IL FILM "OPPENHEIMER" RIPORTA ALLA LUCE LA FIGURA DI EINSTEIN E LA CACCIA ALLE STREGHE CHE SI SCATENO' NEGLI USA: PER L'FBI PERSINO QUEL GENIO ERA UN PERICOLOSO SOVVERSIVO

Il Federal Bureau of Investigation rovistò nella vita dello scienziato fuggito dalla Germania di Hitler. Cercava le prove che fosse un nemico degli Stati Uniti e lavorasse per i sovietici. L'obiettivo era espellerlo. Nessuna delle “tracce” si rivelò fondata

LA MANUTENZIONE DELLA MEMORIA / DA l'EUROPEO n.1/2007

testo di Richard Alan Schwarz raccolto da Salvatore Giannella*

“Nonno, ma è vero che Einstein era spiato dalla polizia americana?”. Una delle domande dei miei nipoti alla fine del film Oppenheimer, insieme a molte scene del film dedicato da Cristopher Nolan al padre della bomba atomica protagonista della pellicola, mi ha fatto affiorare il ricordo di un incontro avuto negli Stati Uniti nel lontano 1983, quando ero inviato de L’Europeo. A quel tempo Richard Alan Schwarz, docente di inglese all’Università di Miami in Florida, era riucito a ottenere il voluminoso dossier Einstein dal Dipartimento di Stato grazie al Freedom Information Act, la nota legge istituita nel 1966 in base alla quale le autorità americane sono obbligate a consegnare, a chi ne faccia motivata richiesta, le copie dei documenti riservati. Quel dossier era composto da 1.500 pagine che l’Fbi raccolse a partire dal febbraio 1950 e che fu chiuso solo nel 1955: chiuso per un motivo burocraticamente valido, perché “l’oggetto dell’indagine”, cioé Einstein, è morto tre mesi prima. Dall’incontro con Schwarz erano scaturite due puntate pubblicate su L’Europeo del 5 e 12 novembre 1983, che furono poi ripescate e riassunte sul numero speciale de L’Europeo n. 1/2007 dedicato alle “Spie: in mano loro oggi più di ieri”. Ripropongo qui di seguito quell’ultima versione “ristretta”. (s.g.)

Agente dei servizi segreti sovietici. Cospiratore, con Charlie  Chaplin, per comunistizzare Hollywood, la capitale del cinema. Inventore di un fantascientifico raggio della morte. Manovratore di robot capaci di leggere il pensiero. Persino complice di Bruno Hauptmann, l’uomo condannato a morte per aver rapito e ucciso il figlio del trasvolatore atlantico Charles Lindbergh.

Chi è questo “grande vecchio” che per anni ha impegnato gli 007 dell’Fbi, la potente polizia federale statunitense? Albert Einstein. Sì, proprio lui, il padre della teoria della relatività, il premio Nobel per la fisica nel 1923, il pacifico scienziato adottato da milioni di persone come un simpatico santo laico. Il ritratto di Einstein “sovversivo” emerge da un dossier di 1500 pagine che l’FBI raccolse dal febbraio 1950 al luglio del 1955. Fu chiuso per un motivo burocraticamente valido: Einstein era morto tre mesi prima. A ricostruire il documento per L’Europeo è stato Richard Alan Schwarz, docente di inglese all’Università di Miami, Florida, Schwarz ha avuto il dossier Einstein dal Dipartimento di Stato grazie al Freedom Information Act, la legge del 1966 che obbliga le autorità americane a consegnare, a chi ne faccia motivata richiesta, le copie dei documenti riservati.

Albert Einstein visto da Max Casalini/Arcoquattro (L’Europeo n.45/1983).

