SALVATORE GIANNELLA: Cari Carla e Ferruccio, grazie per aver accettato il nostro invito a raccontarci il profilo misterioso della vostra Romagna, frutto di tante escursioni e studi approfonditi. A muovere il mio desiderio di conoscenza, in questo anno dedicato ai Borghi e al Turismo sostenibile, mi hanno spinto le parole di Tonino Guerra, romagnolo d’esportazione, grande amico e maestro di poesia e sceneggiatura:
CARLA E FERRUCCIO: “Partendo da sud, dopo essersi lasciati alle spalle la Rocca di Gradara, quella resa famosa dalla tragica storia d’amore di Paolo e Francesca immortalata da Dante, si incontrano le prime storie leggendarie, narrate da lungo tempo, che arrivano dalla costa. Storie che, accompagnate dalle parole guida di Tonino, ci danno una percezione diversa di luoghi, memorie e genti, ci introducono a quello che con un termine moderno possiamo chiamare turismo emozionale. Storie come quella di Conca, città sprofondata. In un punto tra Misano e Cattolica si scorgerebbero sott’acqua vie e palazzi, torri, mura e statue; sarebbero i resti dell’antica città di Conca, di cui tuttora è ignoto il sito. La città profondata è indicata addirittura in alcune antiche carte. Una storia simile esiste anche per il promontorio di Gabicce Monte, nella baia della Vallugola, così chiamata per l’eco che vi si può udire. Qui la città scomparsa si chiamerebbe Valbruna e sarebbe stata di epoca romana, poiché sul promontorio esisteva un tempio dedicato a Giove Sereno, protettore dei naviganti, che di notte serviva da faro col suo fuoco. Questa città è nota anche come l’Atlantide dell’Adriatico. Anche per Valbruna si parla di resti sommersi e visibili attraverso l’acqua”.
Al di là delle leggende, ci sono documenti che corroborano queste ipotesi?
“Una cosa è assodata: nella baia sono stati ritrovati numerosi vasi, terrecotte e frammenti di statue, ma, soprattutto, questa parte di territorio è stata potentemente erosa nei secoli, e il suolo si è abbassato in diversi punti: quindi, chissà che cosa nascondono qui le profondità del mare”.
La marineria è ricca di storie fantasiose, spesso tragiche, legate alla vita difficile dei pescatori, alle prese di burrasche e della forza del mare…
“È proprio la storia di un pescatore che abbiamo raccolto a Cattolica. Un giorno che le barche in quel tratto di mare erano tutte fuori, si alzò una furiosa tempesta che durò fino a notte inoltrata. Zeffirino, un anziano marinaio, faticava a prendere sonno – come altri, quella notte – pensando ai suoi marinai e alla sua barca, affidata al parone Lissén. All’improvviso sentì un gran bussare alla porta, andò ad aprire ma non c’era nessuno, solo il buio e il vento che fischiava; stava tornandosene a letto quando sentì altri colpi, più forti di prima, e questa volta – quando ebbe nuovamente aperto – in mezzo al soffio del vento udì una voce lontana, confusa con il rumore della tempesta: «Sono Lissén, ci siamo perduti! Mi troverete sotto i sassi del Monte!». L’indomani mattina, infatti, l’unica barca che mancava era quella comandata da Lissén. Si organizzò subito una ricerca, ma tutti avevano l’anima pesante; navigarono fino al promontorio di Gabicce, e lì, sotto i sassi del Monte, trovarono il corpo di Lissén, proprio come aveva detto la sua voce”.
Usciamo dall’autostrada a Cattolica, e imbocchiamo la più meridionale delle vallate romagnole: la Valconca.
