrimento della pellicola un disco contenente musiche e parole. Il primo attore e cantante a far sentire la sua voce sul grande schermo è Al Jolson, un artista di origini ebreo-lituane per l’occasione truccato da afroamericano che a un tratto rivolgendosi al pubblico esclama: «… Non avete ancora sentito niente!» Ma fra i tanti ospiti illustri presenti alla cerimonia manca il più importante. Si tratta dell’italiano Giovanni Rappazzo (Messina, 15 ottobre 1893 – 3 aprile 1995), l’inventore del cinema sonoro il cui brevetto, non rinnovato per problemi economici, viene ripreso e sfruttato dagli americani. Sembrerebbe l’inizio di una spy story invece è il dramma vero di un uomo geniale al quale l’Italia non ha saputo, o voluto credere.
Tutto ha inizio parecchi anni addietro e precisamente nel 1903, quando un giovane e discolo messinese è mandato dai genitori a vivere a Genova con il fratello maggiore, Luigi, che gestiva un’attività commerciale e qui faceva funzionare, sotto i portici di via 20 Settembre, il Kinetoscope di Edison.
Nella città della Lanterna scopre il cinema ed è subito amore, come egli stesso racconta alla soglia dei cent’anni in un’intervista rilasciata a Giovanna Giordano:
Quale migliore occasione poteva offrirgli il destino? Continua Rappazzo,
Inizia così un duro periodo di ricerca e sperimentazione reso ancor più complicato dai devastanti anni della Grande Guerra. Però nemmeno le bombe riescono ad allontanarlo dal perseguire il suo sogno. E il 17 febbraio 1921 finalmente riesce a presentare alla R. Prefettura di Genova il primo di una serie di brevetti, registrato con il n° 195883 e completivo 199022 denominato Fonofilm, ovvero Pellicola cinematografica portante la voce fotografata. La pellicola è da 35 mm e contiene due tracce sonore (un sistema ben più evoluto del disco in sincrono impiegato anni dopo per Il cantante di jazz), che i tecnici successivamente avrebbero definito a densità variabile, modulate dalla corrente di due circuiti microfonici separati: si è a un passo dalla stereofonia.
Ma non è tutto. Il brevetto specifica anche come la pellicola deve essere impressionata e proiettata a una velocità superiore ai consueti 16 fotogrammi al secondo per poter ottenere una perfetta riproduzione del sonoro. Per realizzare tutto ciò e portarlo su scala industriale però c’è bisogno di molto denaro. Fondi che l’inventore cerca intessendo una fitta corrispondenza con costruttori italiani e stranieri, tra i quali la S. Giorgio di Sestri Ponente e la Marconi di Mantova. Purtroppo con esiti negativi. A nessuno interessa il film sonoro e, complici le sue scarse risorse economiche, Rappazzo si ritrova al punto di non riuscire nemmeno a rinnovare i brevetti, abbandonando così il sogno di creare in Italia un’industria di settore dalle prospettive inestimabili. Occasione invece colta al volo dagli americani che, sfruttando la sua opera ormai non più brevettata, sviluppano un settore dell’industria cinematografica destinato a dominare il mercato mondiale. Conclude Rappazzo,
Un’altra delle vicende che, nella Giornata mondiale della creatività e proprietà intellettuale (celebrata dal 2001 ogni 24 aprile per sensibilizzare l’opinione pubblica verso il meritato riconoscimento al contributo di innovatori e creatori allo sviluppo della società in tutto il mondo) fanno riflettere su come il nostro Paese si sia lasciato depredare con stolta indifferenza di tante fortune, conservando solo il rimpianto delle occasioni perdute e la rabbia per un mondo che non ha più l’onestà di ricordare. Appunto crediamo che, al di là di come gli americani abbiano potenziato e reso lucrosa l’invenzione di Giovanni Rappazzo, nella fiumara di pubblicazioni dedicata alla storia della settima arte questa vicenda non possa più essere ignorata. Cominciare a citare le generalità e sottolineare i meriti di questo grande pioniere non sarebbe altro che un doveroso piccolo atto di giustizia.
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Molto interessante.Complimenti