L’ossessione di Hoover.  Princeton (New Jersey), 15 febbraio 1950: un cappotto liso, sciarpa attorno al collo, in testa un berretto nero di lana lavorato a mano che copre i folti capelli bianchi, un uomo avanza lungo Mercer    Street. Ha appena lasciato il palazzo dell’Institute of Advanced Study e si dirige verso casa al numero 112 dove risiede da 15 anni. E’ Albert Einstein, tra un mese – il 14 marzo –  compirà 71 anni: gliene resteranno da vivere altri cinque. Lo stesso giorno, a 300 chilometri di distanza, a Washington, un uomo tarchiato sta leggendo, seduto sulla sua scrivania in un grande palazzo grigiastro, un documento “confidential”, composto da tre pagine dattiloscritte. Ogni tanto, sui margini bianchi, scrive annotazioni brevi, nervose. L’uomo è J. Edgar Hoover, il potente capo del Federal Bureau of Investigation (Fbi). E’ alle prese con il memorandum con il quale l’agente D.M. Ladd ha risposto a una sua richiesta: “Fatemi sapere tutto di questo professor Einstein”.

John Edgar Hoover (Washington 1895 – 1972) ha diretto per 48 anni l'Fbi, uno dei più famosi servizi investigativi del mondo, sotto otto presidenti degli Stati Uniti, da Calvin Coolidge a Richard Nixon. Dopo la sua morte, Nixon limitò il mandato dei direttori dell'Fbi a 10 anni.

Ladd gli fa il punto su quello che la polizia già sa sullo scienziato. Dati anagrafici, curriculum e, infine, il paragrafo sulle idee politiche. “E’ essenzialmente un pacifista e un pensatore liberal, come si ricava dei suoi legami con un totale di almeno 83 diverse organizzazioni. Non tutte esenti da sospetti: 33 di esse sono tenute d’occhio dal ministero della Giustizia,  dalla Huacc,  la Commissione parlamentare sulle attività antiamericane, e da un analogo organismo californiano”.

Il memorandum non si ferma qui: “Il dottor Einstein ha espresso pubblici apprezzamenti per le conquiste scientifiche della Russia, si è sempre opposto a qualunque forma di militarismo e di attività militare, ha detto all’ambasciatore polacco a Washington di non ritenere più gli Stati Uniti un paese libero e ha offerto il suo appoggio a un comitato costituito per difendere i diritti di 12 leader comunisti.  Inoltre, il 12 febbraio, in una trasmissione della NBC ha auspicato la messa al bando della violenza tra le nazioni per impedire la distruzione totale dell’umanità”. Seguono numerose altre annotazioni che spingono Hoover a sollecitare un approfondimento su Einstein. In particolare: che rapporti sono intercorsi tra lui e il fisico inglese di origine tedesca Emile Klaus Fuchs, appena condannato in Inghilterra a 14 anni per aver fornito segreti nucleari ai sovietici? È    vero che un figlio di Einstein vive in Unione Sovietica?    Einstein non lo sa, ma da quel 15 febbraio 1950, gli 007 dell’Fbi non lo molleranno più e frugheranno in ogni angolo del suo passato concentrandosi sul periodo trascorso a Berlino a cavallo tra gli anni Venti e i Trenta, e su ogni passo in territorio americano da quando, il 17 ottobre 1933, vi giunse in compagnia della moglie Elsa  del suo assistente Walther    Mayer e della sua fedele segretaria-governante Helen Dukas.

