Nell’autunno del 1990 fui chiamato da Amedeo Pagani, produttore estroso e pirotecnico, a partecipare a un film a episodi tratto da Il Polverone, un libro di racconti pubblicato da Tonino Guerra un decennio prima. Il gruppo era già formato: Giuseppe Tornatore avrebbe realizzato Il cane blu, Giuseppe Bertolucci La domenica specialmente (che avrebbe dato il titolo all’intero film) e Francesco Barilli Le chiese di legno. Restava fuori Il mattone, Pagani lo propose a me.

Raccontava la storia di una vedova che ospita nella vecchia baita sull’Appennino il figliolo e la sua giovane avvenente sposa, ambulanti di professione. Segregati in casa da un inverno particolarmente rigido, succede che i due giovani diano sfogo alla loro esuberante passione nel lettone matrimoniale – la mamma essendo relegata in soffitta. Una notte la donna, sfinita dai rumorosi languori della coppia, solleva un mattone del pavimento con l’intento di raffreddarli. Intercetta invece lo sguardo della nuora. Che anziché ricomporsi si sfrena ancor più, quasi a regalare sensazioni perdute ove non addirittura consumando un incesto per procura. Questa situazione, che sembrerebbe sfiorare la pornografia, era tenuta sotto controllo dallo stile di Tonino Guerra, un ipnotico flusso musicale di parole lontano dal realismo e sciolto piuttosto in reticenza e allusione. Chiave suggerita anche dal fatto che tutto il racconto era sigillato nelle confessioni parallele che le due donne, in tempi diversi, fanno tra le lacrime a un sacerdote afflitto e problematico, figura che mi ricordava il prete di Casa d’altri, lo stupendo racconto di Silvio D’Arzo col quale Tonino Guerra aveva molto in comune.

Tonino Guerra

Tonino Guerra con il suo inseparabile copricapo. Scrive il regista Giordana:

A Pennabilli parlammo dei tanti film che lui aveva scritto, della collaborazione con Antonioni, Fellini e Tarkovskij e gli altri grandi registi.

Per verificare di aver capito bene, decisi di andare a trovarlo a Pennabilli. Anziché l’autostrada mi misi sulla bella altalenante camionale di Viamaggio, pensando che tanti anni prima Michelangelo Antonioni aveva tagliato le stesse curve con la sua Lancia Flaminia Zagato – ironicamente evocata ne Il Sorpasso di Dino Risi – per scrivere la sceneggiatura di Blow Up. Blow Up è il film che ha segnato la mia vocazione. Entrato alle 15.00 al cinema Corso di Milano ne uscii a mezzanotte dopo aver visto, uno dopo l’altro, i quattro spettacoli. Avevo sedici anni e lì decisi per sempre il mio destino.

Tonino Guerra fu accogliente, generoso come d’abitudine. Mi portò a vedere qualche paese dei dintorni, scavallammo il fiume e salimmo sull’altro versante della valle del Marecchia. Raccontò che il Polverone è un vento che tira ogni cento anni e fa perdere la trebisonda alle persone (più in basso il racconto, Ndr). Si sorprese che conoscessi l’altro vento che annebbia e fa smaniare: il Garbino, altrettanto leggendario. Fu vagamente contrariato che gli chiedessi di cambiare il titolo. Il “mattone” sembrava promettere allo spettatore qualcosa di statico, pesante. Di una cosa noiosa non si dice è un mattone? Si convinse e tirò fuori dal cappello del prestigiatore, anzi dall’inseparabile berretta di donegal, un titolo che mi piacque all’istante: La neve sul fuoco, evocativo della tormenta finale che scoperchia il tetto e ammanta di bianco la stanza, spegne le passioni e i ricordi.

