A Santarcangelo, specie di Parigi padana, hanno dato l’ultimo saluto a uno dei maggiori poeti del ‘900. Pubblichiamo l’orazione civile con cui a metà febbraio il sindaco Alice Parma ha ricordato “l’interprete di un sapere profondo e gentile”, seguita dalla lettura poetiche a cura di Attilia Pagliarani e Annalisa Teodorani.
E rileggiamo il testo con cui, quattro anni fa, Giannella Channel illuminava il custode dell’irripetibile patrimonio culturale dei geni strambi del “Circal de’ giudéizi”: Tonino Guerra, Raffaello Baldini, Nino Pedretti, affiancati dai pittori Giulio Turci, Lucio Bernardi e Federico Moroni.
L’ottantasettenne poeta romagnolo Gianni Fucci (foto in apertura), amico di Tonino Guerra, aiuto regista di Elio Petri e cofondatore del gruppo di intellettuali santarcangiolesi, passato alla storia come il “Circal de’ giudéizi”, che in dialetto condito dal senso ironico significa “Il circolo degli strambi” per via delle interminabili discussioni al bar su arte e letteratura, ha pubblicato il suo ultimo libro, che poi e anche il primo in lingua italiana, dal titolo “Sigilli del tempo” (Raffaelli editore, Rimini, 90 pagine, 12 euro).
Si tratta di una raccolta di 58 poesie, che l’unico poeta ancora vivente del gruppo dei geni del bar dei Baldini ha messo insieme in un arco di tempo che va dagli anni Cinquanta alla metà degli anni Novanta, una produzione, come lui stesso ama ricordare, sopravvissuta grazie alla moglie Mafalda che nel corso di questi quarant’anni ha amorevolmente conservato tutte le poesie da lui trascurate perché, da accanito investigatore della memoria, era troppo intento a scrivere in dialetto.
Il nuovo libro, segnato da una lingua ben pausata e speziata di invenzioni che fa meritare a Fucci un posto importante e un peso specifico nella poesia del Dopoguerra, è diviso in tre sezioni: i testi della prima parte, “Inquietudini”, sono stati scritti negli anni Cinquanta; quelli della seconda parte, “Ancoraggi”, negli anni Ottanta; quelli della terza parte, “Rigurgiti”, negli anni ’95-96.
Tutta la raccolta è stata ampiamente rivisitata dall’autore nel 2012 e in quella circostanza furono anche modificati i titoli di alcune poesie e vennero inserite le note e tutte le dediche che in origine non c’erano.
Il suo esordio come poeta risale alla metà degli anni Settanta, per merito dell’amico, Flavio Nicolini, che l’ha aiutato a pubblicare la prima parte del poemetto “La giostra” su Il lettore di provincia. Fucci lo ricorda dedicandogli una poesia nella seconda sezione del libro, dal titolo: “Diatriba”. Sei anni dopo, nel 1981, esce la sua prima raccolta: “La morta e cazadòur”, edito da Maggioli. Dal 1989 in poi sforna: la sua seconda raccolta “Êlbar dla memória”, Maggioli; “La balêda de vént”, Pazzini; “E’ bastimént”, Campanotto; “Nadêl. Sonetti d’auguri (1986-2001)”, prefazione di Luca Cesari, Pazzini; “Témp e tempèsti”, Archinto; “Vént e bandìri”, Raffaelli; “Da un chêv a l’êlt”, Il Ponte Vecchio; Rumànz, Il Vicolo di Cesena. Nadêl II (2002-2013), Pazzini; “Fugh e fiàmbi (Magàra la còulpa l’è ênca la nòsta)”, Pazzini fino al recente “Sigilli del tempo”. Nelle sue incursioni nel campo dei romanzi, piace ricordare il mosaico di umanità ricostruito in “La notte delle bandierine rosse. Vita a Santarcangelo tra fascismo e antifascismo, 1919-1943” (ANPI).
Gianni Fucci, nome che evoca epiche dantesche (il Vanni Fucci di Inferno XXIV), è nato in Francia, a Montbéliard, figlio di migranti (babbo toscano e mamma romagnola di Borghi) e dall’età di 8 anni vive a Santarcangelo: fa del dialetto romagnolo scoperto, e non innato, la sua lingua madre, puntando proprio sulla romagnolità per comporre i suoi versi. E come se il luogo della sua nascita avesse segnato il suo destino, Santarcangelo di Romagna divenne poi una sorta di Parigi italiana. Perché se nella carismatica culla della cultura mondiale, quale era la capitale francese, convergevano le menti più eccelse dell’epoca, a Santarcangelo, alcova della poesia, i geni nascevano e crescevano.
E, come se fosse la normalità, tutti frequentavano il “Circal de’ giudéizi”, il gruppo di poeti, intellettuali, pittori e scrittori, nato in paese in casa di Pedretti e al Caffè Trieste, che qualche concittadino più ironico di altri, vedendoli costantemente impegnati in interminabili discussioni sull’arte e la letteratura, traduceva in “Il circolo degli strambi”. Impegnati e geniali: dai tre grandi poeti (Tonino Guerra, Lello Baldini e Nino Pedretti) e ancora da Flavio Nicolini, sceneggiatore da poco scomparso, aiuto regista di Elio Petri e di Michelangelo Antonioni) e Rina Macrelli, assistente di Liliana Cavani nei film Francesco d’Assisi e Galileo. E da altre belle menti come i pittori Giulio Turci, Lucio Bernardi, Federico Moroni.
Tra loro, fioriva l’universo immaginario del più giovane tra i poeti, Gianni Fucci, oggi custode, all’ombra del campanile di Santarcangelo, della lingua e della memoria di un periodo culturale indimenticabile, ricordato nel corso di una serata di festa dal sindaco Alice Parma (“Gianni Fucci è un’istituzione per la nostra città, sia dal punto di vista poetico quanto civico, per la sua partecipazione alla Resistenza”) e dai presentatori del libro (Tiziana Mattioli, Rosita Copioli, Ennio Grassi e Flavio Trezza): alle loro parole si sono aggiunte quelle di Fucci intervistato da Silvia Baldini e da Annalisa Teodorani in Qui vive un poeta, regia di Stefano Bisulli.
Intervista a Gianni Fucci (“Qui vive un poeta”, regia di Stefano Bisulli)
Ciao Gianni,
buon viaggio nell’universo dei poeti, dove hai sempre scelto di vivere: uomo di lettere e raffinato poeta; dove ti accompagneranno ancora una volta i tuoi grandi e inseparabili amici, i poeti di ieri e di oggi. Per vocazione, impegno culturale e civile, sei stato interprete di un sapere profondo e gentile, con un’attenzione particolare alla qualità e cura delle relazioni, con le persone che incontravi quotidianamente e i tuoi compagni di cammini poetici.
Con importanti e significativi riconoscimenti, hai attraversato diverse stagioni e ambiti culturali, dalla critica letteraria al cinema, mantenendo sempre al centro la straordinaria produzione poetica che ti ha consentito di essere annoverato, dagli intellettuali e dalla critica, fra i grandi poeti dialettali, e non solo, del ‘900. Ripensando alle parole di Tullio De Mauro, Gianni, sei stato l’espressione più fertile dell’unità letteraria fra le tante anime della poesia in dialetto e in italiano, locale e nazionale.
Come cittadino e poeta, hai scelto di vivere profondamente i sentimenti di Santarcangelo, la comunità che ti ha accolto e che tu hai vissuto da protagonista, fin dal tuo prezioso ruolo di custode delle stanze e dei libri della Biblioteca. Nel corso del tempo, sono molti gli episodi che ti legano profondamente alla vita culturale e politica del nostro paese; custode anche di una memoria storica che sei riuscito a rinnovare e trasmettere agli studenti, sui valori della Resistenza e della Costituzione, con il tuo sentire la responsabilità di essere ancora partigiano, oggi. Testimone del tuo tempo, il tuo sguardo attento sulla città e la tua passione per la vita ci hanno accompagnato per molti anni, e sono certa che ci accompagneranno per molti anni ancora; anche se mi mancheranno i tuoi auguri di Natale, le tue poesie, i tuoi libri, le tue dediche, la tua cortesia e la tua educazione.
