Il 21 marzo, Giornata internazionale della poesia, coincide anche con il giorno in cui, nel 2012, Tonino Guerra ci lasciò, “passando in un’altra stanza”. In coincidenza con questa Giornata, ho voluto illuminare, in questa seconda tappa del mio viaggio intimo che durerà tutto l’anno del centenario di Tonino, le giornate in cui (grazie anche a un medico condotto ravennate) scoccò in un lager nella Germania nazista la scintilla poetica dell’allora ancora Antonio Guerra.

Gioacchino Strocchi: si chiamava così lo straordinario personaggio al quale Tonino deve le prime esplorazioni del suo universo poetico. Era il medico nativo di Campiano e poi medico condotto nella vicina San Pietro in Vincoli, una frazione di Ravenna a metà strada con Forlì. Strocchi fu deportato con l’accusa di nutrire un’aperta antipatia per il fascismo e per gli occupanti tedeschi. Gioacchino fu destinato nella fabbrica-prigione della Dynamit Nobel di Troisdorf, fondata nel 1865 da Alfred Nobel. Sì, proprio in quella fabbrica in cui, tra gli schiavi di Hitler presenti, c’era anche Tonino Guerra, allora 24enne, venti anni in meno del Dùtor ravennate. S’erano incontrati per la prima volta il 5 agosto del 1944 in una caserma di Forlì, dopo un rastrellamento.

Ricordo le parole che mi consegnò Tonino sulla sua cattura:

I fascisti mi hanno preso a Santarcangelo… ero uscito per dare da mangiare al gatto. Mi hanno portato a Forlì, tra gli altri prigionieri romagnoli c’era anche Strocchi. Ci hanno gettato su un treno merci, in mezzo ai cavoli: non c’era molta tristezza tra noi, era convinzione che la guerra fosse finita e che questo fosse l’ultimo scherzo che potesse farci il destino. Sul treno pensavamo che gli americani ci avrebbero liberati; invece siamo arrivati al campo di concentramento di Troisdorf. Lì piano piano è nata la stima per il dottore, per questa persona che noi vedevamo come anziano e che, con poche parole, ci regalava molta serenità.
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Tonino Guerra (1920-2012), poeta e sceneggiatore.

Grazie alle indicazioni di Gigi Mattei, vissuto per un quarto di secolo a fianco di Tonino a Pennabilli, ho rintracciato il Diario di prigionia 1944/45 di Gioacchino Strocchi in cui lui intuisce subito in Tonino un “cervellaccio che promette bene” (8 gennaio 1945).

Con Tonino, Strocchi discute di poesia e di dialetto, e in questo modo il ricordo della loro Romagna resta vivo, si rinvigorisce e con esso il desiderio di tornarvi. Quella sera d’inverno Strocchi dedica molte righe del suo diario all’amico di Santarcangelo:

Tonino, dietro mio incitamento, si è messo a lavorare di gran lena: scrive poesie d’ispirazione paesana e familiare. Peccato che le scriva nel dialetto del suo paese, così aperto! La variante più sgraziata dei dialetti romagnoli. Mi legge la sua poesia la sera dopo cena (lo stomaco non è mai gravato da troppo cibo e permette al cervello di lavorare benissimo a qualsiasi ora). Gli amici romagnoli approvano incondizionatamente ma dicono che nessuna poesia di Tonino batte la favola che ho scritto io precedentemente per muovere l’amico a scrivere. Ha per titolo La vecchia dai tre capelli: una cosa da poco, ma agli amici è piaciuta moltissimo. In tutte le poesie di Tonino trovo qualcosa da criticare. Egli non se la prende. Sa che lo piglio sul serio e, dopo le nostre discussioni, a volte molto vivaci, corregge, modifica, rifà da capo. Il suo stile è impressionistico. I concetti si susseguono legati da un filo tenuissimo e si presentano al lettore con balzi improvvisi e arditi. Non ha una preparazione molto solida e la sua mente è alquanto disordinata, ma è cervellaccio che promette bene.

Tonino ha riconosciuto il ruolo decisivo di Strocchi per la sua felice avventura di poeta:

Ho cominciato a scrivere poesie in quel periodo, aiutato da Strocchi, che amava queste mie poesie che raccontavo ai prigionieri. Molto è dipeso da lui, anzi da un suo racconto è nato in me la voglia di scrivere una favola: I tre capelli (la trovate nel testo a seguire, Ndr). I compagni di prigionia mi chiedevano di raccontare qualche cosa la sera, per tenere compagnia, e siccome per gran parte capivano bene il dialetto, ecco che io ho inventato alcune poesie, che il dottore trascriveva su un quaderno che ha poi portato con sé in Italia. In seguito quel quaderno è capitato in mano a un altro prigioniero, un riminese morto da poco. Suonava il violino, era una persona bellissima. Due anni prima di morire, fu colpito da un ictus e non parlò quasi più. Quando riusciva a dire qualche parola, erano i versi delle mie poesie del campo di concentramento, quelle che Strocchi aveva conservato.

Il 1° febbraio 1945, tre settimane dopo l’appunto di Strocchi, Tonino fu trasferito al lager di Siesburg. Insieme a due amici, lasciò al Dottore un biglietto firmato “I suoi figli”. Sì, perché Strocchi, racconterà poi Tonino a un cronista, Alberto Agnani, “ci teneva a proteggerci e noi ci sentivamo sotto la sua protezione. Lui lavorava come infermiere, in un certo senso aveva una vita più sicura, ma veniva sempre da noi per confortarci e per portarci quello che aveva in più. Per noi giovani era una specie di guida e non solo per l’età: la sua bontà fatta saggezza ci era indispensabile in quel campo di concentramento”.

Tonino, in quella stessa intervista del 2005, ammette di non aver più rivisto il Dottore, anche se gli mandò una copia del libro che pubblicò a sue spese, una volta tornato libero, I scarabocc (ovvero ‘Gli scarabocchi’ pubblicato nel ’46 con la prefazione di Carlo Bo) con questa dedica: ‘Per ricordare un viaggio da dimenticare’.

Non fu per indifferenza, ho continuato a pensare con affetto a lui, ai racconti sui suoi canarini: ‘La sua casa era piena di canarini, ce ne parlava spesso con tanto amore, non vedeva l’ora di rivederli. Una volta gli dissi: ‘Quei canarini, prigionieri come noi…’. Mi rispose: ‘No, non sono prigionieri, io li difendo dai pericoli che sono fuori, voglio loro bene, con me trovano la vera libertà’. Così, quando lui mi arrivava accanto, sentivo il canto dei suoi canarini, e vedevo i canarini nei suoi occhi. Strocchi mi portava fuori dalla prigionia e mi portava dentro la poesia. Era bello fuggire dietro questa favola.

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Il critico d’arte ravennate Claudio Spadoni.

Post scriptum: ho rintracciato a Ravenna una lontana parente del dottor Strocchi, Maria Teresa, andata in sposa a un noto critico d’arte, Claudio Spadoni, già direttore del Mar di Ravenna e componente del consiglio direttivo dell’Ibacn (Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna) e del comitato scientifico del Salone dei Mosaici. Lui ha conosciuto il dottor Strocchi e, a sua volta, gli è grato: “Sapendo della mia passione per l’arte fin da adolescente, il dottor Strocchi rafforzò questa mia passione. Mi prestò alcuni libri, ricordo la Vita di Michelangelo di Papini. Mi diede anche una coppia di canarini e quanto guadagnavo, poi allevando quegli uccelli canterini, mi ha consentito di pagarmi in parte gli studi universitari”. Rovistando nel pozzo della memoria, Spadoni mi aggiunge: “Strocchi intratteneva stretti rapporti anche con mio fratello, Nevio, poeta dialettale e autore di drammi teatrali, sempre in dialetto, rappresentati in mezzo mondo, da New York a Berlino a Shangai. Alla morte di Strocchi, che aveva visto nascere e diventare adulti tutti noi Spadoni (siamo quattro fratelli) è stato chiamato Nevio a scriverne la commemorazione”.

A PROPOSITO/ Da “L’infanzia del mondo”, Opera omnia (Bompiani)

I tre capelli

La favola di Tonino nata in prigionia

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Una vecchia aveva / solo tre capelli in testa. / Se le cascavano / sarebbe stata brutta / con tre capelli, / con tre capelli in tutto.

Erano lunghi però questi capelli! / Lunghi un’eternità: / perché tutti i giorni / lei si faceva il pipullo (la crocchia, Ndr) / e quando era festa / si faceva anche una treccia in tondo. / Dato che tre capelli erano lunghi! / Lunghi come il mondo.

Pettina, pettina / sempre davanti allo specchio / un capello si spezzò / e il vento s l’è portato, / via l’ha portato il vento, / uno si è spezzato.

E gli spini hanno afferrato / il filo leggero di seta; / lo tirano e litigano / e intanto che ci giocano / fanno una ragnatela. Litigano e lo tirano.

La povera vecchia è rimasta / con due capelli soltanto.

Se le cascavano / ora sarebbe stata brutta; / con due capelli, / con due capelli in tutto.

Un giorno se li lava, / se li lava nel fosso / e un altro capello ancora / si stacca dal pipullo! / Segue l’acqua /corre dietro al sapone.

E corri che ti corri / arriva alla marina; / si mescola alle onde / è afferrato in un vortice, / diventa schiuma / che striscia sulla riva / fra le conchiglie e fra i sassi. / Diventa una bianca schiuma.

La povera vecchia è rimasta / con un solo capello. / Guai se le cascava / che sarebbe stata brutta; / con un cappello in testa, / con un capello soltanto.

Piange vicino al lume / perché non le riesce il pipullo; / un capello è nel mare un altro è in mezzo agli spini / l’ultimo ecco fuma / nel fuoco dello scaldino. / Un capello nel mare e un altro in mezzo agli spini.

Per una vecchia pelata / pelata come un uovo, / non c’è posto nel mondo; / per fortuna o forse per carità / ha trovato dove poter andare. Il posto l’ha trovato in mezzo a un cielo / e a noi che riamo rimasti quaggiù / hanno detto che si chiama Luna.

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Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog che vuole essere una bussola verso nuovi orizzonti per il futuro, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” e, a quattro mani con Maria Rita Parsi, “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).

Da “Tonino Guerra 100: stop agli eventi ma non ai ricordi”:

  1. Edoardo Turci e l’infanzia del poeta. Uno storico locale di Sant’Angelo di Gatteo (da dove proveniva la madre di Tonino) rievoca i primi anni della grande firma del cinema in coincidenza con il centenario della sua nascita. È il primo dei contributi che leggerete su Giannella Channel. A seguire: un testo ritrovato di Sepulveda, al quale auguriamo una completa guarigione
  2. La scintilla poetica scoccata nel lager. La prigionia in Germania vede Tonino farsi Omero per i suoi compagni di sventura che con lui condividono il dialetto romagnolo. Per fortuna un medico ravennate, Gioacchino Strocchi, scriverà un diario dettagliato di quei giorni insieme, annotando i testi poetici che Antonio crea e recita ai compagni. Al ritorno in Romagna quei testi diventano un libro e la poesia resta in lui un nutrimento per l’anima
  3. Il giorno che disse grazie, dopo 66 anni, a un angelo di Verona. Nella Giornata della poesia, dieci anni fa, fui testimone di una storia degna di un film di Tonino e Fellini. Dalle fila di un teatro veronese si concretizzò a sorpresa la figura di una pasticcera che, a suo rischio, aveva portato dolciumi e sapone a Tonino prigioniero dei nazifascisti in quella città veneta, in attesa di essere trasferito via treno nel lager
  4. Il giorno in cui mi presentò Eliseo, il Socrate della Valmarecchia. Un noto fotoreporter accompagna il cantore della valle all’incontro con il saggio curatore di un orto. E le ore si riempirono di poesia e di ironia in questa quarta puntata del viaggio per il centenario di Tonino Guerra (testo e foto di Vittorio Giannella per Giannella Channel)
  5. Il giorno in cui accese il fuoco del teatro alle porte di Milano. Il fondatore e direttore di Emisfero Destro Teatro risponde al nostro appello rievocando il festival e l’incontro a Cassina de’ Pecchi che illuminò il futuro artistico suo e di tanti altri giovani di quel borgo lombardo
  6. Il giorno in cui donò, a me regista, la neve sul fuoco. Marco Tullio Giordana doveva girare, nel film “La domenica specialmente”, l’episodio più poetico, tra fascino della sensualità e tristezza della solitudine. Ma quel titolo era appesantito da un mattone. Un viaggio a Pennabilli e da Tonino nasce un’idea e un incontro con due donne straordinarie: Maddalena Fellini, sorella di Federico il Grande, e per il provino, Monica Bellucci
  7. Il giorno in cui mi ricordò che un paese ci vuole. Valentina Galli si stava laureando a Bologna e la tentazione di restare in città era forte. Ma l’incontro con Tonino le fece cambiare idea e ora insegna nella sua Valmarecchia
  8. Il giorno in cui il poeta si mise a dare i numeri. Il direttore del Museo del calcolo Renzo Baldoni rievoca l’inaugurazione delle stanze dedicate al far di conto. Con un rammarico: non aver potuto dirgli che le zone del cervello stimolate da un poeta o da un matematico, sono le stesse
  9. Il giorno in cui insegnò a noi tedeschi come rendere poetico il paesaggio. Roland Guenter, storico dell’arte da Eisenheim, racconta i festeggiamenti virtuali per il centenario nel parco creato sul Reno nel nome di Tonino e rievoca le lezioni di architettura poetica ricevute da lui e da altri studenti a Pennabilli, decisive per dare alla Ruhr un volto seducente per i turisti culturali
  10. Il giorno in cui mi parlò di Serafim, il santo che dava miele agli orsi. A Gianfranco Angelucci, scrittore e sceneggiatore amico di Fellini, il centenario del poeta del cinema che stiamo festeggiando sul blog, ispira un emozionante video e una lettera aperta a Tonino, con una inedita rivelazione spirituale
  11. Il giorno in cui mi regalò la sua gigantesca anima. Enrica, moglie di Michelangelo Antonioni, rievoca il primo e l’ultimo giorno in cui, tra rumori sapori e ricordi, incontrò il poeta del cinema
  12. Il giorno in cui giocò con la mia Gatta Danzante. Il pittore bolognese dei giardini Antonio Saliola, con rifugio creativo nella Valmarecchia, rievoca la favola di un pomeriggio in cui, sotto i suoi occhi stupiti, il suo felino fece le fusa al poeta del cinema, volteggiando come non mai. A seguire, un singolare documento: i pizzini di Tonino a Lora, sua signora, sulla legione di gatti in casa
  13. Il giorno in cui capii come nacque l’urlo in Amarcord “Voglio una donna!”. Uno storico romagnolo, Davide Bagnaresi, rievoca un incontro con Tonino Guerra in piazza a Bologna sui retroscena del film da Oscar e svela il ritaglio di cronaca che diede vita alla scena con Ciccio Ingrassia. A seguire, i consigli di Tonino per i bravi sceneggiatori
  14. Il giorno in cui assistetti all’incontro tra due grandi italiani: Tonino Guerra ed Enzo Biagi. Rita Giannini, biografa del poeta del cinema, rievoca l’inedito faccia a faccia nello studio in Galleria, a Milano, del popolare giornalista: due emiliani romagnoli, nati entrambi nel 1920, emozionati e liberi di raccontarsi a ruota libera
  15. Il giorno in cui fece cadere la pioggia sulla riviera bollente. Un grande giornalista romagnolo, Giancarlo Mazzuca, rievoca l’incontro a Cervia con il poeta solare fino al midollo che sapeva anche essere l’uomo della pioggia. A seguire: il regalo iridato di Tonino al fotoreporter Daniele Pellegrini
  16. Il giorno in cui conquistò il cuore di medici e infermieri. Il noto pediatra Italo Farnetani rievoca le parole con cui Tonino Guerra commosse 1.200 congressisti a Rimini, richiamando da poeta del cinema l’insegnamento di Ippocrate
  17. Il giorno in cui Sergio Zavoli lo salutò con parole eterne. Del grande giornalista appena scomparso ricordiamo lo speciale addio che diede a Tonino una primavera del 2012 a Santarcangelo

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