“Questa terra, al confine con le Marche segnato dal corso del torrente Tavollo, è percorsa dal fiume Conca, che nasce dal monte Carpegna, il cuore roccioso del Montefeltro, e sfocia in Adriatico all’altezza di Portoverde (comune di Misano), e da altri torrenti. Le tracce dell’uomo risalgono fino all’Età della Pietra (Paleolitico), come in altre zone della Romagna, e quindi la sua storia è molto antica; nei secoli la valle è sempre stata un importante centro di produzione di cereali, olio e vino: per questo erano molto attivi i mulini, e parte del territorio era conosciuto come il Granaio dei Malatesta, la famiglia con più possedimenti in zona. Venivano tenuti anche molti mercati e fiere: il più importante era quello di Morciano, documentato almeno dal XIII secolo e ancora oggi esistente in periodo primaverile. Quasi tutti i vecchi borghi sorgono tuttora lungo i crinali che collegano il mare con l’entroterra, e anche l’attuale strada di fondovalle ricalca la strata regalis che da Rimini arrivava sul Conca, e che costituiva un’alternativa alla via Flaminia per recarsi a Urbino e a Roma attraverso la gola del Furlo”.
Ho volato su quel suggestivo fiordo del Centro Italia. Uno spettacolo impressionante…
“Le rocche costruite o adattate dai Malatesta, compresa quella di Gradara (oggi in provincia di Pesaro-Urbino), creavano una poderosa cintura difensiva contro i nemici di Rimini, come i Montefeltro e San Marino. Molti dei castelli erano anche residenze signorili oltre che strutture militari, e alcune erano le preferite per la caccia, specialmente Montefiore. Il Medioevo fu pure un succedersi di scaramucce e battaglie per il controllo del territorio, sia tra i vari signorotti locali, sia soprattutto tra Malatesta e Montefeltro, in una serie di lotte senza fine. Il XV secolo e l’inizio del successivo furono uno dei momenti più drammatici per la Valconca, con continui scontri e assedi, saccheggi, incendi e distruzioni di castelli, case e campi – la cosiddetta Guerra di Urbino –, con grandi tensioni tra Papato, Malatesta e Montefeltro, questi ultimi sostituiti poi dai Della Rovere. Questo stato di tensioni e guerre causò gravi danni sia ai paesi che alle campagne; a essi si aggiunsero le ingiurie causate dai terremoti, come quello fortissimo del 1308 e quello del 1786”.
Infine anche la seconda guerra mondiale contribuì pesantemente a danneggiare quello che era rimasto degli antichi borghi medievali.
“Per esempio, a Coriano e Gemmano si è salvata soltanto parte delle mura. In particolare vanno ricordate le Battaglie di Coriano per lo sfondamento della Linea Gotica: l’attacco anglo/americano contro i tedeschi del 12 settembre 1944 è il più grande scatenato in Italia nel corso del conflitto. A parlare di quelle sanguinose giornate, come monito indimenticabile della barbarie della guerra, provvedono il cimitero di guerra inglese, o uno degli altri della zona, o visitare il Museo della Linea Gotica di Montegridolfo o la Chiesa della Pace a Trarivi di Montescudo”.
A proposito di cimeli storici: il primo borgo che si incontra uscendo da Cattolica verso il mare di terra interno è, tra le località della zona, una delle più ricche di tracce del passato, remoto e recente: San Giovanni in Marignano, l’antico granaio dei Malatesta e capitale economico-agricola al centro della signoria malatestiana.
“Il Fundus Mariniani (secoli III a.C.- V d.C.), identificato con la vicina località di Castelvecchio, nella zona della Madonna del Monte (dove nel 1699 fu eretta una bella chiesa tuttora esistente, anche se in fase di restauro) è la prima area abitata del territorio. Si trattava probabilmente di una villa con fornaci. L’alto Medioevo fu un periodo di grande sviluppo per tutta l’area. Dopo un periodo di crisi dovuto anche a fattori ambientali, fra il XIII e XIV secolo alcuni monasteri benedettini intrapresero un imponente piano di dissodamento, disboscamento e bonifica. Venne abbandonato l’insediamento di Castelvecchio e venne creato ex novo, nella pianura risanata, in vicinanza del torrente Ventena, il castello di San Giovanni in Marignano (Castelnuovo), di cui restano ben visibili mura e torre d’accesso tre-quattrocentesche: quel complesso (completato con la probabile consulenza di Filippo Brunelleschi) era anche residenza signorile e non solo militare. Così, a partire dal Trecento, il territorio raggiunse un’alta produttività agricola, quel primato che ha legittimato a San Giovanni il titolo, assegnatogli anche dai letterati e viaggiatori, di granaio dei Malatesta. All’interno del castello (ma anche disseminate lungo le strade principali, al riparo delle mura) erano state scavate circa seicento fosse granarie (duecento delle quali pervenute ai nostri giorni) predisposte appositamente per conservare i cereali: alcune di queste fosse granarie sono state recentemente restaurate”.
Per uno come me, originario del Tavoliere pugliese che sui libri di geografia è indicato come il granaio d’Italia, una realtà come quella appena evocata fa sorgere la domanda: esiste un museo del grano? E se no, perché non crearlo qui? Sarebbe un omaggio alla vera identità di quel borgo e di quella terra fertile, e proprio per la sua fertilità guardata sempre con molto interesse nel tempo e al centro di sanguinose contese.
“Intanto un museo tutto dedicato alla storia del grano non c’è, ce n’è uno etnografico (Come eravamo) che ricostruisce le vicende storiche e caratteristiche geo-storico ed economiche del paese. Da questo dominio sull’humus romagnolo sono nate leggende anche sanguinose. Prendiamo uno dei nomignoli con cui sono ricordati gli abitanti di San Giovanni: i magnatudesc, mangiatedeschi. Deriva da una vicenda accaduta durante gli ultimi anni della dominazione papale sulla Romagna, quando per dar la caccia ai patrioti le truppe pontificie utilizzate in zona erano costituite da austriaci e tedeschi, detti tugnini. Spesso e volentieri questi soldati commettevano degli eccessi di ogni tipo contro la popolazione, che solitamente sopportava i soprusi per paura, ma a volte la rabbia era più forte di tutto. La fantasia popolare si è sbizzarrita su questo tema. Noi abbiamo raccolto questa versione. Un giorno uno di loro, dalle parti di San Giovanni, trovò una ragazza da sola nell’aia di casa, e cercò immediatamente di farle violenza, ma fortunatamente i fratelli erano lì vicino e, udite le urla e capita la situazione, accorsero col sangue agli occhi: erano talmente esasperati che riuscirono ad avere ragione del soldato armato e lo infilarono dentro il forno acceso. Dopo aver soccorso e calmato la sorella si recarono dal prete del paese a raccontargli il fatto e costui (alterato dalle devastazioni a cui aveva assistito persino in chiesa, ma pur sempre un prete) disse loro di portare il cadavere in sagrestia, di notte: lo avrebbero seppellito senza farsi vedere per evitare ritorsioni. Così fecero, ma com’è come non è, la notizia trapelò e quella notte davanti alla chiesa c’era un folto gruppo di persone fuori dalla grazia di Dio per le violenze subite, e quando arrivò il cadavere del tugnino erano talmente imbestialiti che lo presero addirittura a morsi, e il prete ebbe da fare e da dire per cavarglielo dalle unghie e poterlo seppellire”.
Sono stato giorni fa a San Giovanni e in comune e in biblioteca mi hanno dato materiale utile per ricostruire l’agenda dei principali eventi artistico-culturali. Fiere agricole a parte, mi ha colpito una in particolare: la festa delle streghe, che ha il suo momento culminante nel solstizio d’estate, la notte tra il 23 e il 24 giugno, meglio conosciuta come notte di San Giovanni.
“L’origine di questa festa è legata al fatto che San Giovanni in Marignano è ritenuto luogo di streghe e superstizioni fin dal Medioevo. Qui si narra abitasse Artemisia, la strega buona della Valconca. Pare sia vissuta tra il ‘700 e l‘800. Il suo nome era, in realtà, Caterina, ma tutti la chiamavano come l’erba di San Giovanni. Era esperta di tarocchi, faceva pozioni per la buona salute e gli innamorati, era famosa per il rito dell’olio contro il malocchio… insomma esercitava la magia buona, non come la strega della valle del Foglia, sua acerrima nemica, che si dice facesse addirittura sacrifici umani. Artemisia morì annegata una notte d’estate insieme al figlioletto, che aveva cercato inutilmente di salvare dalle acque del fiume. Ispirati anche da questa figura, a San Giovanni dal 1988 festeggiano la notte delle streghe, che ha il potere di tenere sveglia la città e di ammaliare la vicina riviera”.
Culturalmente il borgo ha fatto un grande salto di qualità grazie al restaurato teatro Massari, gioiello e vanto dell’intero circondario.
“Tra i 72 teatri storici della regione, il teatro Massari (dedicato ad Augusto Massari, direttore d’orchestra e concertista di San Giovanni, noto per aver composto l’inno della Repubblica di San Marino) è il terzo più antico di Romagna dopo quelli di Lugo e Faenza, e quindi il più antico della provincia di Rimini. L’Istituto per i Beni Culturali colloca al 1821 la data di nascita del teatro, sorto da un oratorio, una struttura ancora più antica costruita nel 1650 e probabilmente parte del perimetro delle mura malatestiane di San Giovanni. Nel ’77 sono iniziati i lavori di restauro del teatro per riportarlo, a partire dal 1982, agli antichi splendori, dopo lunghi decenni di abbandono anche dovuti ai forti danni subiti durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Le chiese del paese, pur di origine medievale, sono state tutte rinnovate nel Settecento: merita una visita, perché sempre a porte aperte, la chiesa detta di Santa Lucia, più correttamente della Beata Vergine delle Grazie, dove ammirare un affresco cinquecentesco di scuola romagnola. E, con una telefonata preventiva in Pro Loco, consigliamo anche uno sguardo al Museo degli insetti che possiede una raccolta di esemplari sia dell’area sia del mondo”. (Info utili per i cento turismi nella valle, vedere alla fine del testo).
Andiamo avanti. Percorrendo la strada provinciale 35, dopo sei chilometri, troviamo l’antico borgo medioevale di Morciano di Romagna.
“Che ci fa mettere a fuoco due aspetti interessanti della Valconca, l’antico e il moderno. Lo sguardo al passato remoto ci mostra una valle sempre punteggiata da diversi conventi e monasteri, sia maschili che femminili: le vicende politiche, i danni del tempo e, più recentemente, la crisi delle vocazioni, li hanno svuotati tutti. L’abbazia più antica e prestigiosa era quella di San Gregorio in Conca, proprio a Morciano, fondata nel 1069 da San Pier Damiani, con elementi architettonici di pregio, navate di dimensioni considerevoli, un arco gotico ogivale in mattoni, una cripta più o meno rimaneggiata. L’abbazia, che ha conosciuto periodi di splendori con una ricca biblioteca, mantiene come valore fondamentale l’aver conservato il suo aspetto aulico nell’intero complesso isolato e austero, affacciato su un meraviglioso terrazzo naturale sul fiume Conca. Trasformata in casa colonica dopo le soppressioni napoleoniche, oggi ne sono visibili solo le strutture esterne. Il viaggiatore curioso di arte sacra potrà soffermarsi, dopo aver esplorato gli angoletti settecenteschi nascosti nella parte vecchia del paese, nella chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo con l’annessa cappella dedicata alla Beata Vergine delle Grazie”.
Mi incuriosisce l’attrattiva moderna del Castrum Marzanum.
“La piazza dedicata a Umberto Boccioni (pittore futurista, figlio di genitori morcianesi, l’usciere di prefettura Raffaele e Cecilia Forlani), progettata dall’architetto Vittorio Gregotti, è dominata da un monumento: Colpo d’ala: omaggio a Boccioni, donato alla città di Morciano da Arnaldo Pomodoro, tra i maggiori scultori mondiali viventi, in omaggio al borgo che gli ha dato i natali il 23 giugno del 1926. In omaggio al grande pittore si tiene ogni anno la rassegna FU.MO (Futurismo Morcianese)”.
Bella combinazione, questa, per un turista furetto, ad alto tasso di curiosità e di mobilità.
“E non è tutto. A Morciano sono consigliabili belle escursioni lungo le rive del Conca. Il tratto di fiume in territorio comunale è stato oggetto di lavori di sistemazione che permettono rilassanti escursioni in bici, a piedi, a cavallo, in un habitat naturale”.
Da Morciano imbocchiamo la provinciale 84 e, dopo 7 chilometri, arriviamo a Montefiore Conca, posizionata su una delle colline più alte della Valconca. Da lassù si può godere di un panorama davvero emozionante: si dominano le città sottostanti, i monti e le valli e tutta la riviera romagnola, dalla pineta di Cervia e Ravenna fino al monte di Gabicce.
“Qui la parte del leone la fa la Rocca malatestiana. La sua struttura squadrata e imponente la rende unica tra i vari castelli malatestiani, forse la più importante e imprendibile fortezza alla quale fu riconosciuto un ruolo fondamentale nella strategia di controllo dei confini del ducato di Urbino, distante solo 29 chilometri e governato dalla temibile famiglia dei Montefeltro. L’origine di Montefiore (oggi nel prestigioso circuito dei Borghi più belli d’Italia) è antichissima, e la sua vita dalla preistoria traccia una linea ininterrotta finora, attraversando tutte le epoche. Già all’inizio del Medioevo il borgo è sottoposto a Rimini, e con l’arrivo dei Malatesta vive il suo periodo di massimo splendore. Essi vi edificarono una delle loro migliori fortezze, che era sia residenza signorile sia baluardo militare. La rocca fu costruita intorno al 1340 da Galeotto Malatesta e fu tenuta dalla famiglia per più di un secolo: tra le sue mura nacque nel 1377 Galeotto Novello, detto Belfiore proprio da questo luogo. Era la residenza prediletta di Malatesta Ungaro, che la fece decorare da Jacopo Avanzi con affreschi in parte sopravvissuti: sono gli unici conservati in palazzi privati malatestiani, e fra i pochi in assoluto di soggetto profano; uno di questi affreschi raffigurerebbe Dante. Un panorama mozzafiato, importanti e rari affreschi di pittura laica: si capisce perché, oltre ai Malatesta, vi soggiornarono re stranieri come Luigi il Grande d’Ungheria (1347) e Sigismondo re di Boemia e imperatore (1433), papi famosi come Gregorio XII (1415) e Giulio II (1507) e nobili come Costantino Comneno, principe di Macedonia, che morì proprio a Montefiore nel 1530. Verso il 1432 Sigismondo Pandolfo Malatesta migliorò le difese della rocca, aumentò le cinte murarie per contenere il borgo che si andava sviluppando. Fu in questo periodo che Montefiore s’ingrandì dotandosi di istituzioni religiose e civili di grande importanza sociale come i monasteri, gli ospedali, il monte di pietà. La cittadinanza poteva vantare la presenza di notai, banchieri, giureconsulti e letterati che rivestirono incarichi prestigiosi in tutt’Italia. Dopo la fine del dominio malatestiano se ne succedettero vari altri, finché anche Montefiore passò sotto lo Stato Pontificio”.
A proposito di banchieri: Simon Sebag Montefiore, uno dei più brillanti storici britannici in circolazione, racconta che il cognome della sua famiglia viene da un suo antenato che sfuggì all’Inquisizione spagnola e si rifugiò a Montefiore in Romagna. Il fatto che Simon abbia scritto una grande biografia dei Rotschild può aver indotto alcuni a ipotizzare che quei banchieri provenivano da Montefiore…
“Effettivamente nell’ultimo dopoguerra gli abitanti chiesero ai Rothschild fondi per restaurare il castello, proprio in base a quell’ipotetica, antica ascendenza, ma non ebbero da loro nessun aiuto. L’accesso al borgo fortificato è detto Porta Curina (secolo XV), in cui è murato lo stemma dei Piccolomini, e da qui le stradine si inerpicano attorno al colle verso la rocca passando tra le case. Vi è ancora l’antica Bottega del Vasaio, un secolare laboratorio artigiano della famiglia Franchetti, ormai chiuso, con la sua attrezzatura tradizionale”.
La Romagna è terra ricca di tradizioni popolari: ce n’è qualcuna che vi sentite di suggerire a viaggiatori curiosi in questo settore?
“Una tradizione molto antica e sentita a Montefiore è la processione del Venerdì Santo, quasi una sacra rappresentazione, documentata almeno dalla seconda metà del Settecento; essa comprende vari figuranti (legionari, pie donne, apostoli, angeli, bambini che recano i simboli della Passione, personaggi legati al processo di Gesù e altri di contorno), e il protagonista non è, come solitamente accade, il Cristo portacroce, ma il Cireneo, mentre il Messia è raffigurato morto, con una statua portata al di sotto di un baldacchino. Vi partecipano membri di varie confraternite (diminuite nel corso del tempo), e il ruolo che interpretano si trasmette di generazione in generazione. La statua del Cristo morto, che al mattino è stata lavata col latte, viene “sepolta” nella piccola chiesa dell’ospedale, e baciata con grande partecipazione dai fedeli, che poi ritirano alcune pagnotte – gesto nato con valore sia pratico di elemosina per i bisognosi e remunerazione per i partecipanti, sia simbolico eucaristico, come rivela la definizione “Processione del Cristo morto e ridotto in pane” in un documento del 1816”.
Ogni castello che si rispetti ha il suo fantasma e Montefiore non poteva essere da meno…
“Lì di fantasmi ce ne sarebbero addirittura due. Il 24 agosto 1344 vi venne decapitato Lorenzo di Berardo Ceccolino, signore di Saludecio, nipote della moglie di Malatesta Guastafamiglia (un nome che è tutto un programma), fatto giustiziare da quest’ultimo per l’omicidio di due membri della famiglia Ondedei, padroni di quelle terre, omicidio forse ordinato dallo stesso Malatesta. Nel 1993, durante l’allestimento di una mostra sulle streghe, si verificarono strani fenomeni, finché a qualcuno, chiaramente suggestionato dall’ambiente e dal tema e forse anche da qualche bicchiere di Sangiovese in più, apparve nell’antica prigione una dama vestita di bianco, in lacrime, e, nei sotterranei, un uomo decapitato che passeggiava con la testa sottobraccio, inveendo contro chi lo aveva tradito.
Quanto all’identità della dama bianca, potrebbe essere lo spirito di Costanza, figlia di Malatesta Ungaro e nipote del Guastafamiglia, sposata nel 1363 al marchese Ugo d’Este da Ferrara ma vedova già nel 1370, fatta assassinare da Galeotto, fratello del Guastafamiglia, signore di Montefiore dopo la morte di Ugo, in un anno imprecisato fra il 1372 e il 1378. I motivi di tale omicidio riferiti dalle cronache vanno dai comportamenti discutibili alla sinistra fama di iettatrice, ma forse, semplicemente, avendo ereditato il ruolo del marito, era diventata scomoda.
Qualcuno ha ventilato addirittura l’ipotesi che Costanza e Ugo potrebbero essere stati i genitori del fantasma più famoso del circondario riminese, la povera Azzurrina, scomparsa a Montebello (nella vicina Valmarecchia) nel 1375, in quanto il signore della rocca nel 1371 era un certo Ugolinuccio, ma non ci sono certezze a riguardo. In ogni caso ogni fantasma, sia reale o sia frutto d’immaginazione, è legato a una qualche tragedia; queste terre hanno conosciuto lotte terribili fra famiglie e anche all’interno delle famiglie stesse: che ci si creda o no, questi racconti sono la spia di quella terribile realtà”.
Inoltre ogni castello che si rispetti nasconde un tesoro da qualche parte. E nella geografia italiana dei tesori nascosti, il castello vero con un tesoro vero da scoprire, stando a testimonianze notarili, è proprio la Rocca di Montefiore, sentinella di pietra di segreti non ancora svelati.
