Sono molte le artiste e gli artisti che in questi giorni, fra sale chiuse e manifestazioni cancellate, offrono la propria creatività come segno di vicinanza umana e solidarietà. È delle scorse ore il contributo di Mariangela Gualtieri, la poetessa cesenate che ha fondato insieme a Cesare Ronconi lo storico “Teatro Valdoca” e che ha pubblicato in rete “Nove marzo duemilaventi”: un componimento che ci invita a riflettere sulle ore che stiamo vivendo, sulla vulnerabilità che avvertiamo, come quando eravamo bambini. Ore che ci tolgono la libertà di un abbraccio ma che – secondo Gualtieri – ci restituiscono umanità e consapevolezza di essere specie, unita.
Sapereambiente lo pubblica nella convinzione che l’arte, dalla danza, al teatro e alla poesia, possa offrirsi ancora una volta come medicina, dolce e salvifica.
diceva d’altro canto Julian Beck il fondatore del “Living Theatre”.
E Pina Bausch:
In questo solco, come la poetica di Alda Merini, si inserisce Mariangela Gualtieri con questo suo memorabile “Nove marzo duemilaventi”, poesia lucida e affilata, a portare speranza. Nell’attesa dolce di quando finalmente potremo ristringerci reciprocamente le mani, abbracciarci di nuovo in quella Festa degli Abbracci auspicata da un commosso Antonio Decaro, sindaco di Bari (e anche presidente dell’ANCI, Associazione nazionale dei comuni italiani).
Nove marzo duemilaventi
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro
Mariangela Gualtieri
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro
Mariangela Gualtieri
LA MANUTENZIONE DELLA MEMORIA / Dal libro “Il mondo come io lo vedo”, 1931
La crisi secondo Einstein
Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito.
È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.
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A proposito di Albert Einstein:
(via mail)
Carissimo Salvatore, mi piacerebbe molto che vedessi e facessi vedere questo filmato da me fatto per spirito di servizio verso questo nostro tormentato Paese. Conoscendo la tua/vostra sensibilità, sono certo ti/vi prenderà. Con amicizia
(via mail)
Caro Salvatore, mi fermo per un attimo sul sottotitolo del tuo blog: In viaggio verso il bello del mondo, i valori della vita, i segni positivi per il futuro.
Un viaggio, il tuo, che coinvolge noi lettori nei vari ambiti nei quali, con la tua rapida eppure pregnante penna, ci introduci e ci guidi. Si tratta sempre di sentieri ricchi di saperi, di corsi d’acqua sorgiva densa di cultura e di saggezza, di mari solcati da Arte e Poesia.
Questa volta, rimasti a casa, troviamo il viaggio più avvolgente e coinvolgente.
Bellissima la lettera a te inviata per il Capodanno 1990 dal tuo amico scrittore tedesco Michael Ende. Parla di alcuni indios trasportatori “robusti e volenterosi”, che danno una lezione di sana filosofia all’uomo del mondo. Nella loro primitiva semplicità di spirito hanno sentito l’esigenza di fermarsi nel silenzio dell’anima, per poi proseguire con più lena nel loro duro lavoro. Avevano corso troppo e dovevano aspettare che le loro anime li raggiungessero. Quanto si è corso finora? Per quanto tempo l’uomo ha mirato al denaro, a detrimento dello spirito? Abbiamo corso “con la lingua di fuori” e dunque urgeva uno stop. Ora deve essere un privilegio “aspettare il silenzio” e, nel silenzio, ascoltare l’anima.
La fervida poesia di Mariangela Gualtieri ci dice che forse questa “frenata” può riportarci indietro, “nelle lentezze / delle antiche antenate, delle madri”, che si può ritornare a “cantare piano piano perché un bambino dorma”.
In un suo articolo del 1° febbraio 1975, Il vuoto del potere in Italia, pubblicato dal Corriere della Sera, Pier Paolo Pasolini scrisse tra l’altro:
E ancora molto prima Orazio Flacco, nella sua Ars poetica ammoniva:
Intanto ecco il viaggio sostare a Bari, capoluogo della nostra meravigliosa Puglia. Notiamo le immagini di una città silenziosa e deserta sotto lo sguardo malinconico del Sindaco Antonio Decaro, il quale si commuove fino alle lacrime nel constatare il declino inesorabile della sua Bari a causa di uno spietato virus. Il Sindaco non sa che anche noi, vedendo e ascoltando lui, ci sciogliamo in lacrime.
Intanto il tuo blog prosegue, sempre fitto di notizie e di preziose informazioni, oltre che del solito “bello”; portatore, more solito, di illuminante cultura.
Buon lavoro e grazie, amico Salvatore!
Grazia Stella Elia, Trinitapoli (BT)
(via mail)
Caro direttore, in un suo esile libricino, trascurato dai più, dal titolo “Il Reggimento parte all’Alba” il grande Dino Buzzati diceva all’esordio:
Proseguiva così:
Passando all’oggi e a quanto accade giornalmente sotto i nostri occhi angosciati ed esterrefatti, mi è sembrato scorgere in quella lunga teoria di autocarri militari ricolmi di bare, che procedevano in modo ineluttabile e convinto verso i vari inceneritori cui quelle bare erano destinate – ma anche oggi sarà cosi! – il dire di Buzzati, sempre così carico di ineluttabile magia, commentare per i suoi lettori le vicende così sconvolgenti che ci affliggono e conferire loro quell’aria di coinvolgente mestizia e di mistero.
Caro Direttore, deve perdonarmi. La crudezza del presente non dovrebbe consentire l’intrusione di alcuna visione poetica, ma, rifletto, forse è consolante dare alla voce della disperazione collettiva, anche un’altra chiave di lettura, che, magari, tramuti l’angoscia in speranza.
(via mail)
Buongiorno carissimo Salvatore Giannella, in questo periodo così difficile i Suoi pensieri rappresentano una cura per tutti noi.
Volevo coinvolgerla nella mission che abbiamo lanciato noi di Sestre, per sentirci più vicini all’Italia che lotta tra le corsie degli ospedali.
Questo è il link all’articolo che spiega le nostre iniziative, abbiamo già acquistato 250 mascherine speriamo di arrivare a numeri più alti. Sono tanti piccoli gesti che stanno coinvolgendo tanti ragazzi, e noi ne siamo felici!