Nuovo e utile: tenete d’occhio questi due obiettivi per innovare al meglio in aziende, scuole, famiglie e istituzioni pubbliche. Parola del catalizzatore di talenti ed esperto francese di creatività applicata e gestione dell’innovazione nella sezione dedicatagli da Giannella Channel
Un potenziale dormiente da risvegliare. E dopo, niente sarà più come prima. Parola di Hubert Jaoui, esperto di creatività applicata e gestione dell’innovazione (presentato su Giannella Channel una settimana fa, link), affascinato da una Cagliari che lo ospita quale relatore d’eccezione all’interno di “Pazza idea. Pensiero creativo” dell’associazione Luna Scarlatta. È lui che spinge il motore della creatività presso aziende, scuole e famiglie, persino istituzioni pubbliche. Da geologo al management, poi al marketing e infine all’innovazione, questo vulcanico signore francese con una ricambiata passione per l’Italia, si considera baciato dal caso nel senso esplicitato dallo scienziato Louis Pasteur quando scriveva:
Esperto in creatività, come lo si diventa?
«Il bello è che non esiste alcuna laurea e spero che mai ci sarà. Una mattina ho trovato sulla scrivania una rivista con un dossier di venti pagine con una parola che non conoscevo “Créativité” in cui si raccontava dell’esperienza di dieci uomini. Sono andato a trovarli, loro mi hanno rivelato la mia vocazione. Perché la creatività permette di unire la riflessione e l’azione, la filosofia e la scienza. È per definizione un’attività di sintesi. Diceva lo scrittore e e filosofo ungherese naturalizzato britannico, Arthur Koestler, autore della bibbia della comunicazione “L’atto della creazione”, edito in Italia da Adelphi: creare è fare una bisociazione, ovvero prendere due cose che non sono incrociate, e incrociarle. Se nasce una risposta funzionale, originale e utile, abbiamo creato. Scrivere un testo è associare parole, scrivere musica è associare note, creare un’automobile è assemblare una molteplicità di pezzi».
Lei sostiene che non esista persona senza creatività.
«Certo che non esiste, potenzialmente. Creare è alla portata di tutti. Il problema è che la maggior parte non lo sa e dunque non usa le sue risorse.
Come rendere le persone consapevoli, allora?
«Risposta semplice, ma di difficile attuazione. È come per la volontà: l’hanno tutti, ma pochissimi la usano perché il volere è un esercizio di responsabilità. Ecco, anche la creatività ha a che fare con la responsabilità. Chi non vuole riconoscere la propria creatività preferisce essere un codardo. Gli italiani in particolare fanno molto le vittime. Si dicono sfortunati, poveri, fanno a gara per chi è più miserabile, pur di evitare di prendersi responsabilità. “If you want, you can; quello che desideri è possibile”, dicono invece gli americani. Non siamo onnipotenti, ma c’è molto che possiamo fare. Altrimenti siamo complici».
Ma lei ha o no fiducia nel genere umano?
«Il mio lavoro mi consente di verificare una cosa che può sembrare ingenua, ovvero che la maggior parte delle persone sono fondamentalmente buone, vogliono essere felici, dialogare, cooperare. Diventano cattive quando mancano loro gli strumenti per stare insieme e collaborare. Io sono convinto, per esperienza personale, che ogni persona porta dentro di sé una parte divina. Di solito vien fuori in momenti di grande crisi è dimostrato dalle neuroscienze. Michael Gazzaniga (psicologo e neuroscienziato statunitense, professore di psicologia all’Università della California, Santa Barbara, dove dirige il nuovo centro di SAGE per lo studio della mente, Ndr), negli studi sulla dissimmetria del cervello, dimostra che in condizioni di crisi si diventa capaci di cose incredibili».
Si può dunque essere ottimisti?
«La creatività mi permette di verificare che c’è speranza. I rivoluzionari francesi dalla prima repubblica e i riformisti della terza erano fanatici dell’istruzione, erano convinti che serva a far crescere la gente, a rendere gli individui più autonomi e responsabili. Una volta che si capisce di avere un potenziale di invenzione, si crea e si va avanti insieme».
Vuol dire che non è tempo di geni solitari?
«Oggi non si fa niente, da soli. Per ogni scoperta importante c’è sempre un team, persone che si scambiano conoscenze e saperi, che comunicano, o ci provano. Le svelo una cosa: quando la gente saprà veramente comunicare, non ci sarà più bisogno di corsi di creatività».
Ci svela in cosa consiste il suo metodo?
«Il nostro approccio parte dal fatto che il talento può essere sviluppato senza limiti e a qualsiasi età, e che serve un metodo, come sappiamo da Leonardo in poi e grazie agli sviluppi di Cartesio. Per prima cosa, insegniamo l’ascolto. È talmente difficile da far parte delle arti fondamentali che veniva insegnata ai samurai. I giapponesi sanno ascoltare, non interrompono mai e non usano il no. Poi trasmettiamo strumenti di dialogo, regole e tecniche per lavorare in gruppo».
Se gli venisse richiesto di mettere in moto il motore della Sardegna, da dove partirebbe?
«Scopro una Sardegna ricchissima di persone bellissime e risorse di tutti i tipi, ma non utilizzate. È uno scandalo che si accetta per passività. Cercherei per prima cosa di attivare il governo, come ho fatto in Francia per alcuni Comuni e un Ministero, trasmettendo strumenti e tecniche. A Grasse, sulla Costa Azzurra, abbiamo formato animatori per diversi gruppi tematici (genitori, educatori, commercianti, ecc.). Ogni gruppo ha presentato proposte e il sindaco le ha accettate tutte. Ora, al centro della città, esiste lo Spazio dei progetti e tutti sono invitati a proporre nuove idee».
Lei ha lavorato anche per Telecom, Microsoft, Air France, Fiat… Crede che si possa fare qualcosa anche in aree la cui economia è stata smantellata, come il Sulcis?
«Non conosco la situazione del Sulcis, ma in Argentina, con i sindacati, sono state fatte cooperative e sono state rilanciati attività profittevoli. Magari sarebbe possibile anche qui, con l’aiuto pubblico. Faccio un altro esempio: circa quindici anni fa, la Granarolo era in grande crisi. Noi siamo stati chiamati per tirare su il morale dei lavoratori rimasti, dopo una pesante riduzione di personale. Abbiamo fatto seminari a cui hanno partecipato anche i direttori, con risultato che è ripartita la motivazione e l’azienda dopo due anni ha riassunto tutti lavoratori e fatto nuovi investimenti. Quando c’è volontà, onestà e rispetto per le persone, le soluzioni vengono fuori».
Applica la creatività anche alla vita familiare, all’educazione dei figli?
«Secondo i lettori, il mio titolo più utile è “Sopravvivere alla coppia” nato dalla constatazione che il rapporto di una volta non funziona più, nella società liquida: una coppia su due finisce col divorzio e chi non divorzia non è detto sia felice. Una coppia felice deve sapersi rinnovarsi in continuazione. L’educazione creativa dei figli richiede il saper voler bene in modo incondizionato e non ricattatorio e un equilibrio dinamico tra regole e libertà».
A PROPOSITO
Cari italiani, il mondo è dei creativi
L’intelligenza “divergente” permette di inventare la propria vita ogni giorno.
Testo dell’intervento di Hubert Jaoui (con Isabella Dell’Aquila) a Cagliari, per il festival “Pazza idea”
La parola “creatività” viene dal latino “creare”, che significa “produrre, generare”. È definita come la capacità umana di produrre qualcosa, idea, opera, marchingegno che prima non c’era. Si crea quando si inventano delle soluzioni originali, si riorganizzano elementi già esistenti in una nuova forma, si scoprono forme in precedenza non conosciute, si introducono nuovi elementi.
Grazie a questa straordinaria potenzialità della mente l’uomo ha modificato il mondo nel corso dei secoli, creando strumenti utili alla sua sopravvivenza e alla sua evoluzione, cominciata dall’uomo delle caverne. E l’Homo faber ha preceduto l’Homo sapiens.
Per lunghissimo tempo la capacità di creare è stata considerata un potere magico riservato solo agli uomini eccezionali, dunque appannaggio di pochi. Gli altri, facendo parte della massa indefinita, avevano solo la possibilità di consumare i prodotti del genio. Solo una cinquantina d’anni fa i ricercatori americani dapprima e, in seguito, europei hanno iniziato a interessarsi attivamente della creatività. Infatti l’intelligenza classica, chiamata “convergente”, è un modello di funzionamento del cervello, un modello artificiale ma non per questo da considerare negativamente, che permette di viaggiare agevolmente su percorsi già tracciati dagli esperti e consolidati dal potere.
Ma oggi non basta più viaggiare sui binari, non si tratta di evitarli perché ancora in molti casi è il modo più economico e sicuro di procedere, ma per far fronte ai cambiamenti in continua accelerazione e alla complessità crescente, c’è bisogno di sviluppare una nuova competenza. La creatività come metodo preciso per innovare è relativamente recente e se ha i suoi avi in Europa con Eraclito, Socrate, Leonardo, Cartesio (“la ragione non è niente senza il soccorso dell’immaginazione”), è negli Stati Uniti che prendono forma strutturata come metodo di ricerca di idee innovative per le aziende. In effetti il suo campo d’azione coincide con l’intero campo del pensare e dell’agire umano. Henri Poincaré ci ha fornito questa definizione: “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove che siano utili”.
Secondo questa definizione, creare consiste in “realizzare un assemblaggio originale utile, associando elementi pre-esistenti”. Lo scienziato, il matematico, il biologo associano dei differenti elementi per farne qualcosa di nuovo e allo stesso tempo utile, riuscendo addirittura a introdurre nel mondo sostanze che non esistono in natura.
Ma siamo tutti creativi? I risultati di un’indagine condotta dal presidente dell’Associazione nazionale psicologi statunitensi, John Paul Guilford, sono stati sbalorditivi: ogni persona, indipendentemente dal proprio sesso, dalla propria età, condizione sociale o istruzione, ha un importante potenziale creativo. Egli ha quindi dimostrato che la creatività è una capacità naturale e innata in tutti. Anche se dimenticata e repressa, questa capacità può essere liberata e sviluppata a qualsiasi età, se la persona lo vuole. La sola differenza tra il creatore e gli altri, è che i primi utilizzano una parte di questo potenziale, gli altri per nulla. Guilford ha chiamato questa attitudine a creare “intelligenza divergente” e la oppone all’“intelligenza convergente”, definita dai famosi test QI volti a misurare il quoziente intellettivo.
La creatività, considerata come attitudine a creare, si distingue dall’immaginazione nella misura in cui è orientata verso la ricerca dell’efficienza, verso la traduzione in espressioni tangibili e utili. La scoperta dell’intelligenza creativa è stata una vera rivoluzione, così sconvolgente da non essere ancora stata integrata nel sistema educativo della maggior parte dei Paesi europei, ancora basato sullo sviluppo dell’”intelligenza convergente”, misurata dai test di QI.
Sarebbe assurdo affermare che l’intelligenza convergente è inutile poiché ci fornisce strumenti pronti all’uso, evitando di inventarli nuovamente ogni volta che ci servono e ci permette grandi risparmi. Essa risulta inefficace quando si tratta di afferrare le novità, inventare soluzioni inedite. Di fronte a sfide alle quali non siamo preparati, confrontati a cambiamenti drammatici e a problemi completamente nuovi, abbiamo la scelta tra due possibilità: sia cercare di applicare a ogni costo soluzioni già conosciute, anche se non adatte al problema da risolvere; sia sforzarci di inventare soluzioni e di convalidarle, ossia verificare quello che corrisponde meglio al problema. Ed è questo secondo atteggiamento che esprime una certa capacità creativa, capacità di inventare oggetti e soluzioni allo stesso tempo nuovi ed efficaci.
“Se volete essere creativi, rimanete in parte bambini, con la creatività e la fantasia che contraddistingue i bambini, prima che siano deformati dalla società degli adulti”, ha detto il grande psicologo svizzero Jean Piaget.
Hubert Jaoui
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