La bomba atomica e la guerra fredda. Il 1950 e gli anni seguenti costituiscono un momento cruciale per gli Stati Uniti. I sovietici hanno fatto esplodere la loro prima bomba atomica; gli americani sono certi che Mosca è riuscita nell’impresa solo grazie ad azioni di spionaggio ben allestite in America- Dopo il caso Fuchs, scoppia quello dei coniugi Ethel e Julius Rosemberg, a loro volta accusati di spionaggio per l’Urss ma proclamatisi sempre innocenti fino al momento di salire sulla sedia elettrica, nel giugno 1953. I sovietici si configurano come un nemico ancora più subdolo e rampante del Terzo Reich. I “rossi” si sono infiltrati ovunque in territorio americano. Questa fobia del comunismo, che va sotto il nome di maccartismo, ha un sinistro seguito: la caccia a chiunque è sospettato di convinzioni di sinistra, anche se moderate.
E’ in questo clima che germoglia l’ipotesi di un Einstein “sovversivo” e “traditore” del paese che gli ha dato prima ospitalità – quando lui, ebreo. era fuggito dalla Germania nazista – e poi perfino una nuova cittadinanza nel 1940.  Scrive Hoover sul memorandum del 15 febbraio 1950: “Ho visto da qualche parte che fu Einstein a raccomandare Fuchs per l’incarico in Inghilterra. Che cosa possiamo saperne?”. In quei giorni il nome di Fuchs è  sulle prime pagine: sono passati appena 12 giorni da quando Scotland Yard ha notificato a Fuchs un mandato di cattura destinato a dar vita a un velocissimo processo e a una dura condanna per spionaggio a favore dell’Urss. Einstein ha contribuito a mettere un personaggio così pericoloso nella condizione di nuocere all’intero mondo occidentale? La realtà, che negli stessi documenti dell’FBI viene più avanti ricostruita, è molto diversa. Come il padre di Fuchs aveva dichiarato in un’intervista al Washington Times Herald, Einstein nel 1941 non sapeva della fede comunista di Fuchs. Aveva raccomandato la liberazione del fisico da un campo di internamento canadese in cui era stato rinchiuso perché di origine tedesca, in seguito alla guerra. E lo aveva fatto perché, dopo aver letto alcuni lavori di Fuchs sull’energia nucleare,  aveva ritenuto che avrebbe potuto essere prezioso per gli alleati. Un primo sospetto si risolve in una bolla di sapone. Ma è solo l’inizio. Episodi che si riferiscono a legami con comunisti e compromissioni filosovietiche dello scienzato: è questo che sta più a cuore a Hoover e soci.

“E’ padre di un figlio illegittimo!”. La prima vicenda: una lettera di Emma Rabbeis. una signora tedesca non meglio identificata, arriva dalla Germania sulla scrivania di un funzionario del Dipartimento di Stato americano. La mittente afferma di essere in grado di fare importanti rivelazioni sull’attività politica di Einstein a Berlino, non esclusi alcuni “particolari su una donna” con cui lo scienziato avrebbe collaborato a livello internazionale. Una volta raggiunta, la donna racconta fumosi pettegolezzi sui legami tra Einstein e la baronessa Von Schneiderglend, appartenente secondo la Rabbles a una famiglia di noti comunisti. Lo scienziato e la nobildonna avrebbero avuto una relazione da cui sarebbe nato un figlio illegittimo. Gli agenti insistono per saperne di più. Alla fine, messa alle corde, l’interrogante rivela che anni addietro aveva scritto a Einstein sottoponendogli una formula matematica infallibile per vincere alla lotteria di Berlino: si era offesa perché Einstein non le aveva mai risposto. Altra accusa-ipotesi: tra il 1929 e il 1931 l’ufficio di Einstein a Berlino sarebbe stato una specie di sportello postale per il transito e la consegna di messaggi in codice spediti da spie sovietiche attive in Estremo Oriente. Lo scienziato avrebbe costituito l’anello fondamentale di un’importante operazione spionistica della Russia stalinista.
Le prime pezze d’appoggio vengono da un informatore che i servizi di spionaggio dell’esercito definiscono “di solito attendibile e molto probabilmente sincero”.  La sua identità resta sconosciuta finora, si sa soltanto che si tratta della fonte G2.

Il racconto è riassunto in un documento del 25 gennaio 1951.  Secondo la “gola profonda”, le spie sovietiche mandavano i loro telegrammi in codice all’ufficio di Einstein a Berlino, al 5 di Haberlandstrasse, dove queste comunicazioni potevano giungere senza destare sospetti per l’enorme quantitativo di corrispondenza internazionale in arrivo e in partenza da quella sede. G2 afferma anche che la responsabile della segreteria dello scienziato era un’agente comunista, incaricata di intercettare i telegrammi e passarli ai corrieri sovietici in continua spola tra Berlino e Mosca. L’informatore avrebbe sulle prime escluso che lo scienziato fosse a conoscenza dei traffici, ma si sarebbe in seguito ricordato che Einstein doveva pur essere al corrente della faccenda perché il meccanismo aveva continuato a funzionare anche mentre la responsabile della segreteria era in ferie. Poiché Einstein non sembrava essersi preoccupato del traffico, precisa G2, e il traffico continuò a svolgersi indisturbato, le conclusioni che se ne dovevano trarre erano fin troppo ovvie. In più, le segretarie e le dattilografe dello scienziate gli erano state raccomandate dal Klub der Geistesarbeiter (KdG), il club degli scienziati,  che era “un noto covo comunista”.

L’Fbi compila un rapporto per il servizio di immigrazione e naturalizzazione in cui si giunge ad affermare: “L’ufficio di Einstein in Germania fu utilizzato come indirizzo telegrafico dell’apparato sovietico al principio degli anni Trenta”. L’ipotesi è diventata certezza. Già dal 14 settembre 1950 sul capo di Einstein pende una spada di Damocle sospesa da W. F. Kelly, vice capo del servizio immigrazione: la revoca della cittadinanza americana. Edgar Hoover ama i lavori fatti bene. Per questo quando si accorge che a distanza di due anni dall’inizio delle indagini sul conto di Einstein non è stato ancora redatto un vero rapporto investigativo, scrive al responsabile dell’ufficio Fbi di Newark (New Jersey), sede competente per la zona di Princeton. E’ il 10 gennaio 1952. Hoover cita brani della lettera inviatagli dall’ufficio immigrazione (“Le informazioni finora disponibili indicano che il professor Einstein, nonostante la sua reputazione mondiale come scienziato, potrebbe essere sottoposto a indagini per la possibile revoca della naturalizzazione”), pretende che sia redatto un “investigative report”.

Un dossier di 1.500 pagine. Ne scaturisce un correlation summary, una sorta di grande affresco di tutti i possibili sospetti e degli scarsi elementi ritenuti probatori. Definita come “una raccolta generale di informazioni” ottenute dal riesame di tutte le voci contenute negli archivi dell’Fbi,  il “summary” – dopo un intero anno di lavoro – si trasforma in un documento di 1160 pagine (poi 1500) destinato a circolare tra gli enti governativi interessati al caso Einstein. E’ un documento che introduce nel filone centrale dell’inchiesta elementi che hanno dell’incredibile anche agli occhi degli investigatori che li vanno raccogliendo.

Avevamo lasciato Hoover intento a scrivere all’Fbi di Newark. I  responsabili dell’ufficio si fanno vivi un mese e mezzo dopo, il 28 febbraio 1952, con 16 righe che – forzando i risultati delle indagini sugli ultimi anni trascorsi da Einstein a Berlino – intendono porre un punto fermo nell’inchiesta. “L’ufficio di Einstein in Germania venne utilizzato come indirizzo telegrafico dell’apparato sovietico al principio degli anni Trenta e a quel tempo, come si è appreso, egli era un simpatizzante dell’Unione Sovietica. Il suo nome è poi comparso come sponsor di numerosi gruppi di copertura del partito comunista negli Stati Uniti. A Einstein si attribuisce anche una frase detta nel 1944 o 1945 secondo la quale egli sarebbe stato preoccupato per suo figlio, Hans Albert,  che si trovava a quel tempo nell’Unione Sovietica”.

A contrastare queste informazioni servono risposte documentate: bisognerà attendere la primavera del 1955. A fornirle sarà Helen Dukas, segretaria dello scienziato  beneficiato del 13 aprile 1928, diventata poi una persona di famiglia. Agli agenti, la Dukas  precisa che lo scienziato a Berlino non ha mai avuto in ufficio e ha sempre lavorato a casa. Inoltre non ha mai avuto né segretarie né dattilografe. Lei  stessa era stata la sua unica impiegata dal 1928. La Dukas è, a quanto pare, tanto insospettabile e convincente che gli agenti incaricati dell’interrogatorio propongono, e di fatto provocano, la chiusura di questa specifica indagine. Eppure, quella della collaborazione con il servizio segreto sovietico, fu un’ombra dura a scomparire. Non finì lì. Di sicuro si sa che, tra il 1927 e il 1930, lo scienziato depositò con il fisico inglese Leo Szilard una serie di brevetti per una pompa silenziosa per sostituire quelle molto rumorose dei frigoriferi.

Per molti anni non si ebbe grande applicazione di questi brevetti perché intanto i frigoriferi continuavano a migliorare anche senza l’apporto di Einstein. Solo molto tempo dopo,Szilard fu in grado  grado di riciclare parte di quegli studi nella realizzazione di un sistema di pompaggio per impianti atomici. E ciò insospettì gli americani così come un’altra “diavoleria” di cui Einstein fu coinventore nel 1934 con l’ingegnere elettrotecnico Rudolf Goldschmidt. L’obiettivo – dichiarato sin dal 1928 nella corrispondenza intercorsa tra Einstein e Godschmidt – era costruire un apparecchio contro la sordità. A fronte di queste, che erano precise realtà di Einstein piccolo inventore, c’era chi costruiva l’immagine di un scienziato criminale. Gli si attribuiva anche l’invenzione di maligni robot telepatici. Anzi costruttore e controllore di automi capaci non solo di leggere il pensiero altrui ma di asservire corpo, cervello e anima. Su che cosa si fondava quest’altra fantasia? Einstein aveva scritto l’introduzione all’edizione tedesca di un libro di Upton Siclair (Mental radio) sui fenomeni telepatici.  L’Fbi aveva identificato una donna che sosteneva di avere un amico vittima di un robot telepatico. L’introduzione del libro di Sinclair fu riassunto per il “summary” del caso Einstein e al testo fu allegato un’intervista alla donna. Peccato che sia lei sia il suo amico avevano trascorso un paio d’anni in un ospedale psichiatrico. Il 28 settembre 1951 il super documento dell’Fbi prese in considerazione un’accusa formulata da un anonimo secondo la quale lo scienziato avrebbe avuto un ruolo nel 1932 persino nel rapimento del piccolo Lindbergh, il figlio di Charles, il trasvolatore atlantico.

“Con Chaplin all’assalto di Hollywood”. Anche in questo caso i termini del sospetto non sono chiari, ma sembra che Einstein avrebbe avuto contatti con Bruno Hauptmann, il falegname di origine tedesca arrestato e giustiziato come responsabile del rapimento. Ben diversa importanza assume invece nel dossier il materiale raccolto nel tentativo di dare corpo a un’altra accusa, in base a una lettera di due cartelle datata 21 aprile 1953 ma relativa a fatti accaduti al principio degli anni Trenta.  La lettera indirizzata a Hoover da un mittente il cui nome è stato censurato e che si definisce ex dirigente di un noto studio cinematografico di Hollywood tra il 1919 e i primi anni Trenta.  L’autore sostiene che Einstein “gli fu presentato come il cervello che stava preparando la Hollywood negli anni Trenta  per il grande assalto comunista”; gliel’aveva detto un fotografo incontrato all’Hotel Ambassador.

Sia la lettera sia le indagini non fanno altro che elaborare variazioni sul tema: Einstein, già collaboratore dei servizi sovietici a Berlino, appena giunto negli Stati Uniti si tuffa nella conquista della capitale del cinema. Il complotto comunista è addirittura  bifronte: da una parte Einstein e dall’altra Charlie Chaplin.  L’accusa non resse ad alcuna verifica. Il fotografo aveva avuto uno studio all’Hotel Ambassador ma in tempi non compatibili con quelli dell’accusa a Einstein; i registri dell’albergo non recavano traccia del passaggio di Einstein e di Chaplin e l’informatore T 1, collegato con l’Hotel Ambassador, aveva confermato che lo scienziato e il regista non erano mai stati da quelle parti. Anche  questo tentativo di “incastrare” Einstein come tutti gli altri fallì.  Per l’intera vicenda vale come epitaffio l’ultima frase scritta dallo stesso Einstein in una lettera al filosofo Bertrand Russell,  datata 11 aprile 1955, sette giorni prima della sua morte a Princeton e tre mesi prima che l’Fbi si decidesse a chiudere la pratica: “Le passioni politiche, ovunque suscitate, esigono le loro vittime”. A Einstein, tutto sommato, andò anche bene. ()

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo”, “Terra ultima chiamata”, “Acqua ultima chiamata”, “Le vie delle donne” (con Gaetano Gramaglia) e il recente “Michele Ferrero. Condividere valori per creare valore”, Salani), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” .