Parlammo poi di tutt’altro: dei tanti film che aveva scritto, della collaborazione con Antonioni, Fellini e Tarkovskij, insomma persi tempo (o forse lo guadagnai) e, scesa la notte, mi accorsi che, salvo cambiare titolo, non avevamo parlato neanche un po’ del film. Rimanemmo d’accordo che ci saremmo rivisti dopo aver scelto gli interpreti. Volevo infatti avvalermi di attori di quelle parti, autoctoni per i quali la lingua della Val Marecchia non fosse esperanto incomprensibile. Trovai facilmente il prete: Ivano Marescotti, romagnolo di Bagnacavallo, perfettamente in parte nel darsi cura di una comunità di ex-tossicodipendenti (la vicinanza con San Patrignano aveva suggerito questa connotazione) ma pieno di dubbi sulla propria fede. Feci molti provini per trovare la giovane sposa. Una mattina apparve Monica Bellucci in tutto il suo splendore. Era già celebrata sulle riviste di moda ma il cinema non l’aveva ancora “scoperta”. Durante il provino fu molto disinvolta e naturale, brillante anche nell’improvvisare, senza complessi davanti alla macchina da presa. Da qualche parte il provino – che allora si faceva in pellicola – ci dev’essere ancora. Ero molto tentato di assegnarle il ruolo ma la sua bellezza mi appariva troppo sfolgorante e “raffinata” per attribuirle i panni di un’ambulante che vende casalinghi nei mercatini di paese. Mi sembrava una forzatura e lo spiegai a Monica, che ci rimase male. L’avrei presa al volo per il film che avrei dovuto girare subito dopo, Il Cielo, scritto con Francesca Marciano, dove un ruolo sembrava scritto per lei. Purtroppo il film non si fece e persi l’occasione di far debuttare Monica. Per lavorare insieme avremmo dovuto aspettare, vent’anni dopo, il controverso Sanguepazzo, dove la Bellucci interpretò magnificamente il ruolo di Luisa Ferida (una delle più celebri attrici del cinema italiano degli anni ’30 e ’40. Il film di Marco Tullio Giordana ricostruisce la tragica storia della Ferida e Osvaldo Valenti, nei panni di Luca Zingaretti, attori passati dai fasti di Cinecittà e dalla fedeltà alla Repubblica di Salò al plotone d’esecuzione per mano dei partigiani, Ndr).

chiara-caselli

Chiara Caselli (Bologna, 1967). Da ragazza frequenta una scuola di recitazione nella sua città. A 19 anni la propria carriera da attrice che la porta in breve tempo ad affermarsi. Tra i registi con i quali ha lavorato: Michelangelo Antonioni (Al di là delle nuvole), Liliana Cavani (Il gioco di Ripley e Dove siete? Io sono qui), Gus Van Sant (Belli e dannati).

Scritturai Chiara Caselli, allora pressoché debuttante. Non che non fosse bella, anzi. Nei suoi occhi si leggeva l’inquietudine, la febbre di imporsi, il dubbio di sé, la forza e la disperazione di una ragazza sola contro il mondo, piena di rabbia e amore, orgogliosa e fragile. Insomma: tutto quello che serviva al personaggio selvatico e misterioso scritto da Tonino. Il direttore della fotografia sarebbe stato Franco Lecca, grande professionista e uomo di sensibilità sconfinata, amico al punto da aver condiviso con me una casa appena sbarcati a Roma. Scenografo Gianni Silvestri, che dir geniale è dire poco o niente. Metka Košak avrebbe fatto i suoi estrosi costumi e l’adorato Sergio Nuti (col quale avevo lavorato nei miei primi due film) sarebbe stato il montatore. Come aiuto regista mi affidavo per la prima volta a una ragazzetta pressoché debuttante: Barbara Melega, che mi avrebbe poi seguito in tutti o quasi i film successivi. Restava solo da trovare la protagonista.

maddalena-fellini

Maria Maddalena Fellini (Rimini, 1929 – 2004) è stata un’attrice che ha lavorato con successo nel cinema, in teatro e in televisione. Sorella minore del regista Federico e dell’attore Riccardo, sposata con Giorgio Fabbri; i fratelli l’avevano soprannominata Bàgolo. È stata anche autrice del libro Storie di una casalinga straripata (prefazione di Tonino Guerra, introd. di Sergio Zavoli, Guaraldi 1992) e A tavola con Federico Fellini. Le grandi ricette della cucina romagnola, Idealibri, 2003.

Maria Maddalena Fellini mai avrebbe pensato di fare il cinema. Bastavano ampiamente i due fratelli: Federico e Riccardo. Sposata a un bravo pediatra, Giorgio Fabbri, occhi azzurri e zigomi alti da generale dell’Armata Rossa, sembrava un tartaro crudele ed era invece uomo dolcissimo e delizioso. Fu la Melega a scoprire che Maddalena, pur essendosi tenuta alla larga dal cinema e confinata nella Rimini adorata, non aveva voluto rinunciare alla passione del teatro e ogni tanto si esibiva in una compagnia dialettale. Andammo a vederla e ci sembrò straordinaria: grande autorità e presenza in scena, tempi comici perfetti, empatia naturale col pubblico che guardava solo lei. Ci ritrovammo poi a casa sua per parlare del film.