“L’importante è intendersi sul concetto di tesoro. La leggenda di un tesoro dei Malatesta nascosto a Montefiore è documentata già nel Quattrocento; la speranza dei cittadini si risvegliò durante i lavori di restauro al castello eseguiti dopo il secondo conflitto mondiale, e nel 1952, quando un fulmine colpì una torre (già detta del diavolo, forse proprio per scoraggiare eventuali ricerche) nonostante il parafulmine fosse collocato sul vicino campanile: era certo stata la presenza di una grande quantità di metallo nascosto ad attirare quel fulmine! In vari hanno provato (si vedono ancora i buchi nelle murature), ma invano. Ci fu un tentativo di scavo nel 1975, naufragato perché qualcuno avvisò le autorità. Comunque, se anche vi era un tesoro, probabilmente si sarà trattato semplicemente di medaglie simili a quelle ritrovate a Montescudo nel 1954: ventidue medaglie in bronzo raffiguranti Sigismondo Pandolfo, il Tempio malatestiano e il castello, coniate da Matteo de’ Pasti, custodite in un vaso di terracotta nascosto in uno dei bastioni”.
Qualche particolare in più, e documentato, posso aggiungervelo io, frutto di una ricerca nella Biblioteca Gambalunga di Rimini e del racconto emozionante che mi ha fatto la “castellana” del terzo millennio di Montefiore, Alice Leardini, 30 anni, una laurea in storia dell’arte presa a Roma.
Sintetizzo: la recente campagna di restauro, condotta dalla Soprintendenza di Ravenna, ha permesso di accedere anche agli ambienti antichi, prima non raggiungibili. Per svolgere gli scavi archeologici è stato rimosso il pavimento. Le ricerche hanno riportato alla luce molti reperti. Alcuni boccali, maioliche medioevali, vetri e bottiglie. Non sono mancate le monete e anche un prezioso sigillo in bronzo. Ma del tesoro dei Malatesta, sepolto qui da Sigismondo, nessuna traccia. Eppure la castellana Alice insiste: «C’è un documento storico che parla di questo tesoro». Quel documento è conservato nella Biblioteca Gambalunga di Rimini e racconta una storia avvincente. Siamo nel 1464. Il 7 aprile un riminese, Francesco Mengozzi, si presenta a Sigismondo e gli rivela fatti gravi. Mentre Sigismondo era a Venezia per trattare con quel Senato il comando di un’impresa in Grecia, lui – il Mengozzi – aveva raggiunto la vicina Santarcangelo per chiedere consiglio a un legale su una questione privata. Il legale era Ranieri de’ Maschi, giurista e letterato, che lo stesso Sigismondo aveva mandato nel 1456 ambasciatore a Genova, a Firenze e a Siena e ora, caduto in disgrazia, si era ritirato a Santarcangelo meditando vendetta e deciso a occupare Rimini per donarla al Papa. Il colloquio tra il Mengozzi e il de’ Maschi si fece lungo, tanto che il riminese fu invitato a pernottare. Accettò, ma prima di andare a letto ebbe una confessione eccezionale. Ranieri de’ Maschi e Ramberto Fulceri, signore di Santarcangelo, gli svelarono sotto giuramento che, oltre a studiare su come impadronirsi di Rimini, essi contavano di conquistare la rocca di Montefiore dove avevano notizia che in certe muraglie era riposto il tesoro dei Malatesta. Tutto questo racconta Francesco Mengozzi al suo signore il quale invoca l’aiuto di Venezia, confisca i beni di Ranieri e gli abbatte la casa, poi con duecento fanti muove contro Santarcangelo.
Come si vede, fondamento storico c’è. A Montefiore tutti ci credono e dicono che il tesoro deve essere nascosto in qualche sotterraneo della rocca. (La leggenda aggiunge che Malatesta fece murare anche l’architetto ideatore del nascondiglio per timore che se ne venisse a conoscenza). A conforto della loro tesi citano il ritrovamento nel 1954, nel vicino castello di Montescudo, di 22 medaglie con l’effigie di Sigismondo. «Si tratta di alcune di quelle, famose e veramente stupende, fuse in bronzo da Matteo de’ Pasti negli anni centrali del Quattrocento», mi ha precisato Alice e come voi mi avete confermato. «Ne sono stati trovati diversi esemplari anche altrove, sempre nei muri di costruzioni malatestiane; sappiamo che il signore di Rimini le faceva nascondere nelle murature affinché la memoria del suo nome e del suo volto, com’era in uso da parte degli imperatori romani, sopravvivesse anche alla distruzione delle sue architetture». Certamente una tale preoccupazione non poteva essere compresa dalla gente comune, che fantasticò su tali depositi e li interpretò come tesori: varie leggende di tesori nascosti nei muri delle rocche malatestiane fiorirono ancor vivente Sigismondo… tra queste per l’appunto quella di Montefiore. Vacanzieri, aprite gli occhi! Anche perché chi trova il tesoro ha diritto a tenersene una parte…
INFO UTILI
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La Riviera romagnola (da Cattolica a Rimini, da Cervia e Cesenatico fino a Ravenna) e il suo mare di terra, inclusa la Valconca, sono ricchi di eccellenze culturali e naturalistiche sintetizzabili nel mosaico dei cento turismi® evidenziato con le principali icone in basso. Queste mete possono essere visitate a piedi, in bici, in moto, a cavallo, in auto prevedendo mezz’ora, un’ora, mezza giornata, una giornata.
Collegatevi con i siti e gli IAT di Rimini e della sua provincia, con quello di Cattolica (indicato per la Valconca), sotto indicati e con gli uffici informativi in loco e vi saranno date le indicazioni aggiornate per inanellare i principali turismi possibili, gli eventi artistico-culturali in programmazione e altre info utili (mangiare e dormire bene, ecc.) mirate alle vostre curiosità e al vostro tempo a disposizione.
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Informazioni utili
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- Comune, Ufficio relazioni con il pubblico, tel: 0541.828111, mail: urp@marignano.net;
- Ufficio cultura, tel: 0541.828165; web: www.comune.san-giovanni-in-marignano.rn.it;
- Pro Loco, presidente Mauro Landi, segreteria Federica, tel: 333.5440135, prolocosangiovanni.it/; lanottedellestreghe.net
- Morciano:
- Pro Loco, presidente Mico Ripa, 320.0445188, mail: info@prolocomorciano.it;
- Comune, tel: 0541/851911; web: morciano.org/mambo).
- Montefiore:
- Comune, tel: 0541.980035; comune.montefiore-conca.rn.it;
- Pro Loco, prolocoemiliaromagna.it/pro-loco-montefiore-conca;
- Coop. Domino, tel: 0541.980179; mob: 334.2701232.
Sitografia / Avvisi ai naviganti: informazioni generali
- valledelconca.it (associazione sportiva dilettantistica e culturale)
- lineagotica.eu/news
- lacittainvisibile.it
Comuni
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- Nel Montefeltro marchigiano sulle orme di Pasquale Rotondi, salvatore dell’arte italiana
- Da Rimini a Pennabilli sulle tracce di Fellini e di Tonino Guerra: paesaggio con poeta
- Che tipi sono i romagnoli te li dipingo io, Giuseppe “Pino” Boschetti
- Gianni Fucci, l’ultimo degli Omeri cresciuti in terra di Romagna
(via mail)
Carissimo Salvatore,
tutti gli articoli che si leggono nel tuo Channel sono molto interessanti, ma questa serie dal titolo: “Turismo archeologico: la Romagna misteriosa tra rocche e tesori nascosti” è davvero un tesoro preziosissimo. Fa venire voglia immediata di partire per conoscerla.
Complimenti!
Grazie, Lina e Vanni. E auguri a voi e alla vostra antica, autorevole e ammirata mission di voce della Romagna. (s.g.)
(via mail)
Caro Salvatore, e il titolo di Ambasciatore della Romagna quando te lo danno? O lo hai già?
Tutto cosi interessante anche per noi “romagnoli” trapiantati in Russia…
Siete voi, ravennati cosmopoliti che avete fatto del mosaico e dell’arte un elemento trainante della promozione turistica della Romagna e dell’Italia, a meritare il riconoscimento evocato. Grazie comunque per le generose parole. (s.g.)
Un vero viaggio, non un semplice racconto. Con le tue parole ben incastonate che escono dalla pagina e si materializzano – posso toccare i muri e le strutture, percepire i sospiri e le emozioni, sussultare per il pathos che riesumi e ci offri. Ma è questo allora il … 3D??? Grazie Big Channel!