Senza la bellezza e la poesia, il turismo declina e muore. Una lezione dal passato: Milano Marittima

  In Estremo Oriente mi arrivano notizie di una Pasqua di passione per un settore dell'economia che mi sta particolarmente a cuore: quello del turismo (a età inoltrata mi ero iscritto al master di perfezionamento di economia del turismo, condotto magistralmente...

Cesenatico: e traghettar è dolce
in questo porto canale

Arrivo a Cesenatico e mi capita di accompagnare una famiglia di turisti australiani a visitare eccellenze storiche e culturali sui due lati del porto canale leonardesco. Utili si rivelano, per noi come per centinaia di migliaia di turisti della Riviera romagnola, i...

L’altra faccia di Garibaldi, eroe del mondo agricolo che sognava un Risorgimento per l’Italia negli Stati Uniti d’Europa

Domenica 4 agosto Cesenatico si è svegliata al suono della banda per l'annuale Festa di Garibaldi. La storia breve e leggendaria dell'eroe dei Mille, in fuga da Roma verso Venezia, rappresenta dall'agosto 1849 un riferimento importante nella storia del borgo romagnolo...

Per un pugno di pepite: oggi un campionato del mondo di cercatori d’oro, ieri un emigrante italiano da Modena protagonista della corsa all’oro in Alaska

Per una settimana, dal 19 al 25 ottobre, i cercatori d'oro di 23 Paesi del mondo sono sbarcati a Mongrando (Biella), sulle sponde dell'Elvo, per la ricerca del metallo prezioso dal greto del fiume dove tra il II e il I secolo a. C. i Romani gestivano una delle più...

Cesenatico: la strada che indica Via Semprini

È cominciata così: due sedie fuori casa, il vento fresco del vicolo, il saluto dei passanti in bicicletta, le brevi soste di chiacchiere con i vicini di casa. E l'andare e venire di Anna Battistini che per molte sere e giorni in questi tredici anni di vita da vicolo...

Un primato tricolore nella porta d’Oriente,
una bussola dalle imprese dell’Emilia-Romagna

Ritorno da Hong Kong, porta d'Oriente da dove mia figlia Valentina ha ripreso a raccontare storie per i giornali italiani, con una buona notizia che mi ha dato la nuova e brava console italiana di là, la salentina Alessandra Schiavo, un pezzo dell'Italia che funziona...

Un libro intrigante
sui segreti di Fellini,
un Sos per la casa in Romagna
dove trascorreva estati felici

Mi arriva l'invito dalla Fondazione Cineteca di Milano per assistere, nella cornice dello Spazio Oberdan, alla presentazione del volume Segreti e bugie di Federico Fellini (Luigi Pellegrini editore) in presenza dell'autore, Gianfranco Angelucci, amico e collaboratore...

Domenico Ghetti, salvatore e divulgatore
dei frutti dimenticati delle Romagne

Domenico Ghetti rappresenta la terza generazione, mentre il figlio Stefano, maggiore collaboratore ed erede, rappresenta la quarta generazione, quella del futuro, e viene riconosciuto quale colonna portante dell'Azienda agricola di famiglia. Questa si trova nell'area...

La regina del Liberty
è a due passi
dal mare di Romagna

Alla vigilia della grande mostra “Liberty. Uno stile per l’Italia moderna”, in programma a Forlì nei Musei San Domenico (1° febbraio – 15 giugno) illuminiamo Villa Pompili che seduce ancora chi passa per viale Anita Garibaldi a Cesenatico con il suo cancello e le sue...