Credo di non aver mai raccontato così male. In genere mi adatto istintivamente al mio interlocutore, lo prevengo, cerco di irretirlo, di tenerne desta l’attenzione. Quella sera scelsi una parola sbagliata dietro l’altra. La storia sembrava quella di una vecchia morbosa che si diverte a spiare l’intimità del figlio, una sentina di sentimenti torbidi e inconfessabile voyeurismo. Maddalena e sua figlia Francesca mi ascoltavano inorridite. Quando terminai il racconto scese un silenzio imbarazzato. Guardai Barbara; mi fece segno che forse era il caso di andare. Arrivò invece Giorgio, di ritorno da una visita. Maddalena spiegò:

Questo ragazzone qui vorrebbe che facessi un film con una storia di Tonino Guerra che non sembra neanche scritta da lui! Sentila un po’…

e si mise a raccontarla. Nelle sue parole il mattone, anzi La neve sul fuoco, riprese le giuste poetiche proporzioni, risalì dal fondo dove le avevo precipitate, la tenerezza e la nostalgia per gli ardori della giovinezza, non come rimprovero o rimpianto ma come energia e desiderio di raggiungere, attraverso l’amore, l’immortalità. Tanto che alla fine Giorgio sentenziò: “Mi sembra bella… perché non la fai?” E fu così che, illuminata dalle sue stesse parole, Maddalena accettò il ruolo senza troppo preoccuparsi, almeno all’inizio, di cosa avrebbe potuto pensare Federico il Grande.

Tonino Guerra fu entusiasta della scelta e non stetti troppo a sottilizzare sul fatto che non ero tanto io ad avere scelto Maddalena ma lei ad aver scelto me. Ci vedemmo tutti assieme per festeggiare e, subito dopo, iniziarono i preparativi. Dato che serviva la neve alta, ci mettemmo in attesa fiduciosa. Durante i sopralluoghi fatti a dicembre avevamo scelto un borgo diroccato della Val Marecchia, quasi completamente sepolto dalla neve. Quando a fine febbraio fummo pronti per girare però la neve, complice un inverno incredibilmente mite, si era tutta sciolta e si dovette trovare al volo un’altra soluzione. Gianni Silvestri scoprì che a Usseglio, nella valle piemontese di Lanzo, c’era stata una nevicata tale da mettere addirittura fuori uso gli impianti di sci e aver lasciato in efficienza solo l’albergo che ci avrebbe ospitato. Una location molto suggestiva, anche se a centinaia di chilometri dalla Romagna che bisognava ricreare. Trovato un gruppo di case abbandonate Gianni ricavò da quelle l’abitazione della giovane coppia (gli interni li avremmo fatti in teatro a Roma), una piccola chiesa e i rifugi della comunità di recupero. Rimanemmo lì una decina di giorni e girammo tutti gli esterni, compresa una tempesta di neve che rischiò di isolarci. Durante il nostro accampamento Maddalena s’impadronì della cucina per rimettersi addosso, finito l’orario di lavoro, i panni dell’azdora romagnola con grande gioia di tutta la troupe.

1991, 'La domenica specialmente': Maddalena Fellini e Ivano Marescotti

1991, La domenica specialmente, polaroid di lavorazione: Maddalena Fellini e Ivano Marescotti.

Ognuno aveva trattato in modo completamente indipendente il proprio episodio e una specie di “cornice”, realizzata da Giuseppe Bertolucci con interprete il bravissimo Jean-Hugues Anglade, non venne poi montata nella versione definitiva ma utilizzata solo in parte come prologo. A dare unità al film provvide Ennio Morricone, l’eccelso musicista che sappiamo, che pur avendo scritto per ogni episodio partiture assai diverse, amalgamava tutte le opere nel suo stile, sempre così riconoscibile e personale.

Ennio Morricone - 'La neve sul fuoco'

Ennio Morricone, La neve sul fuoco.