In questi ultimi anni, ho avuto il piacere di incontrarti più volte, con grande e reciproco affetto che porterò sempre con me, compresa l’ironia che a volte tratteggiavi nelle lunghe conversazioni. Sì, mi mancheranno anche i tuoi ultimi spericolati parcheggi nel cuore del combarbio che a volte ci facevano sorridere e a volte preoccupare.
Personalmente, mi permetto di dire, il ricordo più bello è la consegna della fascia di Sindaco della Città della Poesia, per l’edizione del 2017 del Cantiere poetico per Santarcangelo. Un altro riconoscimento, insieme alla consegna dell’Arcangelo d’oro nel 2012, che testimonia l’affetto che Santarcangelo, il tuo Paese, ha sempre avuto per te, per il poeta.
Ciao Gianni, qui oggi con te ci sono i figli delle “bandierine rosse” e i tanti lettori, anche le nuove generazioni, che in questi anni hanno letto le tue poesie, e con te sono cresciuti. Ciao Mafalda, l’amorevole compagna di una vita, che solo per pochi mesi hai distolto lo sguardo da Gianni.
A nome della Giunta e del Consiglio comunale, e di tutta la Città, un grande abbraccio alle figlie e alle loro famiglie, a tutti gli amici che ti hanno voluto bene. Caro Gianni, prima di lasciare a te l’ultima parola, mi piace salutarti parafrasando il titolo del tuo ultimo libro: a Santarcangelo “il mio cuore ascolta: poesie”, sempre.
(Alice Parma)
A PROPOSITO
Sei poesie di Fucci
Scelte usando il criterio delle sezioni del libro (due per ogni sezione)
FILOSOFEMA (a Manuel Cohen)
Oltre i non luoghi del nulla
estrarre dall’immaginario
le coordinate splendenti
che nascondono il poeta.
Visione e pensiero
come moniti lievi
guizzi di buonsenso
da una trama metaforica
portante in sé i germi
della natura e dell’arte.
Bisogna saper ascoltare
restare lucidi
fino alla soglia dell’impossibile.
DEL CORAGGIO DEL CUORE
È vano cercare
un sito tranquillo:
nel mondo: non c’è!
Non c’è più posto
per la franca letizia
di Peter Pan.
Svanita in vaghe promesse
di stolti burocrati infami
la fantasia è una lacrima viva
di un pianto represso.
Sovente la mente
disvela deserti di puro dolore
ed è in quell’istante
che il cuore
ritrova il coraggio
del fulgido uccello
che canta giulivo
e caccia incantesimi oscuri.
DIATRIBA (a Flavio Nicolini)
“L’essere …”
“Che c’è?”
“Dico:
l’Essere
cos’è?”
“Migliaia d’anni
hanno consunto pietre
e prosciugato mari
da quando l’uomo vanamente,
ha sondato il cosmo
per saperlo!
E tu adesso
vorresti ch’io, meschino,
disvelassi
l’arcano inesplicabile?”.
DEL LIBRO
Non ha potere di reggere il mondo
ma promuovere il flusso
d’una maturata consapevolezza
che la parola scritta
o l’opera d’arte
aiutano a crescere
a capire le cose.
È il transito per un dove
enigmatico e in conosciuto.
MUORE L’ESTATE
Già muore l’estate
di estenuanti bagliori
d’oriente.
Sprofonda
in un mare indifferente
in vaghi lamenti
lontani.
E il vento
è già nell’ale dei gabbiani.
PLENILUNIO
I platani squillanti
rubano l’argento alla luna.
Quando il buio
colma gli spazi
del sogno
negli orti spenti
strisciano ramarri
di tristezza
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