Da piccola azienda familiare nata a Milano proprio un secolo fa, nella primavera del 1913, a Gruppo internazionale fra i leader nel settore del lusso, che ha chiuso il 2011 con un utile netto di 431,9 milioni di euro, +72,2% rispetto ai 250,8 milioni dell’anno precedente: la storia del Gruppo Prada, con i suoi “timonieri” Miuccia e Patrizio Bertelli, è l’esempio di un successo perseguito e raggiunto nel tempo con impegno e tenacia, idee e competenze, sacrifici e investimenti, mentalità vincente e spirito competitivo. E, in più, con quello che l’autore definisce “marketing implicito”: “La prima volta che chiesi a Patrizio Bertelli come funzionasse l’area marketing della sua azienda mi guardò seriamente”, ricorda Anghileri, “e poi sorridendo mi rispose con una tranquillità disarmante: ‘Il marketing non esiste. Il marketing siamo noi, sono le nostre idee, i nostri progetti’ “. Con questa straordinaria combinazione chimica il gruppo ha affrontato con studiosa curiosità tutto ciò che nel mondo significa stile, arte, bellezza, eccellenza. Dalla Fondazione Prada per l’arte contemporanea alla collaborazione con i più grandi studi di architettura del mondo per creare punti vendita unici e irripetibili in luoghi ad alto tasso di suggestione… La storia del Gruppo Prada, in costante crescita, è esemplare di un settore chiave dell’economia e del costume italiani, quello della moda: ricostruiamola, grazie a una tesi di laurea da poco presentata all’Università Cattolica di Milano. (s.g.)

prada-logo

Le origini

L’azienda nasce nella primavera del 1913 quando Mario Prada, insieme al fratello Martino, apre in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano un’elegante boutique con l’insegna “Fratelli Prada”. I prodotti venduti sono soprattutto valigie, bauli con un gran numero di scomparti, borse da viaggio, borsette da sera, bastoni da passeggio, cofanetti. Il tutto fatto con un’assoluta ricchezza di pellami: elefante, tricheco, alligatori vari, serpente e altri esemplari da zoo. Ci sono poi porcellane, orologi, argenteria varia e altri articoli tra cui spiccano i nécessaire da viaggio in pelle con raffinati inserti di cristallo e gli strani bauli da piroscafo, che sembrano piccoli guardaroba mobili. Il successo è tale ed immediato che a soli sei anni dall’apertura, nel 1919, dodici mesi dopo la fine della prima guerra mondiale, il negozio diventa fornitore ufficiale della Real Casa savoiarda che, per l’epoca, è un suggello di massimo prestigio. Da quel momento in avanti il portafoglio clienti si arricchisce: le grandi famiglie milanesi, ma anche quelle europee, iniziano ad acquistare regolarmente dal negozio dei Fratelli Prada, facendolo diventare un punto di riferimento nazionale e internazionale per gli accessori di pelletteria.

Viaggiatore di natura e per lavoro, Mario sperimenta, studia e lavora i vari tipi di pellame anche fuori dall’Italia. Da giovane è stato in Germania dove ha lavorato in una pelletteria ma è andato anche in Inghilterra e negli Stati Uniti. E gira ancora perché il cuoio italiano non gli basta. I suoi fornitori preferiti sono in Austria e in Germania, dove per la serietà, la cultura e le tradizione nel lavoro trova dei buoni accordi commerciali. Le cose vanno bene, dopo quello in Galleria apre un secondo negozio in via Manzoni.

Carte compromettenti nelle borse

Sulla scia di suo fratello Martino, attivista dell’Azione Cattolica, Mario si fa conquistare dall’idea e negli anni Venti-Trenta in diversi viaggi a Londra e a Parigi, porta documenti segreti a don Luigi Sturzo, personaggio di riferimento per molti italiani fuoriusciti e ricercati dalla polizia fascista. Nelle sue borse c’è sempre qualche scomparto invisibile dove nascondere e trasportare quelle carte molto compromettenti senza essere scoperto. Proprio per questo impegno il fratello Martino lascerà la società con Mario e quindi la gestione dei negozi per dedicarsi interamente alla politica nel Partito Popolare.

Il declino nel dopoguerra

Gli anni del primo dopoguerra ma, soprattutto, gli anni del secondo conflitto mondiale non possono ovviamente essere lo sfondo ideale per l’attività intrapresa. Il momento d’oro è definitivamente alle spalle. Rientra il progetto di aprire il terzo negozio Prada a Roma. Anche la Galleria di Milano viene bombardata. Si stanno prospettando ben altri problemi. Il negozio storico tiene, ma declina, quello in via Manzoni viene chiuso, il contrasto con gli anni che furono è duro. Nel 1958 Mario muore e in negozio gli subentrano le figlie Nanda e soprattutto Luisa, la più «tedesca» come personalità e senso organizzativo. Prada cambia registro. È pur sempre un bel negozio in Galleria ma il target sono diventati la borghesia che si sta rimboccando le maniche negli anni difficili, ma carichi di speranze, della ricostruzione. L’azienda si riprende e instaura un buon commercio tra gli anni ’60 e ’70, ma non riesce più a toccare picchi veramente importanti.

ritratto di Miuccia Prada

ritratto di Miuccia Prada

La ripresa e lo sviluppo

È nel 1977 che l’azienda passa nelle mani di Miuccia Prada, nipote di Mario. Laureata in Scienze politiche all’Università Statale di Milano, dopo aver studiato e lavorato anche presso il Piccolo Teatro e aver lottato per i diritti delle donne nella Milano degli anni ’70, Miuccia prende le redini dell’azienda e inizia un lungo percorso che la vedrà trasformare l’impresa di famiglia in un colosso mondiale del lusso. Con Patrizio Bertelli, incontrato per la prima volta nel 1977 e già proprietario di una piccola azienda di pelletteria, inizia una collaborazione che vedrà la costituzione de “I Pellettieri d’Italia”, società industriale e distributiva che per i primi anni vende i prodotti di Prada nel mondo.

Come direttore creativo di Prada, Miuccia disegna nel 1985 quello che diventerà un’intramontabile icona della maison, il classico ed elegante zaino fabbricato in nylon nero. Negli anni ’80 e ’90 crescono la popolarità di Prada e la diffusione dei nuovi prodotti quali calzature, abbigliamento uomo e donna, l’introduzione di collezioni ready-to-wear ideate da Miuccia, caratterizzate da sobrietà, eleganza e materiali innovativi. Sfidare l’eccesso di sfarzosità degli anni ’80 e declinare un nuovo paradigma della moda sono gli obiettivi primari della nuova fase di vita dell’azienda. La prima sfilata del marchio risale al 1988, all’interno della collezione autunno/inverno 1989. Pochi anni dopo, nel 1992, Miuccia fonda Miu Miu, brand con il quale distribuisce capi femminili più sperimentali e moderni, destinati a un pubblico più giovane.

Talento nel sovvertire le regole

Insieme a Patrizio Bertelli, che diviene l’amministratore delegato nel 1995, è l’artefice dello sviluppo e dell’espansione internazionale di Prada, muovendo alla conquista del mondo della moda, spingendo rapidamente marchio e prodotti verso nuove frontiere ed espandendosi in altri settori di produzione. Il suo lavoro ha sempre adottato un approccio intellettuale e introspettivo, rivelando un particolare talento nel sovvertire le regole. Curiosa, mai soddisfatta, guarda sempre avanti alla ricerca di nuovi stimoli. Ogni nuova stagione, la sfida e la totale trasformazione rappresentano la costante della sua creazione. Il coinvolgimento nel presente e la trasposizione dello stesso nel proprio lavoro rappresentano la sua missione convergendo nell’incontro di molteplici aspetti culturali in uno stesso momento. Grazie all’approccio radicalmente innovativo, allo stile intellettuale e alla versatilità tecnica, Miuccia Prada ripensa ogni aspetto del processo creativo, riconoscendo dignità stilistica e formale a settori tradizionalmente trascurati per conseguire un’efficace fusione di elementi nel prodotto finale.

Da sinistra John Baldessari, Carsten Holler, Nathalie Djurberg, Thomas Demand, Patrizio Bertelli, Miuccia Prada, Germano Celant e Francesco Vezzoli

Da sinistra John Baldessari, Carsten Holler, Nathalie Djurberg, Thomas Demand, Patrizio Bertelli, Miuccia Prada, Germano Celant e Francesco Vezzoli

Dal 2000 a oggi

All’inizio del 1998 nella struttura della progettazione delle collezioni Prada viene inserita una linea sportiva, caratterizzata dalla nota linea rossa, il cui lancio sarà favorito dalla eccellente prima apparizione del team “Luna Rossa” alla Coppa America di vela dell’anno successivo.

In armonia con l’obiettivo dell’amministratore delegato Patrizio Bertelli di costruire un colosso del lusso, a partire dal 1999 è iniziato un forte processo di acquisizioni che ha portato alla temporanea proprietà dei seguenti marchi: Gruppo Church’s (100%), Helmut Lang (51%), Jil Sander (94,8%), Fendi (51% in tandem con LVMH, prima che Prada vendesse la sua quota alla stessa LVMH a fine 2001), Car Shoe (51%), Santacroce (70%).

È proprio nei primi anni del 2000 che Prada lancia sul mercato anche le sue linee di fragranze per uomo e donna e Prada Eyewear, la prima linea di occhiali della maison milanese.

Il Gruppo Prada si caratterizza nel panorama mondiale per lo spiccato contenuto qualitativo delle attività svolte, con un’organizzazione strutturata per controllare tutte le fasi del ciclo produttivo. Le attività principali sono la produzione, la distribuzione e la vendita al dettaglio tramite DOS (Directly Operated Stores) di prodotti nei settori della pelletteria, dell’abbigliamento ready-to-wear, delle calzature e degli accessori.

Entrata in Borsa nell’Hong Kong Stock Exchange nel giugno 2011, Prada è riuscita a liberarsi di buona parte dei debiti contratti negli anni critici dello sviluppo su larga scala e a trovare le fonti per finanziare i nuovi investimenti, diretti principalmente all’aumento della propria presenza sul territorio mondiale tramite negozi monomarca.

Il portafoglio marchi del Gruppo Prada contiene a oggi quattro brand: i due principali, i “power brands” Prada e Miu Miu, affiancati da Chruch’s e Car Shoe, marchi storici con una propria identità ben definita.

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*Pietro Anghileri, milanese, 24 anni, Generazione Erasmus (ha fatto quell’esperienza a Valencia, in Spagna), attualmente in partenza per l’Australia e la nuova Zelanda (Aukland, base principale dell’avventura velistica di Luna Rossa), è l’autore della tesi di laurea all’Università Cattolica di Milano (relatore il professor Renato Fiocca), dal titolo “Il ruolo dell’imprenditore e il marketing implicito nel settore della moda: il caso Prada” (link). La ricerca è strutturata così: il primo capitolo, da cui è tratto il testo precedente, è dedicato alla storia di Prada dal 1913 a oggi. Il secondo capitolo è rivolto al macroambiente in cui l’azienda si è trovata a operare, al sistema della moda in Italia e allo sviluppo dello stesso, alla visione che Prada ha di se stessa, al funzionamento interno dell’azienda e alla presentazione dell’imprenditore come figura essenziale nel processo di crescita di un’impresa di questo tipo. La parte centrale dello studio è l’analisi delle risposte ai questionari sottoposti a un campione eterogeneo di persone. A essa è dedicato il terzo capitolo: Prada vista dai consumatori. Nel quarto si osservano nel dettaglio le differenti attività intraprese da Prada. Infine nel quinto capitolo, le prospettive evolutive delle strategie messe in atto dal top management con obiettivo primario la continua crescita dei brand presenti nel portafoglio del Gruppo Prada.
A proposito di Storia & Made in Italy:

  • Quel giorno nella vita di mr. Technogym, il romagnolo che fa muovere il mondo. Nerio Alessandri porta la sua azienda leader del wellness in Borsa: è il tredicesimo gioiello fra le quotate emiliano-romagnole che nel 2015 ha chiuso con un fatturato di 511,8 milioni di euro (+10%). E noi ricordiamo un altro giorno importante nella storia dell’imprenditore cesenate: quello dell’inaugurazione del Technogym Village, quando si svegliò “affamato come quando ho cominciato, a 22 anni”
  • Ferrero & C.: le 50 aziende che godono della più alta reputazione in Italia. La classifica di Reputation Institute (al primo posto si conferma l’azienda dolciaria piemontese) vede una leggera crescita delle società. I segnali di ripresa del Paese sembrano andare di pari passo con la fiducia che gli italiani danno alle aziende
  • Nel segno di Ottavio Missoni riparte il cenacolo dei grandi vecchi senza padroni. Sapori, saperi e ricordi: al tavolo di un antico ristorante di Milano si sono ritrovati parte degli amici del grande stilista per fare rotolare parole riaffiorate dal pozzo della memoria anche dell’indimenticabile Tai. Il suo ricordo è pure rinnovato da una Rosa dei venti inaugurata all’Idroscalo di Milano nel giardino dei giochi dimenticati, Aulì Ulè
  • Tiberi, il “Made in Italy” gioca la carta di Fabriano. Alla stazione bolognese per “viaggiatori di idee” approda il Maestro Cartaio di Fabriano che coniuga sapientemente tradizione e innovazione, artigianato e arte, creatività e sostenibilità. Un faro per l’Italia
  • A Como il primo liceo dell’artigianato, dove i ragazzi imparano anche i mestieri. Oltre alla formazione liceale, la scuola “Oliver Twist” nella città lariana offre l’insegnamento delle arti della cucina e dell’accoglienza, dell’arredo ligneo e del tessile (con un articolo ritrovato su “Inventiamo la nuova scuola” che mi mandò Umberto Eco, NdR)
  • Favini, la carta antica che profuma di economia circolare. A volte bisogna cambiare l’immaginario collettivo per orientare la produzione industriale in senso sostenibile. La storia della cartiera Favini di Rossano Veneto (280 anni di attività, oltre 150 milioni di euro di fatturato e 500 dipendenti) ne è un esempio concreto
  • Il caffé etico nel mondo? Per il terzo anno parla in italiano e viene da Trieste. Porta la firma di Illy, tra le World’s Most Ethical Companies elencate dall’Istituto Ethisphere che ha premiato l’azienda per la sua attenzione nei confronti dei coltivatori
  • In Sardegna le mani sapienti degli artigiani battono l’industria. Nell’isola dove soffrono il tessile, la petrolchimica e altri settori industriali, resistono i telai della tradizione e “il sapere della mano”
  • Giovanni Rappazzo, il padre del film sonoro. Nella Giornata mondiale della proprietà intellettuale, a poco più di due decadi dalla scomparsa del geniale inventore messinese che ha dato la parola al cinema muto vogliamo ricordare come, per sfortune economiche e cecità del sistema industriale italiano, si è visto “scippato” dagli americani la sua rivoluzionaria creatura
  • Il computer ha un cuore veneto: storia di Federico Faggin, lo Steve Jobs italiano. Pochi lo sanno: ma è stato un inventore vicentino ad accelerare la rivoluzione elettronica creando il microprocessore, cuore di ogni computer. Nel 1984 mandai un grande divulgatore a trovarlo nella Silicon Valley. Che ci ricostruì la sua vicenda, le sue idee e la sua ultima creatura: un telefono davvero intelligente alla base della civiltà digitale, dal touchscreen alle teleconferenze da scrivania a scrivania