La musica che scrisse per me (sullo spartito è ancora autografato il vecchio titolo Il mattone!) la considero fra le più belle mai scritte per un mio film. Al termine di questa impresa – consueta negli anni ’60, la stagione aurea dei film a episodi, ormai totalmente vintage in quell’inizio degli anni ’90 – ci trovammo ad aver condiviso un’avventura in cui, pur muovendosi ognuno secondo il proprio temperamento, avevamo trovato un comune sentire. Merito di chi aveva scritto in origine il film, Tonino Guerra, sia in chi l’aveva poi musicato, Ennio Morricone, due fra i più grandi artisti che il cinema italiano possa sfoggiare. Restano quei ricordi fra i più belli della mia carriera. (Marco Tullio Giordana, Roma, 7 aprile 2020)

bussola-punto-fine-articolo

Marco Tullio GiordanaSe il cinema italiano degli ultimi decenni è riuscito a tenere alto il proprio nome, è anche merito di Marco Tullio Giordana (Milano, 1950). Film impegnati, a metà tra fiction e documentario, strettamente legati alla realtà storica dei fatti, sono il segno della sua filmografia. Ha fatto cinema indagando nei casi controversi della storia italiana, dalle vicende dell’anarchico siciliano Peppino Impastato al delitto Pasolini, fino alla grande saga familiare La meglio gioventù che parte dagli anni Settanta per raccontare le vite dei protagonisti di quel periodo e, nel 2012, al drammatico Romanzo di strage, storia e retroscena della strage di Piazza Fontana. Ha vinto 4 David di Donatello di cui uno per la migliore sceneggiatura, uno per la miglior regia, uno per il miglior film e un David Scuola. Qui un profilo biografico e la filmografia principale.

A PROPOSITO/ DAL LIBRO DI TONINO CHE HA ISPIRATO IL FILM

Il Polverone

locandina-la-domenica-specialmente

Nella Valle dei Crateri una o due volte ogni cent’anni c’è un vento che si chiama il Polverone che sale dal fondo della terra lungo gli imbuti asciutti dei crateri e per tre giorni, come le lingue dei gatti che raspano, lecca le case e le facce degli abitanti di quella zona. E allora succede che tutti perdono la memoria e i figli non riconoscono i padri, le mogli i mariti, le ragazze i fidanzati, i bambini i genitori e tutto diventa un caos di sentimenti nuovi.

Poi cessa il vento risucchiato dentro i crateri e lentamente ogni cosa torna come prima e nessuno ricorda quello che è successo nei tre giorni del Polverone.

Da “Tonino Guerra 100: stop agli eventi ma non ai ricordi”:

  1. Edoardo Turci e l’infanzia del poeta. Uno storico locale di Sant’Angelo di Gatteo (da dove proveniva la madre di Tonino) rievoca i primi anni della grande firma del cinema in coincidenza con il centenario della sua nascita. È il primo dei contributi che leggerete su Giannella Channel. A seguire: un testo ritrovato di Sepulveda, al quale auguriamo una completa guarigione
  2. La scintilla poetica scoccata nel lager. La prigionia in Germania vede Tonino farsi Omero per i suoi compagni di sventura che con lui condividono il dialetto romagnolo. Per fortuna un medico ravennate, Gioacchino Strocchi, scriverà un diario dettagliato di quei giorni insieme, annotando i testi poetici che Antonio crea e recita ai compagni. Al ritorno in Romagna quei testi diventano un libro e la poesia resta in lui un nutrimento per l’anima
  3. Il giorno che disse grazie, dopo 66 anni, a un angelo di Verona. Nella Giornata della poesia, dieci anni fa, fui testimone di una storia degna di un film di Tonino e Fellini. Dalle fila di un teatro veronese si concretizzò a sorpresa la figura di una pasticcera che, a suo rischio, aveva portato dolciumi e sapone a Tonino prigioniero dei nazifascisti in quella città veneta, in attesa di essere trasferito via treno nel lager
  4. Il giorno in cui mi presentò Eliseo, il Socrate della Valmarecchia. Un noto fotoreporter accompagna il cantore della valle all’incontro con il saggio curatore di un orto. E le ore si riempirono di poesia e di ironia in questa quarta puntata del viaggio per il centenario di Tonino Guerra (testo e foto di Vittorio Giannella per Giannella Channel)
  5. Il giorno in cui accese il fuoco del teatro alle porte di Milano. Il fondatore e direttore di Emisfero Destro Teatro risponde al nostro appello rievocando il festival e l’incontro a Cassina de’ Pecchi che illuminò il futuro artistico suo e di tanti altri giovani di quel borgo lombardo
  6. Il giorno in cui donò, a me regista, la neve sul fuoco. Marco Tullio Giordana doveva girare, nel film “La domenica specialmente”, l’episodio più poetico, tra fascino della sensualità e tristezza della solitudine. Ma quel titolo era appesantito da un mattone. Un viaggio a Pennabilli e da Tonino nasce un’idea e un incontro con due donne straordinarie: Maddalena Fellini, sorella di Federico il Grande, e per il provino, Monica Bellucci
  7. Il giorno in cui mi ricordò che un paese ci vuole. Valentina Galli si stava laureando a Bologna e la tentazione di restare in città era forte. Ma l’incontro con Tonino le fece cambiare idea e ora insegna nella sua Valmarecchia
  8. Il giorno in cui il poeta si mise a dare i numeri. Il direttore del Museo del calcolo Renzo Baldoni rievoca l’inaugurazione delle stanze dedicate al far di conto. Con un rammarico: non aver potuto dirgli che le zone del cervello stimolate da un poeta o da un matematico, sono le stesse
  9. Il giorno in cui insegnò a noi tedeschi come rendere poetico il paesaggio. Roland Guenter, storico dell’arte da Eisenheim, racconta i festeggiamenti virtuali per il centenario nel parco creato sul Reno nel nome di Tonino e rievoca le lezioni di architettura poetica ricevute da lui e da altri studenti a Pennabilli, decisive per dare alla Ruhr un volto seducente per i turisti culturali
  10. Il giorno in cui mi parlò di Serafim, il santo che dava miele agli orsi. A Gianfranco Angelucci, scrittore e sceneggiatore amico di Fellini, il centenario del poeta del cinema che stiamo festeggiando sul blog, ispira un emozionante video e una lettera aperta a Tonino, con una inedita rivelazione spirituale
  11. Il giorno in cui mi regalò la sua gigantesca anima. Enrica, moglie di Michelangelo Antonioni, rievoca il primo e l’ultimo giorno in cui, tra rumori sapori e ricordi, incontrò il poeta del cinema
  12. Il giorno in cui giocò con la mia Gatta Danzante. Il pittore bolognese dei giardini Antonio Saliola, con rifugio creativo nella Valmarecchia, rievoca la favola di un pomeriggio in cui, sotto i suoi occhi stupiti, il suo felino fece le fusa al poeta del cinema, volteggiando come non mai. A seguire, un singolare documento: i pizzini di Tonino a Lora, sua signora, sulla legione di gatti in casa
  13. Il giorno in cui capii come nacque l’urlo in Amarcord “Voglio una donna!”. Uno storico romagnolo, Davide Bagnaresi, rievoca un incontro con Tonino Guerra in piazza a Bologna sui retroscena del film da Oscar e svela il ritaglio di cronaca che diede vita alla scena con Ciccio Ingrassia. A seguire, i consigli di Tonino per i bravi sceneggiatori
  14. Il giorno in cui assistetti all’incontro tra due grandi italiani: Tonino Guerra ed Enzo Biagi. Rita Giannini, biografa del poeta del cinema, rievoca l’inedito faccia a faccia nello studio in Galleria, a Milano, del popolare giornalista: due emiliani romagnoli, nati entrambi nel 1920, emozionati e liberi di raccontarsi a ruota libera
  15. Il giorno in cui fece cadere la pioggia sulla riviera bollente. Un grande giornalista romagnolo, Giancarlo Mazzuca, rievoca l’incontro a Cervia con il poeta solare fino al midollo che sapeva anche essere l’uomo della pioggia. A seguire: il regalo iridato di Tonino al fotoreporter Daniele Pellegrini
  16. Il giorno in cui conquistò il cuore di medici e infermieri. Il noto pediatra Italo Farnetani rievoca le parole con cui Tonino Guerra commosse 1.200 congressisti a Rimini, richiamando da poeta del cinema l’insegnamento di Ippocrate
  17. Il giorno in cui Sergio Zavoli lo salutò con parole eterne. Del grande giornalista appena scomparso ricordiamo lo speciale addio che diede a Tonino una primavera del 2012 a Santarcangelo

Altre letture correlate: